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Elettrodomestici: Miele taglia 2.700 posti di lavoro

Nel 2023 il colosso tedesco ha registrato un calo dei ricavi del 9%. “Non ci sono segnali di un’imminente ripresa del mercato”, dice la società

Elettrodomestici: Miele taglia 2.700 posti di lavoro

Dopo un primo annuncio, nel 2019, di riduzioni del personale in tutte le filiali e gli stabilimenti del gruppo, la Miele ha annunciato martedì di aver programmato una ristrutturazione da 500 milioni che prevede anche l’eliminazione di 2.700 posti di lavoro, il 12% della forza lavoro attuale (23 mila persone nel mondo),  per arrivare a disporre dei necessari finanziamenti per il rilancio entro il 2026. 

Miele nel 2023 

Dopo tre anni di crescita, il gruppo ha registrato un calo dei ricavi del 9% nel 2023 e le unità vendute quasi del doppio. E secondo il comunicato ufficiale il mercato non lascerebbe intravedere nessun miglioramento. “Non ci sono segnali di un’imminente ripresa del mercato perché quello che stiamo vivendo attualmente non è una recessione economica temporanea, ma piuttosto un cambiamento duraturo”, recita la nota.

Il mercato dei grandi elettrodomestici

Il settore dei majaps in Europa è altamente competitivo, con una forsennata gara tra le catene e i gruppi della distribuzione alle promozioni e a prezzi stracciati, a danno in gran parte dei produttori. E solo grandi gruppi con consistenti risorse finanziarie possono – secondo molti esperti – far fronte ai cambiamenti strutturali della domanda. Oppure possono farlo aziende di taglia minore con prodotti di alto valore aggiunto e grande flessibilità. 

“Negli ultimi 10 anni, i produttori europei hanno cercato di competere contro l’afflusso di elettrodomestici di tutte le categorie provenienti da fornitori globali a basso costo con sede principalmente in Cina e Corea del Sud”. Questa dichiarazione fa parte delle risposte che Beko ha fornito alla CMA, l’ente antitrust inglese, che ha impugnato la prevista joint venture Whirlpool Emea-Arcelik, considerandola contraria agli interessi dei consumatori e alla libera concorrenza. 

Il dumping delle imprese asiatiche

In realtà – come viene sottolineato da tempo in più contesti – si tratterebbe di posizioni dominanti da parte delle aziende asiatiche in quanto favorite oltre che da dumping sociali e economici, anche da costanti e importanti finanziamenti statali. Ciò che è vietato quasi sempre dalla CE ai produttori europei in quanto considerato un ostacolo alla competizione industriale e commerciale. Solo una volta, a fronte di permanenti dumping nel settore dei grandi elettrodomestici, Whirlpool e Bosch sono riusciti a ottenere da Bruxelles l’applicazione di dazi (minimi) sull’import a prezzi molto bassi dall’Asia. Ma l’opposizione dell’Inghilterra e dei paesi del nord Europa che non hanno siti produttivi di maiaps, ha impedito successivamente un regolare controllo e una protezione legittima del made in Europe per pari condizioni competitive. 

A chi scrive risulta che agli inizi degli anni 2000 gli enti di controllo delle prestazioni energetiche in Usa e in Europa avrebbero rilevato la presenza, in quasi tutti i majaps provenienti da un Paese asiatico, di speciali componenti elettronici in grado di fornire, falsandoli, ai tecnici dei controlli, i dati sui consumi degli apparecchi, affinché risultassero in regola con le norme europee delle etichette energetiche. Poiché l’Inghilterra e i Paesi del Nord Europa hanno a lungo impedito, nelle sedi di organismi comunitari, di effettuare controlli sull’import del settore – controlli che avrebbero evitato ulteriori distorsioni della concorrenza – negli anni i prodotti a basso costo del lavoro e favoriti da finanziamenti statali, hanno indebolito – come è noto – l’industria europea, con la distruzione  di posti di lavoro, di brevetti e di qualità.

Nel frattempo, i produttori asiatici hanno potuto affermarsi sui mercati avendo avuto il gigantesco vantaggio di risorse finanziarie drenate da quote crescenti dei mercati. Risorse che hanno in buona parte riversato su quelle ricerche tecnologiche che le industrie europee non riuscivano – grazie anche alle pressioni sui prezzi da parte del retail- più a tesaurizzare per le innovazioni. A ciò si aggiunga che i brevetti europei non vengono mai tutelati in quei Paesi dove anzi sono stati, negli anni ’80, ’90 e inizio 2000, alla base delle loro innovazioni.

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