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Economia del mare in Italia, valore aggiunto a 178,3 miliardi: è pari al 10,2% del Pil

L’Economia del mare in Italia è in forte crescita: +15,1% di valore aggiunto diretto, generando 178,3 miliardi di euro (10,2% del Pil) e oltre 1 milione di occupati. Focus sul Sud Italia con quasi 21 miliardi di valore aggiunto. I dati del XII rapporto nazionale

Economia del mare in Italia, valore aggiunto a 178,3 miliardi: è pari al 10,2% del Pil

L’economia del mare in Italia, con 227.975 imprese e 1.040.172 occupati, genera un valore aggiunto diretto di 64,6 miliardi di euro. Se si considera anche il valore attivato nel resto dell’economia, il totale sale a 178,3 miliardi di euro, pari al 10,2% del Pil nazionale.

Il settore è in netta crescita sotto vari aspetti. Il valore aggiunto diretto è aumentato del 15,1%, il doppio rispetto alla crescita media italiana del 6,9%. Anche il valore aggiunto complessivo è cresciuto di quasi un punto percentuale rispetto all’anno precedente, raggiungendo i 178,3 miliardi di euro. Il moltiplicatore economico è salito a 1,8 rispetto all’1,7 dell’anno scorso, indicando che per ogni euro speso nei settori legati all’economia del mare se ne attivano 1,8 nel resto dell’economia. L’occupazione nel settore è aumentata del 6,6%, quasi quattro volte la crescita registrata nel Paese (1,7%), mentre il numero delle imprese è rimasto stabile.

Questi sono i dati che emergono dal XII Rapporto nazionale sull’Economia del Mare, curato da Osservatorio nazionale sull’Economia del mare (Ossermare), Centro studi TagliacarneUnioncamere, Informare, Camera di commercio Frosinone Latina e Blue forum Italia network. Il rapporto è stato presentato a Roma presso la Sala Longhi di Unioncamere alla presenza dei ministri Adolfo Urso e Nello Musumeci. All’evento di presentazione, moderato da Nunzia De Girolamo, sono intervenuti il Presidente di Unioncamere Andrea Prete, il Presidente di Assonautica Italiana, Si.Camera e Camera di commercio Frosinone Latina Giovanni Acampora, il Direttore Generale del Centro Studi Tagliacarne Gaetano Fausto Esposito, e il coordinatore dell’Osservatorio nazionale sull’Economia del mare Ossermare Antonello Testa.

Blue economy: la distribuzione territoriale del valore aggiunto

La dodicesima edizione del rapporto, punto di riferimento per la definizione del valore della Blue economy italiana, ha esaminato vari settori della forza produttiva “blu”, tra cui la filiera ittica, la cantieristica, i servizi di alloggio e ristorazione, le attività sportive e ricreative, l’industria delle estrazioni marine, la movimentazione di merci e passeggeri, e la ricerca, regolamentazione e tutela ambientale.

A livello regionale, le prime cinque regioni per incidenza del valore aggiunto dell’economia del mare sono: Liguria (11,9%), Friuli-Venezia Giulia (7,2%), Sardegna (7,1%), Lazio (6,0%) e Sicilia (5,7%). A livello provinciale, le prime cinque province sono: Trieste (18,9%), Livorno (17,6%), La Spezia (16,8%), Gorizia (13,7%) e Rimini (13,0%).

Il rapporto evidenzia anche la diversificazione imprenditoriale nel settore marittimo: le imprese giovanili rappresentano il 9,0% del totale, mentre quelle gestite da donne costituiscono il 22,4%. Le imprese straniere, invece, incidono per il 7,4% del settore.

Blue Economy: svetta il Sud Italia ma non basta

Il Sud Italia si conferma come l’area con la maggiore produzione di valore aggiunto nel settore marittimo, con quasi 21 miliardi di euro, rappresentando circa un terzo del totale nazionale. Anche l’occupazione è fortemente concentrata nel Sud, con oltre il 37% degli addetti del settore. Inoltre, il Mezzogiorno ospita oltre 111 mila imprese, che costituiscono più del 48% della base imprenditoriale blu del Paese.

Nonostante questi dati positivi, il moltiplicatore economico del Mezzogiorno è relativamente più basso (1,6) rispetto ad altre regioni italiane: Nord-Est (2), Nord-Ovest (1,9) e Centro (1,7). Questo fa sì che ogni euro speso nel Sud genera un impatto minore rispetto ad altre aree.

“La blue economy si caratterizza come uno dei settori trainanti della nostra economia con una forte connotazione imprenditoriale. Ne è una dimostrazione l’incremento della base d’impresa che è aumentata nell’ultimo biennio dell’1,5% contro una contrazione di quasi due punti di quella complessiva, con una maggiore presenza di imprenditorialità giovanile e femminile. Al contempo l’economia del mare rappresenta una delle filiere in cui più forte è la crescita dell’attenzione al digitale e al green. Ecco perché il sistema camerale, che già nel passato ha dato forte enfasi all’economia blu, dedicherà nei prossimi anni un crescente impegno alle imprese di questo settore attraverso policy mirate sempre più inserite nel quadro delle priorità europee” ha dichiarato Andrea Prete, appena riconfermato presidente di Unioncamere.

“Il nostro Rapporto nazionale” – ha dichiarato Giovanni Acampora, Presidente Assonautica Italiana, Si.Camera e Camera di Commercio Frosinone Latina – “è diventato il documento di riferimento del sistema mare italiano, perché offre un’analisi puntuale del valore e del peso dell’Economia blu del nostro Paese, che mettiamo a disposizione di tutti: operatori del settore, Istituzioni, associazioni, imprese e dell’intero cluster del mare. Si tratta di un elemento imprescindibile per dare la giusta importanza alla Blue Economy italiana e affermare la sua leadership nel contesto euro-mediterraneo, in linea con il lavoro che stiamo portando avanti con il Piano del mare”.

“In un Paese che è al primo posto in Europa tra le grandi economie per rapporto coste/superficie, la blue economy si caratterizza per essere “controcorrente” non solo perché ottiene risultati in termini di sviluppo e di occupazione superiori rispetto a quelli dell’economia complessiva, ma anche perché la crescita del valore aggiunto e degli occupati nel Mezzogiorno è stata di oltre due punti superiore a quella media italiana, grazie in particolare alle ottime performances del turismo” ha commentato Gaetano Fausto Esposito, direttore generale del Centro Studi Tagliacarne, secondo il quale “resta comunque da evidenziare che sia la produttività della filiera blu che la capacità di moltiplicare le risorse è inferiore nel Meridione, e che se entrambi i valori fossero allineati a quello dell’Italia settentrionale ci sarebbe un incremento di valore aggiunto locale di circa ulteriori 15 miliardi, pari a più di un quarto dell’attuale complessiva produzione blu al Sud”.

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