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Ecco il rapporto Liikanen sulle banche: le 5 raccomandazioni discusse in un dibattito in Bocconi

Le proposte degli esperti (in consultazione per 6 settimane) sono state illustrate in un convegno in Bocconi -Trading separato legalmente e maggiore coerenza tra i modelli interni sul rischio – Mazzucchelli (Liikanen group): “Con queste regole e quelle oggi in gestazione nessun 2008” – Bruni: “il problema sono i Npl” – Profumo: “Attenzione al funding gap”.

Ecco il rapporto Liikanen sulle banche: le 5 raccomandazioni discusse in un dibattito in Bocconi

Come riformare il sistema bancario per evitare la crisi subprime del 2008, le “balene di Londra” (lo scandalo sui derivati di JpMorgan) e le manipolazioni del tasso libor che si sono susseguiti senza sosta portando a galla le falle del sistema? È questo l’interrogativo sui cui autorità, think tank ed esperti si stanno arrovellando negli ultimi anni. Per molti si è discusso molto e agito poco. L’estate scorsa, per esempio, gli economisti Luciano Gallino e Luigi Zingales scrivevano, seppur da fronti di pensiero opposti, che a quattro anni dall’inizio della crisi i governi mondiali si sono limitati a raccomandare, esaminare e riflettere in tema di riforma del sistema finanziario. Mentre l’Unione Europea cerca di portare a buon fine l’implementazione di Basilea 3 e rilancia sull’Unione Bancaria puntando, come primo passo, a una supervisione unica europea affidata alla Bce (cui dovrà seguire una garanzia unica dei depositi e con una gestione comune in caso di crisi), sul tavolo di Bruxelles è arrivato in questi giorni (il 2 di ottobre) il rapporto elaborato da un gruppo di esperti guidati da Erkki Liikanen (presidente della banca centrale della Finlandia). Il mandato era stato affidato dalla stessa Commisione nel novembre 2011 per valutare l’opportunità di riforme strutturali del sistema bancario europeo alla luce dell’acceso dibattito già sviluppatosi anche negli USA e nel Regno Unito (si pensi alla Volcker rule, al Dodd-Frank Act e al report della Independent Commission on Banking o “Vickers Report”).

Il rapporto Liikanen si pone qui come una terza via tra la ricetta Usa e quella inglese rivedendo l’architettura delle banche attraverso cinque raccomandazioni principali:

1) la separazione legale dalle attività della banca del trading proprietario e di altre attività di trading significative sopra una certa soglia;

2) la necessità che le banche disegnino e mantengano in funzione realistici ed efficaci piani di resolution (interventi per la gestione delle crisi e la riorganizzazione degli asset bancari ndr), come proposto dalla Direttiva sulla risoluzione e sul risanamento delle banche elaborata dalla Commissione Europea (Brr).

3) Il rapporto sostiene con decisione l’uso di strumenti di bail-in (conversione forzosa di debito in capitale ndr). Le banche dovrebbero costruire un ammontare di debito che può confluire nel bail-in sufficientemente largo e chiaramente definito. Questo debito dovrebbe essere detenuto al di fuori del sistema bancario e aumenterebbe la capacità complessiva di assorbimento delle perdite, diminuirebbe gli incentivi a prendere rischi e aumenterebbe la trasparenza e la percezione del rischio (come viene prezzato).

4) l’applicazione di maggiori pesi per il rischio nella determinazione del capitale minimo e modelli interni di trattamento dei rischi più coerenti  tra le banche europee.

5) è necessario aumentare le riforme esistenti sulla corporate governance con misure specifiche in tema di: rafforzamento del board e del management; promuovere la funzione di risk management; tenere sotto stretto controllo i compensi del management e dei dipendenti delle banche; aumentare la disclosure sui rischi; rafforzare i poteri sanzionatori.

LA SEPARAZIONE DEL TRADING E IL MODELLO DI BANCA UNIVERSALE

“Le banche sono grandi, troppe per fallire e troppo simili tra loro, ha commentato Marco Mazzucchelli, ex banchiere italiano oggi consulente senior della banca Julius Baer e membro del gruppo Liikanen che ha illustrato in un convegno in Bocconi le proposte del gruppo di lavoro. Già perché mentre gli interventi normativi attualmente in cantiere agiscono principalmente su patrimonio, liduidità e recovery resolution, il gruppo Liikanen ha ritenuto mancasse qualcosa a livello più micro. Ha così proposto, oltre una certa soglia di attività, la separazione obbligatoria in due soggetti giuridici delle attività di trading dal resto dell’attività bancaria. La separazione non sarebbe necessaria quando le attività di trading rappresentano il 15-25% degli attivi o non superano i 100 miliardi di euro, con le banche di deposito che possono continuare a fare trading per i propri clienti anche se entro limiti molto ristretti. Qui la proposta Liikanen si pone come una terza via tra la ricetta americana Volcker (che ha proposto di vietare alle banche di speculare con i propri fondi) e l’inglese Vickers (che ha suggerito una separazione più netta con l’aggiunta di cuscinetti di capitale) e nasce dalle difficoltà delle autorità Usa di separare nella realtà contrattazioni in conto proprio dalle contrattazioni per conto dei clienti.

Ma attenzione, questa raccomandazione non implica la cessazione delle banche universali. “Si tratta della separazione di due soggetti giuridici che possono però essere dentro allo stesso gruppo – spiega Mazzucchelli – non dico che le banche universali non devono più esistere per la gestione globale del cliente”. Nessuno smontamento obbligatorio della banca universale nella proposta, quindi, solo una separazione giuridica: la banca continuerà ad avere la capacità di offrire un’ampia gamma di servizi finanziari ai propri clienti. Ma allo stesso tempo Mazzucchelli rileva che “la best practice sarà quella di non avere la banca universale: queste continueranno a essere a sconto per la percezione di maggiore opacità”. Le ragioni dietro questa posizione di separazione legale? Si è voluto dare alle banche due attività esclusive che sono la raccolta dei deposito e la fornitura dei servizi di pagamento con l’obiettivo di mantenere la continuità operativa in caso di problemi, il che significa non avere la corsa agli sportelli e un sistema dei pagamenti che continua a funzionare. Le due entità dovranno essere capitalizzate in maniera separata e le forme di trasferimenti tra loro potranno essere possibili solo se i singoli requisiti patrimoniali saranno rispettati.

“In questo modo – rileva Mazzucchelli – le banche sono più sicure, hanno meno incentivi a prendere rischi con i depositi, sono più semplici da monitorare e da gestire, si riduce lo shadow banking (che ha cartolarizzato sistematicamente debiti e crediti ndr) e c’è maggiore trasparenza su quello che fa il gruppo sottostante”. Essenziale sarà comunque che, come indica la raccomandazione 2, ciascuna banca presenti un piano di risoluzione credibile. In caso contrario, il regolatore avrà la facoltà di fare ulteriori segregazioni di attività. “Se le cose fossero state così, insieme alle altre misure in gestazione, il 2008 non si sarebbe verificato, perché i bilanci sarebbero stati più piccoli, i bilanci da trading non sarebbero arrivati a tali dimensioni e quindi neanche il rischio sistemico. In questo modo in futuro ci saranno molti più operatori, una maggiore diversità dei partecipanti e questo manterrà la liquidità del mercato”. In questo quadro per Mazzucchelli è essenziale anche l’Unione Bancaria, dove la supervisione bancaria rappresenta un fondamentale primo passo. Così come è importante la Mifid II per disciplinare gli High frequency trading (Hft).

I REQUISITI DI CAPITALE E LA GOVERNANCE

“L’arbitraggio dei modelli interni deve finire, è una vergogna”. Per Mazzucchelli una parte importante del rapporto, poco sottolineata in questi giorni dai media, è il passaggio sui requisiti di capitale. In sintesi: in Europa i singoli asset hanno pesi per il rischio molto diversi tra loro che non creano un plain field di gioco. “Questo lo si è consentito con Basilea 2 – dice Mazzucchelli – con i sistemi interni di rating che sono così complicati che già è tanto se una banca capisce i propri. Il rating interno va bene ma ci ha portato a perdere di vista il valore assoluto delle posizioni”. E un occhio attento lo merita il finanziamento immobiliare “che tende ad avere molta leva – dice Mazzucchelli – le banche non sono capaci a disciplinarsi sulla esposizione finanziaria immobiliare”. Non a caso in tutte le crisi c’è una componente immobiliare. Così il rapporto suggerisce che il trattamento dei finanziamenti immobiliari all’interno dei requisiti sul capitale andrebbe riconsiderato e negli strumenti per la supervisione micro e macro andrebbero inclusi indicatori come il maximum loan-to-value e/o il loan-to-income. Insomma, il tema del rischio sovrano è superato, il vero test è quello di un vero crollo del mercato immobiliare.

E se la crisi del 2008 non fosse bastata a farci aprire gli occhi sulle falle del sistema, dopo poco sono arrivate anche gli scandali sui derivati di JpMorgan e sulla manipolazione del libor. “Siamo stati fortunati – ha ammesso con ironia Mazzucchelli – durante il nostro lavoro sono arrivati anche gli scandali JpMorgan e Libor”. Che fare a livello di governance? In primo luogo è impensabile che l’ad sia ominipotente ma deve essere inserito in un sitema di check and balance (controlli e contrappesi) e di disclosure. E chi sbaglia deve pagare.

BRUNI: IL PROBLEMA SONO I NON PERFORMING LOANS
PROFUMO: ATTENZIONE A NON UCCIDERE I FORNITORI DI LIQUIDITÀ

La “separazione è proposta con misura e intelligenza”, ha commentato Franco Bruni, professore alla Bocconi di Teoria e politica monetaria internazionale, che ha partecipato al dibattito sul rapporto Liikanen in Bocconi insieme al professore Francesco Saita, a Mario Nava, direttore area istituzioni finanziarie Commissione Europea e Alessandro Profumo, presidente di Mps. Ma “non mi entusiasmo troppo” sulla separazione del trading. Per Bruni il problema della crisi non è stato questo, i depositi non sono stati toccati e la caduta del credito è dipesa da altre dinamiche. “C’è un problema preoccupante sui non performing loans che sono la vera ragione della fragilità del sistema bancario. Serve più attenzione nella regolamentazione del rischio e nei sistemi di resolution”. La separazione non è però un tema da archiviare: “se moderata e intelligente può dare risultati soprattutto ex post nella resolution e nella valutazione delle banche”. Ma vale la pena di calarla dall’alto in basso? “Io la vedo come pratica spontanea”, rileva Bruni.

Per il presidente di Mps Alessandro Profumo, ex ceo di Unicredit, la separazione tra l’Investment Banking e il Retail ”su base dimensionale” è più che accettabile. Ma, avverte, nella crisi il problema principale è stata la gestione di attività e passività”. Molte attività sono state classificate a breve termine quando non lo erano. Bisogna, quindi, stare a attenti a non uccidere i fornitori di liquidità. Profumo si è poi espresso a favore dell’Unione Bancaria, passaggio fondamentale per la creazione di un plain field di gioco, del meccanismo di un chiaro bail-in e a difesa di Basilea 2 che “rappresenta uno strumento fondamentale di crescita nella gestione dei rischi delle banche. Tornare indietro sarebbe pericolosissimo”. Nell’ambito delle misure di governance ha poi rilevato (“non essendo più ceo posso dirlo”, ha esordito) che “portare il chief risk officer a riporto del cda e non del ceo sarebbe disastroso perché non ci sarebbe più gerarchia”.

L’IMPATTO DEL RAPPORTO LIIKANEN SULLE BANCHE ITALIANE
LE RACCOMANDAZIONI IN CONSULTAZIONE PER SEI SETTIMANE

“Non credo ci sarà nessun impatto per le banche italiane perché nessuna arriva sopra al 25%”, rileva Profumo ricordando che la riforma prevede la separazione se le attività da trading superano il 25% degli attivi di una banca. Ma il processo di riforma fa bene anche ai nostri istituti. “Tutte soffrono di un problema di reputazione – ha detto – e tutto quello che contribuisce a una migliore reputazione del sistema è fondamentale”. Per gli istituti domestici oggi il problema principale è invece il funding gap. “Mi chiedono dove sono finiti i soldi della Bce: sono a finanziare il funding gap. Le banche italiane hanno un loan to deposit ratio sensibilmente superiore a 100, il 128%, la parte eccedente è il 28%, circa 240 miliardi di euro. Fino a qualche tempo era coperta dagli investitori istituzionali che compravano le passività del sistema bancario italiano. Ora non lo fanno più perché siamo un Paese periferico. Se questi soldi vanno restituiti alla Bce tra due anni, si creerà un credit crunch che noi la crescita ce la sognamo molto più in là nel tempo”.
Il rapporto Liikanen non presenta difficoltà per le banche italiane neanche per Bruni: “L’Italia ha una vigilanza buona e una resolution rule pure, qualsiasi cosa che avvenga in Europa che migliori queste cose a noi fa solo bene, qui siamo free rider”. Per Mazzucchelli, infine, è una grande occasione per gli istituti per riprendere il loro modello di un tempo. Il rapporto da 139 pagine rimarrà in consultazione pubblica per sei settimane  e su diversi punti presenta proposte su tematiche al momento già in discussione in sede  Europea. Che accoglienza avrà a Bruxelles? Per ora il Commissario al mercato Unico Michel Barnier non si è ancora sbilanciato limitandosi a dire che studierà la relazione.

In allegato il rapporto Liikanen 


Allegati: Liikanen report.pdf

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