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Dopo una delle campagne peggiori del dopoguerra, Milano deve tornare la città che conosciamo

Una volta spazzate vie le macerie lasciate dal confronto tra Letizia Moratti e Giuliano Pisapia, il capoluogo lombardo si sveglierà di fronte a suoi problemi, vecchi e nuovi. Con sullo sfondo l’Expo. Il favorito è il candidato del centro-sinistra, ma tutto è ancora possibile.

Dopo una delle campagne peggiori del dopoguerra, Milano deve tornare la città che conosciamo

Per fortuna è quasi finita. Domenica si voterà e lunedì, oltre a vedere chi sarà il vincitore tra Moratti e Pisapia, si potranno fare le prime valutazioni su quelle che saranno, se non le macerie, le scorie di una delle più velenose campagne elettorali del dopoguerra. Ed è con queste scorie e questi veleni che il vincitore del ballottaggio si troverà a fare i conti. Già perché, vinca chi vinca, Milano dovrà essere amministrata e bene. Che si costruisca o meno una moschea, il punto di arrivo deve essere l’appuntamento con l’Expo. Un appuntamento al quale la città si presenterebbe nel modo peggiore se non si riuscisse a ricomporre un quadro di decenza civile, messo a dura prova in questo mese e mezzo elettorale. Vale la pena riassumere, il più brevemente possibile i fatti sia nel campo del centro-destra sia in quello del centro-sinistra. Cominciamo dallo schieramento del sindaco uscente. La Moratti viene ricandidata dopo molti mugugni. La Lega storce la bocca, preferirebbe un proprio candidato, magari il ruspante Matteo Salvini. Ma sa anche che Milano non è il suo punto di forza. E allora alla fine accetta. Ma mettendo in chiaro che lo fa senza entusiasmo. Anche nel Pdl non tutti pensano che quella della signora sia la scelta migliore. Berlusconi è preoccupato, così rompe gli indugi e si candida in prima persona al Consiglio comunale. Del resto lo ha già fatto in altre occasioni. Poi va oltre e lancia la sfida. Quello di Milano, dice, è uno scontro nazionale; bisogna vincere al primo turno perché si tratta di un referendum su di me e sul mio governo. La Moratti abbozza, anche quando Berlusconi conclude le sue presenze del lunedì alle udienze del Tribunale di Milano con altrettanti comizi volanti, nei quali attacca con toni esasperati i pm che lo hanno messo sotto processo. Il sindaco uscente però è la prima a indignarsi quando l’avvocato Lassini riempie la città di manifesti nei quali si parla di Procure brigatiste. Lassini viene invitato a lasciare la lista. Lui alla fine accetta, (ma tecnicamente è sempre candidato) e lascia però intendere che il premier è sostanzialmente d’accordo con lui. La campagna elettorale si infiamma, i toni continuano a salire. E alla fine anche la Moratti compie uno scivolone, accusando Pisapia di aver rubato un’auto quando in gioventù militava nella sinistra extraparlamentare. Il candidato della sinistra si indigna e ha buon gioco nel far vedere che da quell’accusa è stato assolto (dopo aver rifiutato la prescrizione) in appello con formula piena. Passiamo al centro-sinistra. Anche qui la scelta del candidato sindaco è sofferta. Si passa per le primarie. Il candidato favorito è quello del Pd Stefano Boeri. Il quale però è sconfitto da Pisapia. Questi, dopo essere stato in passato parlamentare indipendente eletto con Rifondazione comunista, è sostenuto soprattutto da Sinistra e libertà di Nichi Vendola. Pisapia e Boeri, prima delle primarie avevano stretto un patto: chiunque dei due fosse prevalso avrebbe aiutato l’altro a battere la Moratti. Il patto viene onorato, e Boeri diventa così il capolista molto votato della lista del Pd. Intanto Pisapia riesce a dare alla città un’immagine moderata della sua candidatura. Lo aiutano il fatto che sia stato il presidente della Commissione giustizia della Camera che più si è distinto per un profilo garantista, anche in tempi di giustizialismo diffuso. E poi è un avvocato stimato, che viene da un’importante famiglia della Milano delle professioni. Tra i suoi sostenitori è particolarmente impegnato quel Piero Bassetti, primo presidente della regione Lombardia, esponente autorevole del mondo cattolico, che riunisce nella vecchia sede del circolo De Amicis (luogo storicamente caro ai socialisti) una task force di autorevoli rappresentanti della borghesia meneghina per aiutare il candidato del centro-sinistra. A giudicare dai risultati del primo turno l’operazione di rendere il più borghese e il più milanese possibile Pisapia riesce, visto che al ballottaggio si presenta con un buon vantaggio (48,05% a 41,59%, un distacco di 6,46 punti percentuali) sulla Moratti. Gli ultimi giorni di campagna elettorale sono incandescenti. In prima fila torna Berlusconi che insieme a Bossi denuncia, in caso di vittoria di Pisapia “l’estremista”, l’islamizzazione di Milano. Poi il premier se la prende con le bandiere rosse che lasciano presagire una nuova Stalingrado italiana, prova a promettere il trasferimento di ministeri a Milano, ma poi, dinanzi all’ira di Alemanno e Polverini, deve fare marcia indietro. Per riuscire nella rimonta il Centro-destra dovrà portare al ballottaggio quei suoi elettori che non hanno votato al primo turno, astenendosi o preferendo il candidato centrista. È improbabile, ma non impossibile. La Moratti punta sul maggior impegno di una Lega che però è uscita visibilmente indebolita dal primo turno elettorale. Pisapia per mantenere il vantaggio deve presentarsi come il candidato dai toni più moderati possibili. Non a caso ha invitato i suoi a evitare le risse a porgere cristianamente l’altra guancia a eventuali provocatori. È il favorito, ma non ha ancora vinto. Sullo sfondo restano i problemi di Milano e l’Expo. Per risolvere i quali più che i toni esasperati sulle moschee servirebbero le accorte parole che il Manzoni faceva dire al Conte zio e al Padre provinciale dei Cappuccini per risolvere lo scontro tra Don Rodrigo e Padre Cristoforo: “Troncare e sopire. Sopire e troncare”.

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