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Di Noia (Consob): molti italiani non sanno investire, aiutiamoli così

INTERVISTA DEL WEEKEND- Parla Carmine Di Noia, commissario della Consob: “Il nostro Rapporto 2016 sulle scelte finanziarie delle famiglie mostra che molti risparmiatori non sanno investire correttamente perchè non hanno una cultura finanziaria adeguata: questa lacuna va colmata al più presto ma bisogna anche coinvolgere di più i risparmiatori con il crowdfunding, con una consulenza qualificata e con regole di vigilanza che difendano meglio i risparmiatori e ne facilitino le scelte di investimento”

Di Noia (Consob):  molti italiani non sanno investire, aiutiamoli così

La metà delle famiglie italiane è presente sui mercati finanziari con investimenti in azioni, obbligazioni, titoli di Stato e fondi ma  4  italiani su 10 non sono in grado di investire correttamente il proprio risparmio e spesso lo fanno a caso, fidandosi di quanto sentono dire da amici e parenti.  E’ una situazione paradossale che rivela un grado di analfabetismo finanziario insostenibile in un Paese avanzato come l’Italia e che il Rapporto 2016 sulle scelte di investimento delle famiglie italiane presentato in settimana dalla Consob mette impietosamente in luce. Che cosa si può fare per cancellare questo handicap? E’ quanto FIRSTonline ha chiesto a Carmine Di Noia, commissario della Consob, che naturalmente batte sull’urgenza di una vera educazione finanziaria degli italiani ma indica anche strade nuove, come l’importanza di offrire canali di investimento complementari a quelli bancari, a partire  dal crowdfunding, di promuovere una consulenza adeguata e di introdurre regole di vigilanza che tutelino meglio e facilitino le scelte delle famiglie. Ecco come.

Il recente Rapporto della Consob sulle scelte finanziarie delle famiglie italiane presenta dati scoraggianti anche se non sorprendenti sull’impreparazione e sull’improvvisazione di molti risparmiatori italiani quando devono decidere come investire le proprie risorse: come stanno realmente le cose e da che cosa dipende l’analfabetismo finanziario delle famiglie italiane?

 “Il Rapporto mostra che gli italiani non sono spesso in grado di valutare il rischio finanziario, perché hanno una cultura finanziaria non ancora sufficiente, sono molto avversi alle perdite, presentano “distorsioni comportamentali” che impediscono di comprendere i vantaggi della diversificazione e dell’approccio di portafoglio alle scelte di investimento. Le radici di queste carenze sono da inquadrarsi in un contesto storicamente connotato dalla generosità del welfare, dalla standardizzazione dei prodotti offerti e da rendimenti relativamente elevati dei titoli del debito pubblico. Tale contesto non ha stimolato i necessari investimenti in educazione finanziaria. Quando il mondo è cambiato, sono diventate drammaticamente evidenti le conseguenze della bassa capacità di comprendere appieno i mercati finanziari e valutare il rischio dei prodotti offerti”.? 

In molti, tra i quali c’è anche la Consob, sostengono che bisogna promuovere una migliore educazione finanziaria degli italiani, su cui è in arrivo anche una legge in discussione al Senato: chi dovrebbe promuovere l’educazione finanziaria? La scuola, ma con quali insegnanti?, o le Authority finanziarie, ma come? 
 
“La cultura finanziaria dovrebbe essere promossa attraverso una strategia coordinata a livello nazionale, che coinvolga la scuola, le Autorità di settore e  le istituzioni private nell’attuazione di programmi di alfabetizzazione di medio e lungo periodo, secondo un approccio metodologico rispettoso di alcuni canoni. In particolare, i programmi dovrebbero basarsi sui bisogni formativi reali, rilevati anche attraverso indagini campionarie; prevedere obiettivi concreti, misurabili e verificabili; essere diversificati per segmenti della popolazione e per canali. È importante, inoltre, agire in una logica multidisciplinare, nella quale convergano i contributi della finanza comportamentale, delle neuroscienze e della pedagogia, nonché avvalersi degli strumenti offerti dalle nuove tecnologie”.  
 
 
Gli altri Paesi europei come promuovono l’educazione finanziaria dei cittadini e dei risparmiatori? 

“Alcuni Paesi hanno avviato una strategia nazionale seguendo i principi Ocse in materia e coinvolgendo, secondo modelli di governance diversificati, sia le istituzioni pubbliche sia l’industria.  In alcuni casi, sono stati istituiti comitati consultivi di raccordo con la comunità accademica e scientifica, per garantire il necessario rigore metodologico. Tra i canali divulgativi più diffusi, oltre alla scuola, un ruolo fondamentale è svolto dai portali nazionali (curati anche dalle Autorità di settore) e, in alcuni casi, dai media”. 
 
L’analfabetismo finanziario delle famiglie è tra le cause principali di una penalizzante allocazione del risparmio, su cui anche intermediari, istituzioni e media hanno le loro responsabilità, ma ripropone anche una questione di fondo mai risolta: come indirizzare l’enorme risparmio degli italiani verso il sistema produttivo e verso la crescita selettiva delle piccole e medie imprese? 

“Ritengo occorra un cambio di prospettiva. È fondamentale che il nostro sistema evolva verso una configurazione in cui i mercati svolgano un ruolo più ampio, dove sia incentivato il ricorso a canali di investimento diretto, complementari a quelli bancari, a beneficio della crescita economica del Paese. In questo senso, penso ad esempio alle offerte al pubblico senza collocamento, alla possibilità, oggi non prevista, per il retail italiano di investire in mini-bond, al crowdfunding, che in Italia andrebbe esteso a tutte le imprese (l’ultimo provvedimento, d.l. 3/2015, ha solo esteso a tutte le Pmi e agli Oicr che investono prevalentemente in queste società la possibilità di accedere al crowdfunding). Un maggiore coinvolgimento del risparmiatore nei mercati e quindi nel finanziamento dell’economia reale passa anche attraverso una consulenza finanziaria qualificata, grazie alla quale il risparmiatore può accedere ad una gamma ampia e diversificata di prodotti finanziari non necessariamente bancari (azioni, obbligazioni, Etf). L’attività di consulenza, svolta da professionisti adeguatamente formati e con esperienza, ha un ruolo fondamentale nel tutelare l’investitore ma anche nel promuoverne l’appetito al rischio.  
 
Che effetti può avere la Capital Markets Union, di cui l’Europa si trova a discutere con una filosofia verosimilmente meno anglosassone dopo Brexit, sul risparmio e sul mercato dei capitali? 

“La Capital Markets Union è un primo incoraggiante passo nella direzione che ho auspicato: favorire un contesto di mercato diversificato in cui trovano spazio fonti alternative di finanziamento e aumentano le opzioni di investimento per gli investitori retail e istituzionali. Attraverso la rimozione delle barriere legali ed economiche oggi presenti, si vuole costruire a livello europeo un’infrastruttura capace di collocare più risparmio privato in forme d’investimento, complementari a quello bancario, che permettano quindi l’accesso diretto al mercato da parte degli investitori e favoriscano tramite meccanismi di condivisione del rischio cross-country la stabilità finanziaria e la crescita. L’iniziativa si compone di un piano articolato di riforme alcune delle quali ci coinvolgono in via diretta. Penso al miglioramento del listing environment, alla modernizzazione della disciplina sul prospetto, alla rimozione delle barriere nell’industria del post-trading e, non ultimo, al contributo che Consob può dare verso una maggiore convergenza della vigilanza e dell’enforcement a livello europeo”. 
 
La trasparenza più formale che sostanziale che viene chiesta sugli investimenti finanziari (pagine e pagine di avvisi di carta ma scarsa chiarezza ) e  gli alti costi di alcuni prodotti di massa come i fondi comuni aggiungono problemi a problemi nella gestione del risparmio: in attesa che l’Europa batta un colpo sui nuovi prospetti informativi, la  Consob non potrebbe prendere il toro per le corna e fare subito tutto quello che già si può fare per tutelare meglio il risparmio degli italiani sui mercati finanziari? 

“La protezione degli investitori dai rischi insiti nelle operazioni di investimento rappresenta l’imperativo che ispira la disciplina europea e internazionale di settore e che guida l’azione delle autorità di vigilanza, tra cui naturalmente la Consob. La trasparenza, è noto a tutti, si è rivelata uno strumento necessario ma di per sé non sufficiente ad assicurare una efficace tutela dei risparmiatori anche alla luce degli esiti disastrosi della crisi finanziaria globale e delle recenti vicende che hanno interessato gli intermediari finanziari europei e nazionali.  Solo negli ultimi anni si è assistito ad un apprezzabile affinamento degli obblighi di disclosure, nella direzione della sintesi, comprensibilità e comparabilità delle informazioni da fornire al risparmiatore. Mi riferisco al Kiid (Key Investor Information Document) per i fondi Ucits, e al Kid (Key Information Document) introdotto dal Regolamento Priips (Packaged retail and insurance-based investment products). Anche se, su questo versante, rimangono alcuni nodi da risolvere, come testimonia il recente voto contrario del Parlamento Europeo agli standard tecnici regolamentari di attuazione del Regolamento Priips. Ritengo dunque opportuno orientarsi verso un impianto di vigilanza più robusto e articolato che, accanto ad una trasparenza più efficace, si concentri sulla correttezza delle condotte, intervenendo sul piano del modello di relazione fiduciaria tra intermediari e clienti e sul ruolo dei primi nell’indirizzare le scelte di investimento dei secondi. Al pari, Consob è anche attenta a cogliere le implicazioni della digitalizzazione dei servizi finanziari, che sta rivoluzionando la struttura dell’intermediazione finanziaria nonché le modalità e i tempi di accesso e scambio del capitale”.

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