“L’uomo Del Monte”, stavolta, ha detto bancarotta. Del Monte Foods, storico colosso dell’alimentare statunitense noto in tutto il mondo per le sue conserve di frutta e verdura, ha ufficialmente avviato la procedura di fallimento controllato negli Stati Uniti, ricorrendo al Chapter 11. La richiesta, presentata in un tribunale del New Jersey, arriva dopo anni di difficoltà finanziarie aggravate dal cambiamento delle abitudini di consumo, dall’inflazione e dalle tensioni commerciali internazionali.
Fondata nel 1886 e con sede a Walnut Creek, in California, l’azienda continuerà a operare durante la procedura grazie a un finanziamento debtor-in-possession da 912,5 milioni di dollari, messo a disposizione da alcuni dei creditori esistenti. Di questi, 165 milioni costituiscono nuovo capitale destinato a sostenere le attività nella fase di transizione.
L’obiettivo è realizzare una vendita going-concern, ovvero la cessione della maggior parte degli asset aziendali garantendo al tempo stesso la continuità produttiva e occupazionale. “Un processo di vendita supervisionato dal tribunale è il modo più efficace per accelerare la nostra inversione di tendenza e creare una Del Monte Foods più forte e duratura” ha commentato il ceo Greg Longstreet.
Perché la crisi di Del Monte: dai consumi al debito
Dietro il fallimento si cela un mix di fattori strutturali e congiunturali. Il cambiamento nelle preferenze dei consumatori americani, sempre più orientati verso alimenti freschi, naturali e privi di conservanti, ha fortemente penalizzato il cuore del business Del Monte: le conserve in lattina. I marchi storici come Del Monte (frutta e verdura in scatola), Contadina (pomodori) e College Inn (brodi) hanno subito un netto calo di vendite, non compensato dalla crescita di linee più recenti come Joyba, dedicata al bubble tea.
La pressione sui margini è stata aggravata dall’inflazione alimentare, che ha spinto molti consumatori a orientarsi verso le private label della grande distribuzione, e dai dazi sull’acciaio introdotti dall’amministrazione Trump (fino al 50%), che hanno aumentato il costo delle lattine.
A questo si è aggiunto un tentativo fallito di ristrutturazione del debito nel 2023, che ha innescato un contenzioso legale con un gruppo di finanziatori rimasti esclusi dall’accordo. La disputa, chiusa solo a maggio 2024, ha portato a un aumento degli oneri finanziari di oltre 4 milioni di dollari l’anno. Alla data della richiesta di fallimento, Del Monte stimava debiti compresi tra 1 e 10 miliardi di dollari e un numero di creditori tra i 10.000 e i 25.000.
Cosa comporta il Chapter 11
Il Chapter 11 Bankruptcy Code è una norma del diritto fallimentare statunitense che consente alle aziende in crisi di continuare a operare mentre si riorganizzano finanziariamente, sotto la supervisione del tribunale. A differenza della liquidazione (Chapter 7), il Chapter 11 prevede un piano di ristrutturazione del debito che punta a garantire la sopravvivenza dell’impresa, il mantenimento dei posti di lavoro e il massimo recupero possibile per i creditori.
Nel caso di Del Monte, l’uso del Chapter 11 è funzionale a una vendita ordinata delle attività, con l’intento di conservare valore e continuità gestionale. Per il consumatore finale, almeno nel breve termine, nulla dovrebbe cambiare con la produzione che continuerà e gli scaffali riforniti.
Del Monte Foods: una storia lunga 139 anni
Fondata nel 1886 a San Francisco, Del Monte nasce come marchio di qualità per una miscela di caffè servita al prestigioso Hotel Del Monte di Monterey. Nel 1892, l’azienda adotta ufficialmente il nome per le sue nuove linee di pesche in scatola, entrando nel mercato delle conserve. Con la creazione della California Packing Corporation nel 1916 e la sua evoluzione nella Del Monte Corporation nel 1967, l’azienda diventa il primo produttore alimentare degli Stati Uniti.
Durante il Novecento, Del Monte investe in coltivazioni nelle Hawaii e nelle Filippine, estende la rete produttiva e distributiva a livello globale, e finisce per essere inglobata da RJR Nabisco nel 1979. Negli anni ’90 cambia più volte proprietà: passa alla Texas Pacific Group, si quota in Borsa nel 1999, e nel 2011 viene acquisita da un consorzio guidato da KKR.
L’ultimo grande passaggio societario avviene nel 2014, quando Del Monte Pacific Limited, holding con sede a Singapore e base operativa nelle Filippine, acquista per 1,6 miliardi di dollari il ramo alimentare consumer. Ma l’operazione non riesce a rilanciare l’azienda sul lungo periodo.
Italia, pubblicità e… la Lazio
In Italia, il marchio Del Monte è noto soprattutto per le iconiche campagne pubblicitarie degli anni ’80, con il celebre slogan “L’uomo Del Monte ha detto sì“. Gli spot, trasmessi in 34 paesi, mostravano un raffinato agronomo vestito di bianco (interpretato dall’attore Osmond Brian Jackson) che dava la sua approvazione alla qualità della frutta appena raccolta. L’immaginario costruito da quella comunicazione è ancora oggi parte della memoria collettiva di intere generazioni.
Non solo. Alla fine degli anni ’90, Del Monte divenne sponsor di maglia della SS Lazio, ma solo nelle competizioni europee. Un legame diretto con Sergio Cragnotti, allora presidente della Lazio e contemporaneamente alla guida del gruppo alimentare Del Monte Royal Foods. Proprio con lo sponsor Del Monte sulle maglie dei Biancocelesti, il club vinse la Coppa delle Coppe nel 1999 e la Supercoppa UEFA nel 2000, anni d’oro che oggi appaiono molto lontani.