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Dazi, Trump ha già incassato quasi 50 miliardi di dollari e ora punta sui farmaci: nuove tariffe dal 1° agosto

Solo la Cina e il Canada hanno reagito alla guerra tariffaria del presidente degli Stati Uniti che ora minaccia nuove tariffe sui farmaci importati, con aumenti fino al 200% entro un anno

Dazi, Trump ha già incassato quasi 50 miliardi di dollari e ora punta sui farmaci: nuove tariffe dal 1° agosto

Sono passati quattro mesi da quando Trump ha lanciato la prima bomba nella sua guerra commerciale e, mentre i suoi partner commerciali non ancora sono riusciti a contrattaccare in modo deciso, il tycoon è già riuscito a raccogliere quasi 50 miliardi di dollari in entrate doganali extra a costi contenuti.

Secondo i dati pubblicati dal Tesoro degli Stati Uniti, le entrate statunitensi derivanti dai dazi doganali hanno raggiunto il livello record di 64 miliardi di dollari nel secondo trimestre, ovvero 47 miliardi di dollari in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, riporta il FT.

Solo Cina e Canada finora hanno osato rispondere all’imposizione da parte di Washington di tariffe globali minime del 10%, imposte del 50% su acciaio e alluminio e del 25% sulle automobili.

Ma le tariffe di ritorsione della Cina sulle importazioni americane, le più significative tra tutti i paesi, non hanno sortito lo stesso effetto rispetto alle casse Usa: le entrate complessive derivanti dai dazi doganali sono aumentate solo dell’1,9% a maggio 2025 rispetto all’anno precedente. Sommati alle limitate ritorsioni del Canada, che deve ancora pubblicare i dati doganali del secondo trimestre, i dazi imposti sulle esportazioni americane in tutto il mondo rappresentano una frazione minuscola delle entrate degli Stati Uniti nello stesso periodo.

Le tariffe di ritorsione messe in stand-by per ora

Alcuni altri partner commerciali degli Stati Uniti invece hanno deciso di non rispondere allo stesso modo durante i negoziati con Trump, per evitare di dover pagare tariffe ancora più elevate. L’Unione Europea per esempio ha per il momento solo pianificato le contro-tariffe, ma ne ha ripetutamente rinviata l’attuazione, legandole ora alla scadenza del 1° agosto fissata da Trump per i colloqui. Quando ieri ha pubblicato l‘elenco aggiornato di potenziali obiettivi di ritorsione su beni per un valore di 72 miliardi di euro, tra cui aerei Boeing, automobili e bourbon, non ha indicato tariffe specifiche per i singoli prodotti, forse nel tentativo di non irritare ulteriormente Trump.

Gli esperti della catena di approvvigionamento affermano che il costo dei dazi di Trump non ricade solo sui consumatori americani, poiché i marchi internazionali cercano di distribuire l’impatto degli aumenti dei costi in tutto il mondo per ridurre al minimo l’impatto sul mercato statunitense.

Grandi marchi come Apple, Adidas e Mercedes cercheranno di attenuare l’impatto degli aumenti dei prezzi, dice Simon Geale, vicepresidente esecutivo di Proxima, una società di consulenza sulla supply chain di proprietà di Bain & Company. “I marchi globali possono provare ad assorbire parte dei costi tariffari attraverso un approvvigionamento intelligente e risparmi sui costi, ma la maggior parte dovrà essere distribuita su altri mercati, perché i consumatori statunitensi potrebbero accettare un aumento del 5 per cento, ma non del 20 o addirittura del 40″ dice Geale.

Rinviare le contromisure è buon senso economico

Ma nonostante i dazi statunitensi abbiano raggiunto livelli mai visti dagli anni ’30, la timidezza della risposta globale a Trump ha impedito una spirale di ritorsioni simile a quella che ha decimato il commercio globale tra la prima e la seconda guerra mondiale. Gli economisti hanno affermato che la posizione dominante degli Stati Uniti come più grande mercato di consumo al mondo, unita alle minacce di Trump di raddoppiare i dazi sugli stati che lo sfidano, significa che per la maggior parte dei paesi la decisione di “tirarsi indietro” non è stata codardia, ma buon senso economico.

Secondo un modello realizzato dalla società di consulenza Capital Economics, una guerra commerciale di forte escalation, in cui il tasso tariffario reciproco medio raggiunge il 24%, rappresenterebbe un calo dell’1,3% del Pil mondiale in due anni, rispetto allo 0,3% nel caso base, in cui la percentuale si attesterebbe al 10%.

“A differenza degli anni ’30, quando i paesi avevano relazioni commerciali più equilibrate, il mondo di oggi è caratterizzato da un sistema a raggiera con gli Stati Uniti al centro”, dice Marta Bengoa, professoressa di economia internazionale alla City University di New York. “Questo rende la ritorsione economicamente meno desiderabile per la maggior parte dei paesi, anche quando potrebbe essere politicamente soddisfacente. Trump ha chiarito di essere pronto ad aumentare ulteriormente i dazi in caso di ritorsioni” dice ancora Bengoa. “Molti Paesi hanno imparato dalla guerra commerciale del 2018-2019 che le ritorsioni spesso portano a contro-ritorsioni piuttosto che a soluzioni negoziate”.

Il principale partner commerciale degli Stati Uniti, il Messico, non ha reagito dopo essere stato colpito a marzo da dazi del 25% sulle esportazioni non coperte dall’accordo tra Stati Uniti, Messico e Canada. Fin dall’inizio dei colloqui con Trump, la presidente Claudia Sheinbaum ha dichiarato di preferire un accordo.

L’incapacità del mondo di unirsi e affrontare collettivamente le minacce di Trump ha inoltre lasciato al presidente degli Stati Uniti più spazio per colpire i singoli stati. La scorsa settimana ha minacciato un dazio del 50% sul Brasile, citando giustificazioni in gran parte politiche.

Cina e Canada: dopo le ritorsioni fanno qualche passo indietro

Ma persino Canada e Cina si sono dimostrati cauti nell’inimicarsi Trump, nonostante siano stati gli unici due Paesi ad aver imposto tariffe di ritorsione. I dazi statunitensi sulla Cina sono saliti al 145% a metà aprile, causando un crollo di un terzo delle esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti a maggio. Entrambe le parti hanno fatto rapidamente un passo indietro, concordando una pausa di 90 giorni a Ginevra a maggio, riducendo l’aliquota al 30%.

A febbraio e marzo, il Canada ha imposto dazi di ritorsione per quasi 155 miliardi di dollari canadesi, tra cui acciaio e componenti per auto. Nelle ultime settimane, tuttavia, ha fatto marcia indietro di fronte alle pressioni degli Stati Uniti, nonostante le promesse elettorali del premier canadese Mark Carney di affrontare Trump. Con il commercio statunitense che rappresenta il 20% del Pil canadese, rispetto al 2% degli Stati Uniti, Carney ha calibrato le sue risposte. Ha abbandonato la tassa sui servizi digitali sotto la pressione degli Stati Uniti e non ha seguito la decisione di Trump del mese scorso di raddoppiare i dazi sull’acciaio al 50%.

Trump minaccia l’arrivo di dazi sui farmaci dal 1°agosto

Intanto, alla lunga lista di prodotti colpiti dalle nuove tariffe americane, ora si aggiungono anche i farmaci. Il presidente Donald Trump ha annunciato che dal 1° agosto potrebbero scattare nuove tariffe sulle importazioni di prodotti farmaceutici, nel quadro della sua strategia di “dazi reciproci” contro i Paesi accusati di trattare in modo iniquo gli Stati Uniti.

Il piano prevede un’escalation graduale: dazi inizialmente contenuti, per dare alle multinazionali del settore circa un anno di tempo per rilocalizzare la produzione sul suolo americano, seguiti da aumenti ben più consistenti. Secondo fonti citate da Bloomberg, l’obiettivo finale potrebbe arrivare fino al 200% di tariffa su alcune categorie di farmaci.

“Cominceremo con un dazio basso per dare alle aziende il tempo di adattarsi, poi lo alzeremo di molto”, ha spiegato Trump. Il presidente ha spiegato che l’iniziativa si muove nel solco delle misure già adottate su acciaio e alluminio, facendo leva sulla Section 232 del Trade Expansion Act del 1962, che consente di introdurre tariffe per motivi di sicurezza nazionale.

Se attuata, la mossa potrebbe avere conseguenze pesanti per l’intero settore farmaceutico globale. Colossi come Pfizer, Merck ed Eli Lilly, che producono gran parte dei loro farmaci all’estero, rischiano di vedere aumentare drasticamente i costi di accesso al mercato americano. E a pagarne il prezzo, come già accaduto in altri settori colpiti dai dazi, potrebbero essere in ultima analisi anche i consumatori statunitensi, che si troverebbero di fronte a un possibile aumento dei prezzi dei medicinali.

La minaccia non riguarda solo i farmaci. Trump ha parlato anche di un’azione simile per i semiconduttori, “meno complicata” da attuare secondo le sue parole, ma ha evitato di fornire dettagli.

Intanto, l’Unione Europea osserva con crescente preoccupazione. Il vicepresidente della Commissione Maroš Šefčovič è atteso a Washington per una nuova tornata di colloqui, mentre da Pechino arriva una condanna netta: “I dazi interferiscono con i mercati e creano turbolenze nel mondo”, ha dichiarato il governo cinese.

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