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Confindustria: manifattura italiana al top per investimenti, ma frenata da contesto economico

L’analisi del Centro studi di Confindustria confuta l’opinione comune che vede l’industria italiana ai margini europei per propensione all’investimento. Secondo il rapporto del Csc il comparto manifatturiero italiano investe ma la sua capacità di spesa è ridotta dal contesto economico e istituzionale in cui opera

Confindustria: manifattura italiana al top per investimenti, ma frenata da contesto economico

Il sistema produttivo italiano è molto spesso accusato di poca propensione agli investimenti e scarsa spesa per l’innovazione aziendale. Ma l’analisi mensile del centro studi di Confindustria dimostra come questa sia una visione erronea della realtà industriale del paese. L’attività manifatturiera in Italia ha una forte propensione all’investimento, addirittura tra le più alte al mondo. I dati pubblicati da Confindustria sono molto chiari: 22,8% dell’Italia, seguita del 21,1% del Giappone, il 19,2% degli Stati Uniti, il 13,2% della Germania e il 12,5% della Francia. Prima dell’Italia, Confindustria segnala soltanto la Corea del Sud che registra un 30,6%. 

Ad incidere negativamente sull’imprese italiane sono soprattutto la crisi economica e le pessime condizione istituzionali in cui l’industria italiana è costretta ad operare. La crisi globale ha comportato un forte incremento del credit crunch, un peggioramento delle prospettive della domanda e una notevole erosione della redditività aziendale. A cui si aggiunge uno scarso sostengo pubblico, una forte pressione fiscale e notevoli difficoltà per l’accesso al credito finanziario. 

Propensione all’investimento 
Un monito all’Italia è arrivato anche dalla Commissione europea. Nel documento con cui Juncker ha presentato all’Unione il piano di investimenti strategici ha criticato l’Italia per il basso livello di investimenti e la scarsa qualità a cui si aggiunge un sistema finanziario obsoleto e un contesto imprenditoriale inadeguato. La Commissione non manca di sottolineare anche come il rapporto tra spesa in ricerca e sviluppo e Pil sia la metà della media europea: “L’economia italiana – scrive la Commissione – si fonda ancora sulla produzione di beni tradizionali a contenuto tecnologico medio-basso”. Ma il rapporto del CSC focalizza l’attenzione sul comparto industriale e ricorda come la “spesa per R&S nel settore privato italiano sia stata coperta per il 74% dal totale dal settore manifatturieeo nel 2012, mentre in Germania la quota è stata addirittura dell’86%”. 

L’industria italiana quindi presenta una bassa capacità di spesa causata della crisi globale, ma mantiene una forte propensione all’investimento. Tra il 2008 e il 2013 il crollo degli investimenti ha inciso fortemente sulla capacità produttiva delle aziende italiane, aggravando il calo del Pil del paese e rendendo più complessa la ripresa economica. 

Tuttavia – si legge nel rapporto – “guardando al rapporto tra investimenti e valore aggiunto manifatturiero emerge in modo inequivocabile come l’Italia si caratterizzi per un grado di propensione all’investimento delle sue imprese industriali relativamente stabile nel tempo e tra i più alti al mondo, propensione che gli anni della lunga crisi economica hanno scalfito solo marginalmente”. In sostanza, le imprese italiane vantano una forte propensione all’investimento frenata però da un contesto economico con reddivitità ai minimi storici, credit crunch, crollo dei consumi interni e abbassamento della domanda estera. 

Contesto istituzionale
Oltre alla crisi economica anche il contesto istituzionale e il sostegno pubblico all’imprese incide sulla produttività del comparto industriale del paese. 

L’analisi del CSC si sofferma anche su quest’aspetto denunciando “il grave ritardo del Paese rispetto alle principali economie avanzate a causa dell’assenza, per lungo tempo, di una politica industriale capace di incidere in modo significativo sulle strategie d’investimento delle imprese.” A ciò si aggiungono le risorse finanziarie messe a disposizione delle imprese giudicate da Confindustria totalmente insufficienti per ridurre i rischi della ricerca. 

Dal rapporto emerge la necessità di supportare maggiormente le ricerca industriale e alleggerire il carico fiscale sul tessuto imprenditoriale del paese. Se da una parte infatti, la Nuova Sabatini ha stimolato gli acquisti di macchinari e impianti, dall’altra la tassazione patrimoniale dei beni strumentali all’attività produttiva appare contradditoria e sfavorevole per le imprese. Infine, secondo l’analisi di CSC occorre facilitare l’accesso al credito e alle risorse finanziarie “attivando misure già allo studio del Governo che prevedono l’emissione di particolari strumenti finanziari, i c.d. industrial bond, ed eliminando i vincoli fiscali ancora esistenti per lo sviluppo di canali di finanzamento alternativi al credito bancario”. 

 

 

 


Allegati: Analisi dal CSC.pdf

Pubblicato in: News

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