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Confidi, radiografia della realtà italiana

Presentata la ricerca del Comitato Torino Finanza realizzata in collaborazione con ESCP Europe e il Dipartimento di Management dell’Università di Torino – La situazione dell’accesso al credito dal punto di vista dei confidi.

Confidi, radiografia della realtà italiana

Oltre un quarto delle PMI italiane chiede un finanziamento attraverso una struttura di garanzia, ma diversi fattori (tra cui insolvenze delle imprese e contrazione dei fidi erogati), evidenziano il grave trend negativo nel mercato nazionale delle garanzie e l’arrivo di un momento di svolta cruciale per i confidi stessi. È il quadro che emerge dalla ricerca (giunta alla sua VII edizione) “I confidi in Italia”, promossa dal Comitato Torino Finanza, presentata oggi a Torino e realizzata in collaborazione con ESCP Europe e il Dipartimento di Management dell’Università di Torino. Si tratta dell’unico studio disponibile in Italia che analizza l’ultimo bilancio ufficiale, per cui al 31 dicembre 2014, dei consorzi di garanzia.

I risultati dell’indagine rivelano un massiccio ricorso allo strumento del credito da parte della piccola e media imprenditoria e sostanzialmente fotografano l’andamento negativo del credito: oltre il 7% in meno di garanzie erogate rispetto all’anno precedente.

Attraverso l’analisi delle risposte al questionario sottoposto a tutti i consorzi di garanzia fidi iscritti come intermediari, i ricercatori hanno rilevato dati fortemente negativi, in particolare quelli riferiti al rapporto con le imprese (che si associano per ottenere una garanzia nella richiesta del credito alle banche): riduzione dello stock di garanzie prestate, forte erosione dei patrimoni di vigilanza, aumento delle perdite per insolvenze su garanzie prestate, peggioramento della solvibilità, diminuzione degli importi medi affidati (-7,8%).

Protagonisti del mercato, al 30 settembre 2015, sono 396 confidi, di cui 56 iscritti nell’apposito elenco speciale dei vigilati dalla Banca d’Italia (ex art. 107) e 347 appartenenti invece alla categoria dei confidi non vigilati, cosiddetti 106. Nel complesso, la maggior parte (il 46%) dei consorzi è localizzata al sud; il 20% ha invece sede al centro, mentre al nord è il 34% dei consorzi. Ed è al nord che opera la maggior parte dei confidi vigilati e che si verifica la maggiore una contrazione delle garanzie.

Il numero totale dei confidi è in diminuzione (-8 rispetto all’anno precedente), complici anche i nuovi requisiti richiesti dalla Banca d’Italia e dal legislatore che spingono i protagonisti del settore verso le aggregazioni. Tra i risultati della ricerca di Torino Finanza, emerge anche questo: l’introduzione di un volume di attività finanziaria minimo, in precedenza pari a75 milioni di euro, ha effettivamente stimolato fenomeni di aggregazione che hanno portato ad una razionalizzazione del sistema. In tal senso, il 2015 è l’anno che ha visto il maggior numero di aggregazioni degli ultimi 5 anni, con 13 confidi interessati in totale.

Un percorso che, rispetto ai confidi non vigilati, vede un maggior coinvolgimento delle strutture vigilate, molte delle quali dichiarano di aver pianificato almeno un’operazione per i prossimi due anni. La razionalizzazione dell’attività e il perseguimento di economie di scala sono l’intento principale di tali operazioni, soprattutto per i confidi ex art. 107. Per i non vigilati uguale importanza (34%) viene data al raggiungimento di una dimensione minima necessaria per competere efficacemente con altri confidi.

Quanto al mercato delle garanzie, si conferma molto concentrato al suo interno: i 56 confidi 107 detengono la maggior parte delle garanzie in essere del mercato. Tali player sono prevalentemente al centro-nord: nella classifica dei Top 5 confidi nazionali ci sono infatti Eurofidi (Piemonte), Italia ComFidi (Toscana), Artigiancredito Toscano, Unifidi Emilia Romagna, Unionfidi Piemonte.

Se la numerosità e la penetrazione dei confidi nel tessuto produttivo sembrano mostrare un quadro dinamico della situazione, l’analisi dei bilanci dei consorzi rivela che le difficoltà delle imprese si riflettono direttamente sugli organismi che ne intermediano le richieste di credito. 

Il 56% dei confidi ha visto diminuire la propria dotazione patrimoniale (in molti casi di entità con decremento superiore al 10%) e peggiora il trend di diminuzione già osservato nel 2013. La ragione più probabile dei decrementi patrimoniali è da ricercarsi nella copertura perdite per insolvenze. 

Le dinamiche di decremento patrimoniale hanno avuto impatti sulla solvibilità dei confidi italiani, che si riduce per un terzo degli organismi analizzati, in una situazione che rimane problematica (il 30% dei confidi ha diminuito il proprio indice TCR con decrementi registrati anche superiori al 10% rispetto all’esercizio precedente).

La maggior parte dei confidi analizzati, pari all’80%, è stata interessata da una riduzione dello stock di garanzie erogate; solamente 11 strutture sono state caratterizzate da un incremento degli stock in essere, ma solo grazie al beneficio di cospicui fondi pubblici. La crisi colpisce quindi lo stato di salute dei confidi, la maggior parte dei quali (59%) ha peggiorato il proprio risultato operativo rispetto all’esercizio precedente.

Onda lunga della crisi, disintermediazione del credito, obblighi richiesti dalla vigilanza della Banca d’Italia: uno scenario che fa parlare i ricercatori di “svolta necessaria” per i confidi, in termini di organizzazione, di gestione e di strategia.

Tale situazione sembrerebbe compresa dal management delle strutture di garanzia che si stanno attrezzando, in primis, per affrontare la gestione dei rischi ex post, attraverso maggiori accantonamenti, operazioni di work-out e ristrutturazione di posizioni problematiche. Inoltre, per cercare di accorciare i tempi della ripartenza e ipotizzare il proprio ruolo nel lungo periodo, molti confidi hanno cominciato a valutare un cambio di strategia.

Dall’analisi dei ricercatori, si osservano due principali percorsi possibili: il mantenimento del modello di business tradizionale, provando ad ampliarlo (confidi definiti “conservatori”) e il ripensamento del modello di business (confidi “innovatori”), individuando nuove specifiche all’interno del loro business, come la differenziazione di prodotto e/o di target, cambiamenti radicali del core business e specializzazione su verticali operative.

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