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Commissione Ue, tempi lunghi per il presidente. Si va verso la Grosse Koalition?

L’indebolimento significativo del Ppe, dell’Alde e quello più contenuto del S&D (grazie all’apporto del Pd di Renzi), sommato alla crescita delle formazioni antieuropee, rende più incerta la prospettiva di una nuova edizione della Grosse Koalition – Ma la vaga procedura stabilita dal Trattato di Lisbona potrebbe riproporre questa soluzione.

Commissione Ue, tempi lunghi per il presidente. Si va verso la Grosse Koalition?

“Abbiamo avuto un utile primo confronto”. Si è espresso così Herman Van Rompuy rivolgendosi ai giornalisti al termine del Consiglio europeo straordinario tenutosi a Bruxelles quarantott’ore dopo la chiusura delle urne per l’elezione del nuovo Europarlamento. Una breve frase di circostanza dove una sola parola – l’aggettivo “primo” – è sufficiente per anticipare subito il senso politico del vertice conviviale dei 28 capi di Stato o di governo a Palazzo Justus Lipsius. 

Ma questi leader paiono aver bisogno di tempo per “elaborare”, come dicono gli psicologi, lo choc provocato dai risultati del voto continentale prima di proporre un nome per la nuova presidenza della Commissione europea. Confermando così di fatto la prassi secondo la quale la scelta del vertice dell’Esecutivo comunitario è stata sinora un affare risolto a porte chiuse dai governi degli Stati membri. E sostanzialmente smentendo, pur se solo in parte, la regola introdotta a fine 2009 dal Trattato di Lisbona secondo la quale tocca, sì, al Consiglio indicare il nome del nuovo presidente della Commissione, ma compete all’Europarlamento ratificarla a maggioranza assoluta. 

Una regola che però è un capolavoro di vaghezza. Poiché da un canto afferma che la scelta del Consiglio deve “tener conto del risultato delle elezioni europee”; e quindi, a rigor di logica, l’incarico potrebbe essere affidato da subito a Jean-Claude Juncker. Il quale, in quanto candidato ufficiale del Partito popolare europeo che ha vinto le elezioni, ha già ricordato che quel posto tocca a lui. Ma d’altro canto lo stesso Trattato precisa che il Consiglio opererà la scelta “dopo aver effettuato le consultazioni appropriate”. Consultazioni al proprio interno fra gli Stati membri Ue? Nel qual caso lasciando intendere che, di riffe o di raffe, la vecchia procedura in qualche misura è stata lasciata sopravvivere. Oppure si intende che queste consultazioni debbano tenersi fra lo stesso Consiglio e l’Europarlamento?  

Per rispondere a queste domande, è utile in prima istanza far riferimento alla procedura, oggettivamente complessa, introdotta dal Trattato. Dove si stabilisce testualmente che il Consiglio “elegge il presidente della Commissione”. Ma, se compete al Consiglio “eleggere” il titolare del vertice di Berlaymont, il palazzo di Bruxelles sede della presidenza del “governo” Ue, ci si potrebbe chiedere qual è allora il senso del voto dell’Europarlamento. Il senso va individuato – potrà essere la risposta a questa domanda – nella volontà di rafforzare il peso politico del ruolo di “codecisore legislativo” che il Trattato ha assegnato all’unico organo dell’Unione europea eletto a suffragio universale da quattrocento milioni di di cittadini.

Interpretazione, questa, rafforzata dai contenuti della lettera recapitata a Herman Van Rompuy poco prima dell’inizio del vertice di martedì sera, con cui la Conferenza dei presidenti di quest’ultimo organo (che, oltre a Martin Schulz, comprende i capi dei gruppi  parlamentari) illustra la propria posizione assunta “con il consenso di buona parte dei deputati neo-eletti” oltre che degli eurodeputati uscenti. In questa lettera, premesso che Parlamento e Consiglio europei “sono responsabili congiuntamente del buon andamento della procedura per l’elezione del presidente della Commissione”, la Conferenza ribadisce l’obiettivo di investire “il candidato della famiglia politica in grado di mettere insieme la maggioranza qualificata” dell’Assemblea di Strasburgo. E anticipa che “il primo a tentare la formazione della maggioranza richiesta (almeno 376 deputati sul nuovo totale di 731 – n.d.r.) sarà il lussemburghese Jean-Claude Juncker”, cioè il candidato ufficiale del Ppe. Che però non gode in questo frangente di grandi simpatie in area S&D.

Se il tentativo preannunciato dalla Conferenza dei presidenti non andasse in porto, si potrebbe aprire la strada per il socialista Martin Schulz, che però non gode di molte simpatie nell’ancora folto gruppo dei popolari. Nel caso poi che i candidati ufficiali di entrambi i gruppi più numerosi non dovessero farcela potrebbe esserci spazio per un candidato di mediazione come il liberaldemocratico belga Guy Verhofstadt o persino per un esterno all’Ue, la direttrice del Fondo monetario internazionale, la francese dell’Ump Christine Lagarde, sostenuta da Sarkozy. Candidatura che non si sa quanto potrebbe essere “digerita” dai socialisti & democratici.

E qui siamo al nocciolo politico della questione: non soltanto il confronto, usuale in ogni Parlamento, fra destra e sinistra; ma anche quello fra i Paesi paladini dell’austerità economica (la Germania e qualche Stato membro nordico) e quelli che puntano a una politica di stimolo della crescita e di sostegno dell’occupazione (i Paesi mediterranei, Francia compresa, e molti dell’Europa centrale). 

Il confronto destra-sinistra (o, in questo caso, più correttamente centrodestra-centrosinistra) si è accentuato per effetto dei risultati elettorali. Che hanno portato da un lato a un arretramento dei tre partiti uniti in questi anni in una sorta di Grosse Koalition alla tedesca: calo di dimensioni più significative per i popolari e i liberaldemocratici, ma più contenuto per il gruppo dei socialisti & democratici anche per effetto del grosso successo di Matteo Renzi. E dall’altro a un’avanzata di nuovi soggetti politici sia di destra sia di sinistra. Basti citare il Front national e l’Ukip, che hanno conquistato il primo posto rispettivamente in Francia e in Gran Bretagna, Ma non solo. I partiti di destra, anche estrema, hanno stracciato gli avversari in Ungheria e quello di sinistra radicale Syriza in Grecia. Anche in Danimarca la competizione elettorale ha registrato il successo di un partito antieuropeo E, sia pure con numeri meno clamorosi, va segnalata la crescita della Lega Nord in Italia, dell’Alternativa in Germania e della FPO in Austria. Partiti che, insieme con un manipolo di più o meno nuove formazioni politiche perlopiù di estrema destra, sono tutti attestate su posizioni euroscettiche.

Un quadro che genera allarme nei partiti più europeisti e che potrebbe far saltare l’ipotesi, tutta da verificare, di una riproposizione della grosse Koalition. Anche perché, per esempio, nell’area di centrodestra si registrano alcuni maldipancia. Come quello del premier conservatore britannico David Cameron che (forse tentato dalla prospettiva di un’intesa con il leader di Ukip Nigel Farage) si è messo di traverso sulla strada di Juncker, da lui definito “troppo europeo”. Mentre sul fronte del centrosinistra va registrata l’irrequietezza politica del vulcanico candidato socialista Martin Schulz, presidente uscente dell’Europarlamento, che sembra accarezzare la prospettiva di un’alleanza con i partiti della sinistra radicale.

Ipotesi, l’una e l’altra, da verificare intanto sul fronte dei numeri alla luce della collocazione dei nuovi eletti: a Strasburgo per formare un nuovo gruppo parlamentare sono necessari 25 deputati appartenenti ad almeno un quarto (cioé 7) degli Stati membri Ue. E anche per i riflessi che potrebbero avere sulle dimensioni del consenso elettorale: dove prima, dove dopo, in alcuni Paesi si dovrà pur votare.

Ecco perché il presidente uscente dell’Unione Herman Van Rompuy, da navigato politico di lunga esperienza (cattolico e fiammingo, già primo ministro e ministro del complicatissimo Belgio), è stato molto molto cauto nelle sue dichiarazioni pubbliche rese prima e dopo il vertice. “Al centro del dibattito in Consiglio – ha detto – c’è stata una riflessione sul messaggio forte che gli elettori ci hanno trasmesso e che dovrà essere ulteriormente approfondito negli incontri del prossimo futuro”. Ha aggiunto che, come vuole il Trattato, il Consiglio è pronto ad avviare consultazioni con il Parlamento; in particolare con i presidenti dei gruppi parlamentari non appena saranno eletti (nella sessione plenaria che si apre il primo luglio – n.d.r.). E infine ha reso noto di aver ricevuto suggerimenti “da sei Paesi membri” sui temi più caldi dell’agenda strategica Ue, da rafforzare ovviamente per costruire una barriera in grado di bloccare l’avanzata delle spinte antieuropee. “Ora attendo quelli degli altri ventidue”, ha concluso.

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