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Cimolai, l’uso maldestro dei derivati mette in pericolo perfino un’azienda solidissima come quella di Pordenone

Le vicissitudini della Cimolai, gioiello del Made in Italy, stanno diventando un caso di scuola per i danni che l’abuso dei derivati può creare anche a un’azienda sanissima come quella di Pordenone

Cimolai, l’uso maldestro dei derivati mette in pericolo perfino un’azienda solidissima come quella di Pordenone

Tra poco più di un mese i riflettori di tutte le tv del pianeta si accenderanno sul nuovo, avveniristico stadio di Doha, dove prenderà il via il Mondiale di calcio del Qatar. 

Un’occasione di legittimo orgoglio per un gioiello creato da un’azienda made in Italy, la Cimolai di Pordenone, protagonista di questa come di tante altre imprese di progettazione, fornitura e montaggio di strutture in acciaio. Dalle paratoie del nuovo canale di Panama all’impianto parigino del Roland Garros fino alla prossima realizzazione della nuova stazione ferroviaria di Sesto San Giovanni. Ma è difficile che in casa Cimolai quel giorno ci sia voglia di far festa. 

Cimolai e l’abuso di contratti derivati 

L’azienda friulana, infatti, all’inizio di ottobre, è stata investita da una tempesta perfetta che sta mettendo sotto stress un gruppo che appariva granitico, più che solido. Prima che, a tre giorni dal funerale di Armando, 94 anni, il fabbro che nel 1949 diede il via ad una straordinaria avventura imprenditoriale, esplodesse un fulmine a ciel sereno: l’uso, anzi l’abuso di contratti derivati. 

Per carità, è assolutamente normale per un gruppo impegnato in un’intensa attività internazionale, con un portafoglio ordini di 800 milioni di euro, far ricorso a strumenti di protezione dal rischio valutario. Ma guai a farsi prendere la mano dai derivati, trasformando la garanzia in una scommessa finanziaria. Esattamente quel che è successo al direttore finanziario del gruppo (allontanato assieme al responsabile della tesoreria) che ha sottoscritto numerosi contratti con più banche scommettendo sul rialzo dell’euro sul dollaro. Sul mercato valutario però, si è verificato l’esatto opposto. Così è scattata la trappola dei “margin call”, cioè il reintegro delle garanzie sui contratti. 

Cimolai verso un aumento di capitale

Difficile capire perché il manager si sia intestardito in questa scommessa suicida, in tempi di rialzo dei tassi sul dollaro. Ancor più difficile comprendere i criteri di governance di quella che è una multinazionale, mica una bottega regionale: buona parte delle operazioni, da quel che è emerso, è stata condotta all’insaputa dell’amministratore delegato e degli azionisti. Ma una mappa precisa la si avrà solo nelle prossime settimane. Quando sarà conclusa la ricognizione di Lazard, la boutique finanziaria chiamata a ricostruire la mappa degli impegni finanziari del gruppo. Per ora le valutazioni sul rischio che incombe su Cimolai corrono tra i 150 ed i 400 milioni di euro nei confronti di numerose controparti, tra cui senz’altro Deutsche Bank, Intesa Sanpaolo ed Unicredit.

 Di sicuro sarà necessario un aumento di capitale ancora da quantificare. Magra consolazione: la multinazionale friulana non dovrebbe aver troppe difficoltà a trovare partner finanziari ed industriali, vista la solidità del business. Come scrive Lazard. Il prossimo aumento di capitale potrebbe trovare l’interesse “di controparti industriali internazionali”. 

Nel 2021 ricavi in aumento a 468 milioni

La gestione industriale, del resto, sembra più che solida. La Luigi Cimolai Holding, ha chiuso il 2021 con ricavi per 468 milioni di euro dai 407 del 2020, un ebitda di 26,2 milioni, in progresso seppur di poco rispetto all’anno precedente, e un debito netto di 66 milioni.  Insomma, la tegola piovuta sulla famiglia non dovrebbe compromettere il futuro. 

“Nonostante la drammatica congiuntura, nazionale e internazionale – recita una nota della famiglia – la gestione caratteristica è soddisfacente ed in linea con le attese. Il portafoglio ordini – oltre 800 milioni di euro – è ai massimi storici e potrà beneficiare ulteriormente degli investimenti previsti nell’ambito del Pnrr. L’indebitamento ordinario sarebbe del tutto fisiologico”. Insomma, una brutta botta che comporterà l’apertura del capitale dell’azienda (in cui lavorano Luigi, Ivana e Roberto) a partner internazionali come a suo tempo avvenne per Permasteelisa, il gruppo del Nord Est di cui Cimolai fu partner di maggioranza prima della cessione del controllo (tra i successi la sede di Apple a Cupertino). 

Una dura lezione che merita una riflessione: quante imprese rischiano oggi di finire sotto la scure dei “margin call”? La forte ascesa del dollaro ha spiazzato anche gli operatori più prudenti. E la lezione dei fondi pensione inglesi, soccorsi in questi giorni dalla Banca d’Inghilterra, ci dice che potrebbe essere consigliabile mettere a punto un quadro d’assieme prima di trovarci sommerse dalle emergenze. Anche le più insospettabili. In attesa del fischio d’inizio dei Mondiali in uno stadio perfetto.

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