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Ciclismo: Nibali, l’imprudenza di diventare “kazako”

Il campione italiano rischia di saltare anche il Tour se l’Uci, rimangiandosi l’ok già dato, ritirerà la licenza all’Astana dopo i ripetuti casi di doping – Il ciclismo dovrebbe bandire personaggi come Vinokourov e Rijs, troppo compromessi con l’Epo.

Ciclismo: Nibali, l’imprudenza di diventare “kazako”

Dopo le dichiarazioni di guerra all’ultima goccia di sangue contro il doping, aveva sorpreso non poco che l’Uci avesse mandato tutto in cavalleria i recenti casi di dopaggio multiplo all’Astana, concedendo la licenza “World Tour” al team kazako come se nulla fosse accaduto. Qualcuno, tra gli alti vertici della Federazione ciclistica mondiale, deve essersi guardato allo specchio vergognandosi di tanta faciloneria. Così ecco la stessa Uci richiedere alla commissione licenze di riesaminare il caso chiedendo di fatto l’esclusione dell’Astana dalle maggiori corse della stagione che sta entrando nel vivo. Per un ciclismo che ha patito ma alla fine metabolizzato il terremoto Armstrong con la squalifica del texano e di fatto l’annullamento della classifica dei suoi sette Tour vinti, una stagione senza l’Astana non sarebbe una tragedia, se non fosse che nella squadra che porta il nome stesso della capitale del Kazakistan corra Vincenzo Nibali, il dominatore dell’ultimo Tour, uno dei quattro grandi big del pedale mondiale. Big che già stanno affilando i coltelli per detronizzare Nibali dal suo regno giallo.

Addirittura Contador ha in programma la doppietta Giro-Tour. Chris Froome, che ha già vinto a febbraio la Ruta del Sol, si dice sicuro di tornare il marziano del 2013. Il colombiano Quintana aspetta le Alpi e i Pirenei per mettere in riga tutti. E lui, lo Squalo dello Stretto, il Cannibalì del Tour 2014, cosa fa? Rischia di stare al palo, piedi a terra, coinvolto nel marasma di un team che non riesce a perdere il vizio dell’Epo. Un vizio notorio conoscendo il passato della squadra kazaka e del suo stesso team manager, Alexander Vinokourov, dalla carriera ricca di successi – l’ultimo l’oro olimpico di Londra – ma segnata da troppi momenti bui e da una pesante squalifica per doping.

Anche Nibali – come del resto Fabio Aru, altra stella del pedale italiano passato agli ordini di Vino – lo sapeva che firmando un contratto (principesco) con il team di Vinokourov, sarebbe stato prima o poi interpellato sulle imbarazzanti vicende del recente passato in casa Astana, tanto è vero che, a scanso di equivoci, si era tutelato imponendo alla casa kazaka l’assunzione di uomini, compreso il medico personale di sua fiducia. E nel corso del suo sfolgorante Tour aveva più volte ripetuto che il doping era una maledizione del passato, da cui la squadra si era ormai redenta e ben attrezzata per combatterlo. Ma proprio pochi giorni dalla fine del Tour scoppiava il caso dei fratelli Maxim e Valentin Iglinskiy.

“Azioni personali, giustamente da punire, al di fuori però di ogni responsabilità della nostra équipe”, si era affrettato a dichiarare Vinokourov glissando sul fatto che Maxim era stato uno dei più preziosi gregari di Nibali al Tour. Quando il dossier dei due Iglinskiy sembrava sfumare, ecco addirittura uno dopo l’altro esplodere altri tre casi di doping  tra i giovani del team Continental, una sorta di “cantera” dell’Astana. Eppure, malgrado questi cinque casi nel giro di pochi mesi, l’Uci aveva dato l’ok alle corse, pur mantenendo sotto osservazione l’operato del team di Vinokourov e affidando un audit da realizzare all’Istituto di Scienza dello Sport dell’Università di Losanna.

Cosa mai è intervenuto a rimettere in forse questa decisione?  Probabilmente proprio dal rapporto, che è stato stilato nella città svizzera, non sono arrivate buone notizie per la squadra kazaka e per lo stesso Vinokourov che non è mai stato in grado di dissipare tutti i dubbi in sede Uci e che sembra – stando anche alle carte del processo di Padova – non abbia mai interrotto del tutto i rapporti con Michele Ferrari, il medico italiano espulso e interdetto dall’Uci, al centro dei più importanti casi di Epo, a partire da quello di Armstrong.

Comunque vada a finire il caso Astana, la morale dovrebbe essere una sola: il ciclismo per redimersi definitivamente dalla sua piaga antica non deve più affidarsi a personaggi compromessi con il doping e che sul dopaggio sistematico hanno costruito la loro carriera ciclistica, come è stata quella di Vinokourov ma anche di Bjarne Rijs, vincitore dopato confesso del Tour del 1996, oggi direttore tecnico della Tinkoff-Saxo, la squadra di Contador. Se non si ha il coraggio di metterli al bando, doloroso che sia l’atto di espulsione, si resterà sempre in una situazione di sospetto permanente, tra ricorsi e sentenze a tavolino che avviliscono il ciclismo.

E oggi ne va di mezzo un campione incolpevole come Nibali che si accinge – con quale spirito c’è da immaginarselo – ad affrontare i suoi tre grandi rivali – Froome, Quintana e Contador- in una Tirreno-Adriatico che promette scintille, sontuoso assaggio di una stagione che sulla carta ha tutta l’aria di essere stellare con un Tour che dovrebbe avere finalmente i fantastici quattro ai nastri di partenza. Sempre che il fattore doping, come si teme, non rovini tutto come da troppo spesso accade nel ciclismo.

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