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Censis: stranieri e salari, ecco perché gli italiani sono arrabbiati

Dal 52esimo Rapporto del Censis emerge il quadro di un Paese sempre più incattivito dalla crisi economica, che non ha fiducia sul futuro e che vede sempre con maggiore preoccupazione il fenomeno dell’immigrazione – Salari e spesa per istruzione ancora modesti rispetto ai Paesi europei – Crollo dei matrimoni (soprattutto religiosi): aumentano unioni di fatto e “singletudine”.

Censis: stranieri e salari, ecco perché gli italiani sono arrabbiati

Intolleranti, sottopagati, sotto-istruiti, ossessionati dai social network e soprattutto arrabbiati. E’ questo il quadro sugli italiani che emerge dal 52° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, che il Censis pubblica sul proprio sito con il titolo “L’Italia preda di un sovranismo psichico”. “La delusione per lo sfiorire della ripresa e per l’atteso cambiamento miracoloso ha incattivito gli italiani”, sostiene il rapporto indicando che “talvolta assume i profili paranoici della caccia al capro espiatorio, quando la cattiveria ‒ dopo e oltre il rancore ‒ diventa la leva cinica di un presunto riscatto e si dispiega in una conflittualità latente, individualizzata, pulviscolare”.

L’Italia fotografata dal Censis è ormai il Paese dell’Unione europea con la più bassa quota di cittadini che affermano di aver raggiunto una condizione socio-economica migliore di quella dei genitori: il 23%, contro una media Ue del 30%, il 43% in Danimarca, il 41% in Svezia, il 33% in Germania. Il 96% delle persone con un basso titolo di studio e l’89% di quelle a basso reddito sono convinte che resteranno nella loro condizione attuale, ritenendo irrealistico poter diventare benestanti nel corso della propria vita. Il 56,3% degli italiani dichiara al Censis che non è vero che le cose nel nostro Paese hanno iniziato a cambiare veramente.

SICUREZZA E IMMIGRATI

Uno dei temi più sentiti, forse il più sentito, è quello legato all’immigrazione, come è emerso dalle stesse elezioni dello scorso 4 marzo. Il 63% degli italiani vede in modo negativo l’immigrazione da Paesi non comunitari (contro una media Ue del 52%) e il 45% anche da quelli comunitari (rispetto al 29% medio). I più ostili verso gli extracomunitari sono gli italiani più fragili: il 71% di chi ha più di 55 anni e il 78% dei disoccupati, mentre il dato scende al 23% tra gli imprenditori. Il 58% degli italiani pensa che gli immigrati sottraggano posti di lavoro ai nostri connazionali, il 63% che rappresentano un peso per il nostro sistema di welfare e solo il 37% sottolinea il loro impatto favorevole sull’economia. Per il 75% l’immigrazione aumenta il rischio di criminalità.

Non solo: la “insopportazione” degli altri sdogana i pregiudizi, anche quelli prima inconfessabili. Le diversità dagli altri sono percepite come pericoli da cui proteggersi: il 69,7% degli italiani non vorrebbe come vicini di casa i rom, il 69,4% persone con dipendenze da droga o alcol. Il 52% è convinto che si fa di più per gli immigrati che per gli italiani, quota che raggiunge il 57% tra le persone con redditi bassi. Rispetto al futuro, nonostante l’elezione di un Governo che promette il massimo da questo punto di vista, il 35,6% degli italiani è pessimista perché scruta l’orizzonte con delusione e paura. E addirittura il 63,6% è convinto che nessuno ne difenda interessi e identità e che debbano pensarci da soli (e la quota sale al 72% tra chi possiede un basso titolo di studio e al 71,3% tra chi può contare solo su redditi bassi).

SALARI E POVERTA’

Ovviamente la cattiveria nasce anche e soprattutto da problemi economici: il potere d’acquisto delle famiglie italiane è ancora inferiore del 6,3% in termini reali rispetto a quello del 2008, e la forbice nei consumi tra i diversi gruppi sociali si è visibilmente allargata. Tra il 2000 e il 2017 nel nostro Paese il salario medio annuo è aumentato solo dell’1,4% in termini reali. La differenza è pari a poco più di 400 euro annui, 32 euro in più se considerati su 13 mensilità. Nello stesso periodo in Germania l’incremento è stato del 13,6%, quasi 5.000 euro annui in più, e in Francia di oltre 6.000 euro, cioè 20,4 punti percentuali in più. Se nel 2000 il salario medio italiano rappresentava l’83% di quello tedesco, nel 2017 è sceso al 74% e la forbice si è allargata di 9 punti. Tra il 2007 e il 2017 gli occupati con età compresa tra 25 e 34 anni si sono ridotti del 27,3%, cioè oltre un milione e mezzo di giovani lavoratori in meno.

POLITICI “TUTTI UGUALI”

Metà degli italiani ritiene banalmente che “i politici siano tutti uguali”. Questo ha portato alla conferma e al consolidamento dell’astensionismo. L’area del non voto in Italia si compone di 13,7 milioni di persone alla Camera e 12,6 milioni al Senato: sono gli astenuti e i votanti scheda bianca o nulla alle ultime elezioni politiche. La percentuale dell’area del non voto sul totale degli aventi diritto è salita dall’11,3% del 1968 al 23,5% del 1996, fino al 29,4% del 2018. Per non parlare poi del clima di fiducia rispetto ad altri Paesi europei: alla vigilia delle elezioni europee del 2014, nel mezzo della crisi, i cittadini dei 28 Stati che dichiaravano di avere fiducia nell’Ue erano il 31%, ovvero 11 punti in meno del valore registrato nella primavera di quest’anno (42%). Ma l’Italia non fa parte del gruppo di Paesi protagonisti di questo rialzo: il timore di rimanere senza un’occupazione è espresso dall’83% dei cittadini in Grecia e dal 69% in Italia, contro una media europea solo del 44%.

ISTRUZIONE E FORMAZIONE

Italiani sempre meno istruiti, rispetto agli investimenti sul Pil e in confronto con gli altri Paesi europei. Il Censis rileva che l’Italia investe in istruzione e formazione il 3,9% del Pil, contro una media europea del 4,7%. Investono meno di noi solo Slovacchia (3,8%), Romania (3,7%), Bulgaria (3,4%) e Irlanda (3,3%). Tra il 2014 e il 2017 i laureati italiani di 30-34 anni sono passati dal 23,9% al 26,9%, ma nello stesso periodo la media Ue è salita dal 37,9% al 39,9%: ben 13 punti percentuali in più. Gli abbandoni precoci dei percorsi di istruzione nel 2017 riguardano il 14% dei giovani 18-24enni, contro una media Ue del 10,6%.

SOCIAL NETWORK E FAKE NEWS

Sui social si consuma una contraddizione: da un lato gli italiani li utilizzano sempre di più e pensano che attraverso Internet chiunque possa arrivare facilmente al successo, oltre al fatto di poter trovar risposta a tutte le domande; dall’altro la funzione dei social network nella comunicazione politica è definita inutile o addirittura dannosa dal 52,9% degli italiani. Oggi il 78,4% degli italiani utilizza Internet, il 73,8% gli smartphone con connessioni mobili e il 72,5% i social network. Nel caso dei giovani (14-29 anni) le percentuali salgono rispettivamente al 90,2%, all’86,3% e all’85,1%. I consumi complessivi delle famiglie non sono ancora tornati ai livelli pre-crisi (-2,7% in termini reali nel 2017 rispetto al 2007), ma la spesa per i telefoni è più che triplicata nel decennio (+221,6%): nell’ultimo anno si sono spesi 23,7 miliardi di euro per cellulari, servizi di telefonia e traffico dati.

“E abbiamo finito per sacrificare ogni mito, divo ed eroe sull’altare del soggettivismo, potenziato nei nostri anni dalla celebrazione digitale dell’io. Nell’era biomediatica, in cui uno vale un divo, siamo tutti divi. O nessuno, in realtà, lo è più”, sostiene il Censis. La metà della popolazione (il 49,5%) è convinta che oggi chiunque possa diventare famoso (il dato sale al 53,3% tra i giovani di 18-34 anni). Un terzo (il 30,2%) ritiene che la popolarità sui social network sia un ingrediente «fondamentale» per poter essere una celebrità, come se si trattasse di talento o di competenze acquisite con lo studio (il dato sale al 41,6% tra i giovani). Ma, allo stesso tempo, un quarto degli italiani (il 24,6%) afferma che oggi i divi semplicemente non esistono più. E comunque appena uno su 10 dichiara di ispirarsi ad essi come miti da prendere a modello nella propria vita (il 9,9%). In più, il 41,8% crede di poter trovare su internet le risposte a tutte le domande (il 52,3% tra i giovani).

E se è vero che la funzione dei social network nella comunicazione politica è definita inutile o addirittura dannosa dal 52,9% degli italiani, è altresì significativo che il 47,1% li giudichi al contrario utili o preziosi perché eliminano ogni filtro nel rapporto tra cittadini e leader politici.

MATRIMONI E “SINGLETUDINE”

Gli italiani sembrano sempre meno interessati ai matrimoni, soprattutto a quelli religiosi (addirittura, in un precedente rapporto il Censis aveva stimato che nel 2031 non esisterà più il matrimonio in Chiesa). Ci si sposa dunque sempre di meno e ci si lascia sempre di più. Dal 2006 al 2016 i matrimoni sono diminuiti del 17,4%, passando da 245.992 a 203.258. A diminuire sono soprattutto gli sposalizi religiosi (-33,6%), mentre quelli civili sono aumentati del 14,1%, fino a rappresentare il 46,9% del totale. Le separazioni sono aumentate dalle 80.407 del 2006 alle 91.706 del 2015 (+14%), mentre i divorzi, anche per impulso della legge sul divorzio breve, raddoppiano letteralmente, passando dai 49.534 del 2006 ai 99.071 del 2016 (+100%). E cresce la “singletudine”: le persone sole non vedove sono aumentate de 50,3% dal 2007 al 2017 e oggi sono poco più di 5 milioni.

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