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Cdp: il nuovo vertice e i rischi di nuovo statalismo

L’avvicendamento di Bassanini e Gorno Tempini, dopo l’eccellente lavoro svolto in molti anni, era atteso. Ma non è chiaro quale missione il Governo voglia affidare al nuovo vertice. Taranto, Sace e soprattutto la banda larga Telecom sarebbero all’origine del ricambio mentre sale la pressione neo-statalista per fare di Cdp una nuova Iri: grave errore

Cdp: il nuovo vertice e i rischi di nuovo statalismo

Che i vertici della Cassa Depositi e Prestiti fossero destinati a cambiare alla scadenza del loro mandato, cioè, all’inizio dell’anno prossimo, era dato per certo dai più. Il presidente Franco Bassanini e l’Ad Giovanni Gorno Tempini hanno svolto un lavoro eccellente trasformando la Cassa in un forte protagonista del sistema economico italiano, ma dopo molti anni un avvicendamento era nell’ordine naturale delle cose.

Non sono quindi molto chiare le ragioni per le quali il Governo sarebbe in procinto di decidere un cambiamento dei vertici a pochi mesi dalla scadenza naturale e senza che vi siano stati problemi all’interno del Consiglio o nella gestione della Cassa. Al di là del valore delle persone che sembra saranno indicate per il nuovo vertice (Claudio Costamagna presidente e Fabio Gallia AD) sarebbe bene che il Governo chiarisse quale missione vuole affidare alla Cassa e con quali mezzi finanziari sarà possibile sostenere una eventuale ulteriore espansione della presenza della Cassa stessa nell’azionariato delle imprese italiane.

Intanto sarebbe auspicabile che gli strateghi di Palazzo Chigi, con in testa l’ex AD di Luxottica, Andrea Guerra, chiarissero all’opinione pubblica quali sono stati gli episodi che hanno incrinato i rapporti tra i vertici della Cassa ed il Governo. In mancanza di chiarimenti ufficiali i rumors negli ambienti finanziari sottolineano tre problemi: Acciaierie di Taranto, Sace, e Telecom. Nel primo caso la Cassa non ha potuto fare un intervento diretto nel capitale dell’azienda perché gli statuti le vietano di entrare in società che hanno i bilanci in perdita. Insomma la Cassa non può diventare un cronicario per ricoverare le aziende in crisi a causa , come nel caso di Taranto, di leggi confuse e di incapacità di gestione della politica. E sarebbe bene che Renzi ed i suoi consiglieri non modificassero questo orientamento.

Il caso della Sace che molti vorrebbero trasformare in banca dell’export è più complesso. Sicuramente in questo caso c’è una lotta di potere tra i vertici della Cassa e quelli della Sace, ma ci sono anche questioni molto serie legate alle ripercussioni della trasformazione in banca della società di assicurazione dei crediti all’export perché questo comporterebbe anche per Cassa l’ingresso sotto la vigilanza della Bce e quindi i vincoli di capitale che ne derivano. Con la conseguenza paradossale di frenare l’operatività della Cassa invece di ampliarla, come si vorrebbe. 

La terza questione è quella relativa a Telecom ed alla battaglia per la banda larga. Bassanini ha fatto di tutto per cercare di costringere Telecom a fare gli investimenti necessari a dotare il nostro paese di una infrastruttura indispensabile per incrementare la competitività dell’intero sistema. Ma Telecom per il momento sembra puntare più a difendere la propria rete di rame che a sostituirla con una nuova. E su questo lo scontro è stato durissimo, tanto che sembra che a Telecom si sia brindato all’uscita delle prime indiscrezioni sul cambio del vertice della Cassa. Ma non sembra che Recchi e Patuano abbiano effettivamente ragione di festeggiare.

Ora nell’azionariato di Telecom sta per entrare in posizione di comando Bollorè che vorrà certamente dettare le linee della sua strategia. Ma non sembra che il Governo sia intenzionato a cedere il comando di una società strategica come Telecom proprio nel momento in cui stanno per partire investimenti sulla rete di molti miliardi di Euro. Allora si vorrà fare entrare la Cassa anche nel capitale di Telecom per bilanciare la francese Vivendì, e quindi si procederà ad una rinazionalizzazione della Telecom ? 

Sicuramente nella politica italiana e nel mondo culturale sono sempre più forti le spinte per un maggior ruolo dello Stato nell’industria, insomma per la creazione di un nuovo Iri (adeguato ai tempi) per aiutare la ripartenza della nostra economia che dopo sette anni di crisi, è come se fosse uscita da una guerra. L’esperienza passata dell’IRI e dell’Eni, e quella attuale delle tante società controllate dai poteri locali, dimostra che una espansione della mano pubblica non porta più efficienza e quindi non risolve quello che è il vero problema di fondo dell’economia italiana, e cioè proprio l’eccesso del settore pubblico, la gestione politica, e spesso demagogica, dei problemi economici, il rifiuto delle regole di mercato, della competenza, della professionalità e del merito.

Sarebbe un grave errore se Renzi, pressato dall’urgenza di ottenere risultati visibili dalla ripresa economica soprattutto in termini di maggiore occupazione, si lasciasse trascinare verso un neo-statalismo. Sarebbe come voler curare il male proprio con l’agente patogeno che ne è all’origine.

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