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Catalogna e Spagna tra bond e Borsa: conviene comprare o no?

Da “IL ROSSO E IL NERO” di ALESSANDRO FUGNOLI, strategist di Kairos – Se il discorso dell’indipendenza viene definitivamente chiuso i rendimenti dei bond catalani risultano molto buoni, ma se la situazione resta ingarbugliata non è il caso di affrettarsi a comprare – La Borsa spagnola ha un P/e basso ma c’è una ragione: perciò attenzione

Catalogna e Spagna tra bond e Borsa: conviene comprare o no?

Decreti imperiali. Il 17 luglio 1932 7000 uomini delle milizie nazionalsocialiste, SA e SS, sfilano nel quartiere operaio di Altona, oggi parte di Amburgo. La manifestazione è autorizzata dal sindaco socialdemocratico, ma la provocazione è evidente. Le milizie armate comuniste scendono in piazza contro i nazisti e lo scontro è immediato. La polizia apre il fuoco in tutte le direzioni e uccide 18 manifestanti. Tre giorni dopo la Domenica di Sangue di Altona il cancelliere von Papen, cattolico conservatore, convince il presidente von Hindenburg a utilizzare i poteri speciali conferitigli dall’articolo 42 della costituzione di Weimar e a varare una Reichsexekution, un decreto esecutivo, con la quale il Reich scioglie il governo della Prussia, lo stato in cui era allora situata Altona. La Prussia, governata da una coalizione di centro-sinistra, viene così posta sotto il diretto controllo di von Papen.

Il commissariamento riporta sotto controllo la polizia prussiana, l’unica forza armata non privata del Reich che avrebbe potuto opporsi a von Papen. I nazisti sono già parte della sua coalizione e l’anno successivo, vinte le elezioni, potranno assumere tutti i poteri senza preoccuparsi della Prussia e della sua polizia.

L’articolo 42 di Weimar viene diritto dalla tradizione imperiale. Nell’ambito di una generale risistemazione giuridica e politica del Sacro Romano Impero, la dieta di Worms del 1495 aveva conferito all’imperatore il potere di commissariare i territori ribelli. Il 42 si reincarnerà nel 1949 nell’articolo 37 della Legge Fondamentale della Repubblica Federale. Quando muore Franco nel 1975, le due forze che guidano la transizione spagnola, popolari e Psoe, sono finanziate e guidate dalle fondazioni Adenauer e Ebert, che fanno capo alla Cdu e alla Spd. L’influenza tedesca sulla Spagna è molto forte e la costituzione del 1978 riprende in molte parti l’impianto di quella tedesca.

Tra gli articoli copiati, parola per parola, c’è l’ormai famoso 155, che traduce in spagnolo il 37 tedesco. Noah Feldman, filosofo del diritto di Harvard, ricorda nella sua rubrica su Bloomberg che i costituenti di Filadelfia bocciarono come illiberale la proposta di Madison di conferire al presidente la possibilità di commissariare uno stato ribelle. Fu solo dopo la Guerra di Secessione che il XIV Emendamento introdusse l’obbligo per gli stati di rispettare la costituzione, mentre più tardi la Corte Suprema, pensando più in termini storici che giuridici, dichiarerà che uno stato può lasciare l’Unione solo in caso di rivoluzione.

Sia come sia, che la Catalogna venga commissariata o no, che si dichiari indipendente o no, molti cominciano a chiedersi se ci sia valore nei bond spagnoli e catalani e nella borsa di Madrid. Sui governativi spagnoli non ci sembra ci sia particolare valore, quanto meno nei prossimi mesi. Certo, la Bce continuerà a sostenere i corsi di tutti, ma allora tanto vale restare sui governativi italiani, che rendono di più.

Più interessante il discorso sui bond della Generalitat catalana. Nelle scadenze lunghe, oltre il 2030, rendono più del 5 per cento. Come continua a ribadire il ministro de Guindos, la carta catalana è garantita dalla Spagna, ma de Guindos dà per scontato che l’indipendenza catalana sia impossibile. Per chi la pensa come lui, il rendimento è molto buono. Per chi pensa invece che la situazione possa rimanere a lungo ingarbugliata e caotica (cosa invero ben possibile) o addirittura diventare apertamente conflittuale non c’è nessuna fretta di comprare.

Quanto alla borsa spagnola, lo scenario di base è che si muova in linea con gli altri mercati europei, con un rischio verso il basso legato all’incertezza politica. David Rosenberg, che ha calcolato il rapporto prezzo utili aggiustato per il ciclo (Shiller P/E, detto anche Cape) per molti paesi, sostiene però che il Cape spagnolo è di 13.6, mentre quello mondiale è di 22. Prima di correre a comprare la Spagna, tuttavia, sarà bene dare un’occhiata a questa metrica così discussa.

Lo Shiller P/E. Premiato con un Nobel, lo Shiller P/E è una rielaborazione dell’idea che Graham e Dodd avanzarono nel 1934 e cioè che il P/E non va calcolato su un anno solo (che potrebbe essere particolarmente buono o cattivo) ma su una media di più anni. Shiller aggiunge alla media degli utili degli ultimi dieci anni la correzione per l’inflazione. Poiché di inflazione, nei dieci anni passati, ce ne è stata poca dappertutto, possiamo tranquillamente dire che lo Shiller P/E non è altro che il rapporto tra il prezzo di un’azione e la media degli utili del decennio precedente.

Lo Shiller P/E è stato e continua ad essere usato dai ribassisti come la prova che la borsa americana è cara al di là di ogni immaginazione. Se infatti il multiplo sugli utili 2018 è di 17 volte, questo sale a 26 se lo si calcola sui dieci anni. Poiché 26 è stato raggiunto solo in periodi di bolla prossima a scoppiare, il messaggio è chiaro.

Fino ad oggi lo Shiller P/E è stato dibattuto solo in relazione alla borsa americana. Applicandolo al resto del mondo, tuttavia, i suoi limiti diventano ancora più evidenti.

Rosenberg attribuisce alla borsa italiana il Cape più alto del mondo, 27.9, e alla Russia quello più basso, 3.5. Germania, Francia, Giappone, UK, Svizzera e Stati Uniti stanno tutti tra 20 e 26. Cina, Corea, Spagna e gli emergenti in generale sono più a buon mercato, tra 13 e 14.

Ma è possibile che la borsa spagnola sia davvero valutata a metà prezzo rispetto a quella italiana? Sì, e per un motivo molto semplice. La Spagna ha avuto utili sostanzialmente stabili negli ultimi anni, per cui il suo Cape è uguale al suo P/ E corrente. L’Italia ha avuto invece utili più alti nei primi anni, poi un lungo crollo e, di recente, una ripresa. Il crollo, abbassando la media decennale, alza drammaticamente il multiplo e ci fa sembrare particolarmente cari, cosa palesemente non vera.

Dopo la Yellen. I bond americani stanno manifestando nervosismo in vista della nomina, ormai imminente, del prossimo governatore della Fed. Usciti di scena Cohn e Warsh, sestano in lizza Taylor il falco, Powell la colomba e la Yellen eventualmente riconfermata. A Trump piacciono tutti e tre per motivi diversi. Taylor è superqualificato, dà l’idea di una rottura e piace ai repubblicani del Congresso. Powell garantisce tassi bassi. La Yellen piace ai mercati, ai democratici e in più garantisce tassi ragionevolmente bassi. Trump essendo Trump, non ci meraviglierebbe un tentativo di scegliere  tutti e tre. La Yellen potrebbe essere convinta a rimanere nel board come rappresentante della Fed di San Francisco, Taylor potrebbe essere nominato governatore e Powell suo vice (o il contrario). Se così fosse, il mercato rimarrebbe inizialmente perplesso, ma non si muoverebbe molto dai livelli attuali.

Draghi. Il mercato lo immaginava colomba ma lui, come al solito, è riuscito a esserlo ancora di più. Sommando i 120 miliardi di novembre e dicembre con i 270 dei primi nove mesi del 2018 arriviamo a 390 miliardi, pari al 40 per cento delle emissioni di debito pubblico dell’eurozona dei prossimi 12 mesi.

Il mercato pensava poi all’annuncio di una fine certa del Qe, ma Draghi ha detto che la macchina non si fermerà all’improvviso e continuerà anzi a correre finché l’inflazione non si sarà avvicinata al 2 per cento (non prima del 2020, nelle previsioni della Bce). Una giornalista della Frankfurter Allgemeine Zeitung, giornale liberale e duro oppositore di Draghi, gli ha chiesto maliziosamente se la Bce è disposta ad accelerare la fine del Qe nel caso economia e inflazione vadano meglio del previsto e la risposta è stata negativa.

L’asimmetria è evidente. In caso di sorprese negative, più Qe, in caso di sorprese positive il programma resta invariato. C’è poi il reinvestimento dei titoli in scadenza. Nulla vieta alla Bce di sostituire titoli brevi in scadenza con titoli lunghi o lunghissimi. Poiché l’ammontare medio mensile in scadenza sarà di 10-15 miliardi, la Bce avrà a disposizione per molti anni a venire uno strumento importante per influenzare l’andamento della curva e avrà un’arma in più di soccorso in caso di complicazioni politiche in Spagna o in Italia.

Dollaro e borse. In questo momento il dollaro ha tre fattori a suo favore, la Bce ultraespansiva, la possibilità di Taylor governatore e la riforma fiscale. È possibile che il mercato provi a spingersi fino a 1.15. Per chi ha dollari sarebbe un buon livello per uscire. Non è il caso di aspettare livelli ancora più favorevoli perché né Taylor né la riforma sono garantiti.

Le borse europee, in particolare gli esportatori tedeschi, ricevono dalla Bce e dall’euro più debole una spinta, ma anche qui non è il caso di farsi ambizioni eccessive. Gli utili europei sono buoni, ma non strepitosi, almeno quelli pubblicati fino a questo momento.

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