Condividi

Carte di pagamento: tutela del consumatore o delle lobby?

Il nuovo regolamento europeo sulle commissioni interbancarie che fissa precisi limiti alle transazioni rischia di favorire commercianti e banche ma di penalizzare i consumatori con un aumento ingiustificato dei prezzi dei servizi – E il diluvio normativo sul settore dei pagamenti può ingessare il mercato anziché sviluppare la concorrenza.

Carte di pagamento: tutela del consumatore o delle lobby?

Nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 19 maggio è stato pubblicato il Regolamento UE sulle commissioni interbancarie (cd. Interchange fees) che sostanzialmente fissa limiti pari allo 0,2% del valore per le transazioni con carta di debito e dello 0,3% per quelle effettuate con carta di credito, commissione da riconoscere da parte dei merchant alle banche acquirer dei pagamenti. Il lungo preambolo che apre il documento legislativo pone una serie di importanti obiettivi che il legislatore europeo intende raggiungere dopo che per anni la questione del se imporre o meno limiti di prezzo sia stata ampiamente dibattuta: tutela del consumatore, concorrenza, funzionalità di utilizzo, superamento delle frammentazioni nazionali, incentivi alla diffusione di strumenti diversi dal contante. 

L’intento è lodevole e d’altronde la natura e l’ammontare di queste commissioni sono state oggetto privilegiato di innumerevoli decisioni delle autorità antitrust in quasi tutti i paesi europei, con l’esito finale di essere ritenute ammissibili, subordinandole a varie condizioni di ragionevolezza e moderazione. I circuiti internazionali delle carte come VISA, Mastercard ed altri vivevano in questa situazione di equilibrio un po’ precario, continuando comunque a sviluppare i propri volumi a ritmi molto rapidi quanto a numero di carte emesse e transazioni effettuate anche nel lungo periodo della crisi economica. Tanti anni di analisi e ripensamenti hanno ora prodotto l’effetto di un intervento dirigistico sul mercato che sembra ispirato alle logiche prevalenti negli anni ’70. 

Troppo poco tempo per adeguarsi e pochi possibili aggiustamenti del provvedimento rischiano di provocare effetti negativi. La questione essenziale è la versatilità delle carte di debito e di credito. Esse servono a svariati usi e a tante tipologie di possessori, avendo la duplice funzione di regolare il pagamento degli acquirenti e al tempo stesso gli incassi per i venditori. Difficile bilanciare i vari interessi che vi convergono e che spesso sono in conflitto in una transazione elettronica con più portatori di interesse. Qualcosa scappa sempre e il rischio è che stavolta sia proprio il consumatore a farne le spese. In sostanza quel che il commerciante risparmia perché le commissioni bancarie scendono per legge di quasi un punto percentuale rispetto ai livelli attuali, la banca, come emittente la carta, potrebbe recuperarlo in altri modi dal titolare della carta medesima, cioè dal consumatore, in misura tanto maggiore quanto minor guadagno dalla transazione si traducesse addirittura in una perdita. 

La manovra è molto semplice, giacché una grande banca, avendo in circolazione milioni di carte, potrà, con una semplice variazione, ad esempio del canone annuale, recuperare quello che perde sul versante commissioni da transazione. E l’operazione potrebbe consentire ulteriori extra profitti sempre basandosi sul fatto che la banca, essendo un’impresa multiprodotto, può muoversi tra i vari prezzi dei propri servizi, riuscendo ad eludere limiti e condizioni volti ad amministrarne specificamente qualcuno. Questi comportamenti trovano un preciso riscontro teorico nei lavori degli anni novanta di Rochet e Tirole (quest’ultimo premio Nobel per l’economia 2014), quando i due studiosi esplorarono i cosiddetti two sided market, ove si confrontano due gruppi di clienti con schede di domanda diverse. 

Ciò significa che al variare dei prezzi le quantità domandate variano in modo non omogeneo tra i due gruppi: nel caso specifico dei circuiti delle carte di pagamento, i merchant e i cardholder. Da parte dell’offerta, la regola chiave nel determinare i prezzi è quella di sussidiare coloro che esprimono maggiore sensibilità ai prezzi e di trasferire l’onere su coloro che ne hanno meno, cioè che mostrano una minore elasticità di preferenze al variare del prezzo. Se questo è il recinto accademico e anche pratico dove si colloca la questione dei prezzi delle carte e dove nulla è così scontato, forse con un po’ di accortezza andava almeno previsto la caducità di queste regole, ove si accettasse che la loro rigida applicazione determina in luogo di una riduzione, un aumento dei prezzi dei servizi di pagamento, come sembra sia avvenuto nei paesi che pioneristicamente hanno adottato queste controverse misure. 

Al contrario e con le regole introdotte, una banca che dichiari apertamente una strategia di prezzo come quella ipotizzata (rispetto delle interchange fee ora fissate per legge, ma libertà su altre componenti di prezzo, come il canone) sarà da un lato perfettamente compliant con la normativa, ma potrà nello stesso tempo determinare il peggioramento della situazione dei titolari delle carte, vanificando lo spirito dell’intervento regolatore. In Italia, poi, che è il fanalino di coda nell’utilizzo dei pagamenti elettronici un siffatto provvedimento può avere l’effetto negativo di condizionare fortemente la partecipazione del sistema bancario nostrano agli sviluppi attesi dalla SEPA, stante i ridotti volumi complessivi di operazioni di standard europeo (bonifici, addebiti diretti, operazioni con carte) rispetto agli altri paesi e il fatto che proprio la componente dei pagamenti con carte è di gran lunga la più dinamica del mercato unificato. 

Verrebbe quasi da pensare che si sia persa con la Presidenza italiana, sotto la quale è stato costruito il Regolamento de quo, un’importante occasione per valutare meglio gli effetti sul nostro mercato di tale provvedimento. Un’ultima notazione ci pare importante. Il diluvio normativo che sferza implacabilmente il settore dei pagamenti o della finanza in genere rischia di sapere tanto di lacrime di coccodrillo o di coda di paglia, se non di mantenimento di segmentazioni che limitano di fatto gli sviluppi di una maggiore concorrenza. Non è infatti dimostrato che più norme si immettono nei sistemi più si aggiustano le distorsioni dei mercati e più si tutelano i consumatori finali.

Forse si potrebbero invece utilizzare meglio le regole esistenti, ad esempio aprendo definitivamente il mercato ad operatori fortemente specializzati, come gli istituti di pagamento e gli IMEL, introdotti dalle direttive europee, che invece subiscono ancora discriminazioni nella partecipazione diretta ai sistemi di clearing, tuttora prerogativa esclusiva delle banche. Tali limitazioni appaiono sempre meno giustificate, dal momento che i mercati sono fortemente controllati e che solo la gestione dei processi di pagamento nella loro interezza, può renderne sempre più conveniente lo sfruttamento delle caratteristiche industriali basate sulle economie di scala e di scopo. E con ciò favorire effettivamente gli interessi dei consumatori.

(Le opinioni espresse sono personali e non impegnano l’istituto d’appartenenza). 

Commenta