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Brescia, imprenditoria allo sbando ma con speranze di rinascita

La sconfitta dei bresciani nella recente battaglia per la presidenza della Confindustria è anche una sconfitta della città anche se ormai Confindustria non ha più il peso di una volta. Ma la sconfitta è anche il segno di uno sbandamento verso la speculazione finanziaria e immobiliare. Tuttavia nella provincia bresciana affiorano casi di imprenditoria moderna e di qualità che fanno ben sperare

Brescia, imprenditoria allo sbando ma con speranze di rinascita

Prendendo spunto dalla importante riflessione presentata da Ugo Calzoni su FIRSTonline sul momento attuale dell’imprenditoria bresciana (“Confindustria, Brescia in tilt dopo la seconda sconfitta” del 28 aprile scorso), ho trovato la sua ricostruzione vera e corretta, anche e soprattutto nei passaggi più crudi ed amari. Tuttavia, il quadro d’insieme che da essa scaturisce mi lascia un certo disagio, il senso di qualcosa di incompiuto, di non più totalmente attuale. Cercherò di spiegare, soprattutto a me stesso, le ragioni di questo senso di disagio. 

Innanzitutto, Calzoni attribuisce un gran peso al ritiro di Pasini dalla corsa alla presidenza della Confindustria che fa seguito alla precedente sconfitta di Bonometti e che, insieme, rappresentano due “brucianti” insuccessi. D’accordo e aggiungo che questa sconfitta è anche indirettamente una sconfitta della città, una riprova della sua tradizionale incapacità di superare la dimensione provinciale (cosa vera in tanti altri campi) . Calzoni parla anche del “dilettantismo con cui è stata condotta questa candidatura “nata male, giocata peggio, finita disastrosamente”; questa pur riflettendosi indirettamente in qualche modo anche sulla città non è certamente una caratteristica bresciana e rimane quindi attribuibile all’ambiente specifico dell’AIB (l’Associazione Industriale Bresciana) piuttosto che alla città e alla brescianità.  

Tuttavia, ritengo che il significato di questa sconfitta vada ridimensionato. Quando ho letto che Pasini si candidava a quella carica sono rimasto male, proprio perché stimo Pasini come imprenditore, per come ha condotto la sua impresa, con visione, innovazione e coraggio attraverso la lunga e difficile crisi della siderurgia e per la modernità, socialità e attualità della sua concezione di impresa. Ma come, mi dissi, abbiamo un bravo imprenditore e va a bruciarsi in quel monumento della burocrazia e della inefficienza che è diventata la Confindustria? Il peso della Confindustria è oggi zero o negativo, dominato come è sul piano imprenditoriale dalle ex partecipazioni statali e sul piano politico – culturale – gestionale dalla sua disastrosa burocrazia, forse peggiore di quella di tanti ministeri e di Palazzo Chigi.  

Io ho conosciuto praticamente tutti i presidenti di Confindustria da Angelo Costa in poi e con parecchi di loro ho collaborato. Vi sono stati solo due presidenti che hanno fatto, contemporaneamente, il bene dell’imprenditoria italiana e del paese, incidendo in modo significativo e in chiave positiva su entrambi: Angelo Costa e Luigi Lucchini. Gli altri sono stati, prevalentemente, o mediocri politici, sempre pronti a giocarsi qualunque cosa per un piatto di lenticchie, o succubi della burocrazia confindustriale. Questa involuzione è diventata rovinosa e, ultimamente, Confindustria è diventata un ente inutile se non pericoloso.

Come chiamare altrimenti un’associazione imprenditoriale nazionale che nomina vice presidente nazionale con delega, fra l’altro, ai problemi della legalità un personaggio come Antonello Montante? Ho conosciuto il presidente uscente Vincenzo Boccia prima che venisse nominato presidente, ho visitato con piacere la sua impresa a sud di Salerno ammirandone l’impianto e la tecnologia moderna ed ho simpatizzato con lui come persona, come piccolo imprenditore, come imprenditore del sud. Quando fu nominato presidente mi rallegrai pensando che queste sue caratteristiche lo avrebbero portato a svolgere una azione utile per l’imprenditoria italiana minore e per il Mezzogiorno. Ha avuto anche la “fortuna” di vivere, in finale, una stagione sfidante sul piano culturale – economico – operativo e politico come quella del Coronavirus. 

Eppure, il contributo e la presenza di Confindustria in questa stagione così sfidante è stata prossima allo zero e forse sottozero. E’ anche per questi motivi che un importante imprenditore bresciano mi ha recentemente scritto: “Ma non ci piangiamo addosso né attendiamo soluzioni esterne da un sistema burocratico, cui nessuno si sta con decisione opponendo, con argomentazioni concrete e non con chiacchiere ovviamente, e in cui la stessa Confindustria sta dimostrano la propria implosione derivante da anni di assenza di leadership, interessi di bottega, e sudditanza alle aziende di Stato che nei fatti la governano, mantenendo in piedi un apparato autoreferenziale e burocratico non da meno della P.A. (da tempo sto attendendo il momento più opportuno quando alcuni amici concluderanno i loro mandati per uscire con tutte le nostre aziende, con circa 200.000 euro di risparmio annuale, che sarebbero meglio impiegate in liberalità per chi ha bisogno)”. 

E’ dunque inevitabile porsi delle domande che vanno oltre le persone dei presidenti, la loro provenienza geografica, il tipo di impresa che rappresentano. Angelo Costa e Luigi Lucchini erano persone vere e forti, imprenditorialmente, culturalmente, moralmente, e quindi capaci di guidare e domare la burocrazia confindustriale. Ma erano anche espressione di un mondo imprenditoriale e di una fase storica proiettata verso lo sviluppo del Paese, che dava loro forza, dignità e credibilità. Ed avevano anche una burocrazia confindustriale meno determinante di quella odierna. Perché Vacchi di Bologna, che aveva tutto per essere un eccellente presidente della Confindustria, sia come imprenditore che come uomo di cultura che come espressione di una zona imprenditoriale di punta anche in settori tecnologicamente avanzati, che come dimensione della sua impresa (impresa medio grande del IV capitalismo, né troppo grande né troppo piccola ma della dimensione che rappresenta al meglio l’industria italiana di qualità sopravvissuta), perché Vacchi non è stato eletto?

E la sua non elezione rappresenta davvero una bruciante sconfitta per Bologna? Perché la burocrazia confindustriale, e con essa, i Montante non l’hanno voluto? Perché i presidenti come Costa, Lucchini, come poteva essere Vacchi, fanno paura, perché sono liberi, capaci, colti e portatori di una visione utile per il paese, persone portate a servire e non a servirsi, per usare un linguaggio sturziano. Il mio non è un tentativo di consolazione, di addolcire la pillola. La sconfitta è sconfitta. Il mondo imprenditoriale bresciano e, con esso, indirettamente la città si è messo in una gara ed ha perso alla grande, quasi senza combattere. E chi perde malamente ha quasi sempre torto.  

Sun Tzu 2500 anni fa insegnava: “I principi fondamentali che conducono alla vittoria sono cinque”: 

  1. Vince chi sa quando è il momento di combattere e quando è il momento di non combattere; 
  2. Vince chi sa come guidare tanto un esercito immenso quanto un piccolo esercito; 
  3. Vince chi ha un esercito che è animato dallo stesso spirito in tutte le sue parti
  4. Vince chi essendo sempre pronto alla battaglia, sa cogliere il nemico impreparato; 
  5. Vince chi dispone di generali competenti al riparo dalle ingerenze del sovrano  

La vittoria riposa sulla conoscenza di questi cinque principi. Perciò vale il detto: se conosci il nemico e conosci te stesso non devi temere il risultato di cento battaglie. Se conosci te stesso ma non il nemico, per ogni vittoria ottenuta potrai subire anche una sconfitta. Se non conosci né il nemico né te stesso soccomberai in ogni battaglia”. 

Ritorniamo a Brescia. Questa sconfitta è anche indubbiamente testimonianza del mondo che Calzoni giustamente fustighi. Come è mio costume, io questa critica, non l’ho fatta a consuntivo ma quando le disfunzioni e il declino erano in corso, nella mia sempre viva speranza di riuscire a fare qualcosa di positivo contro queste involuzioni. E insieme all’analisi del declino indicavo anche le possibili forze per il ricupero. La mia posizione su questi temi è espressa nell’interessante, e ancora oggi importante, volume del Rotary International e del Rotary Club Brescia Ovest intitolato: “Brescia, le radici del futuro, conversazioni su Brescia: passato, presente, futuro” (2007/2008). E in particolare nelle pagine 244-247 e da pagina 181 a 198 del mio libro “Città di Brescia. Culla di intrapresa”.  

In questo ventennio nel corso del quale si è compiuta la previsione del caro amico Marco Borsa (“Capitani di sventura, perché rischiano di farci perdere la sfida degli anni 90”, Mondadori 1992) e, come Paese, abbiamo perso una guerra mondiale sul piano industriale di proporzioni enormi e nel corso del quale abbiamo visto l’imprenditoria bresciana sbandare verso la speculazione finanziaria e immobiliare ma è nata anche a Brescia, o meglio nella grande provincia bresciana, una nuova imprenditoria moderna e di qualità (due nomi tra tutti, Antares e Copan) alla quale più che a Confindustria dobbiamo appendere le nostre speranze di rinascita.  

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