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Borgonovi: “Non esistono governi tecnici”

E non esistono tecnici al governo – Il professore di management della Pubblica amministrazione della Bocconi sfata il mito di un esecutivo neutrale guidato solo dalla volontà di inseguire l’interesse comune – Ogni politica produce effetti “politici” intesi come modificazione di rapporti tra gruppi sociali organizzati con diverse modalità.

Borgonovi: “Non esistono governi tecnici”

Da sempre ho pensato e insegnato che non esistono governi tecnici e ora mi son deciso anche a scriverlo. E nemmeno esistono tecnici al governo. Esistono persone che hanno determinate conoscenze e competenze che per un periodo più o meno lungo della loro vita e a seguito di diversi processi di legittimazione e di nomina, svolgono la funzione di governo che è una funzione politica tout court.

Infatti, come affermava l’economista iconoclasta Maffeo Pantaleoni, non esiste la politica economica perché esiste solo la politica. Ogni governo (nazionale o locale) deve risolvere problemi di politica economica, sociale, industriale, della giustizia, dell’ordine pubblico nella dimensione preventiva e repressiva, degli affari esteri, ecc., ed ogni politica produce effetti “politici” intesi come modificazione di rapporti tra gruppi sociali organizzati con diverse modalità (partiti, gruppi di pressione, associazioni, etc.). Se invece si vuol dire che alcuni governi sono composti da persone che da sempre o da molto tempo hanno svolto attività nei partiti e sono legittimati ad assumere quelle responsabilità e ad esercitare quel potere in funzione di equilibri tra partiti, mentre sono tecnici coloro che entrano a far parte di un governo sulla base del riconoscimento di loro specifiche competenze, allora si può accettare per semplificazione la denominazione di governi tecnici.

Tuttavia, è opportuno sfatare l’idea che i tecnici siano per definizione neutrali o siano guidati solo (o prevalentemente) dalla volontà di perseguire l’interesse (o il bene) comune e dal principio/criterio della razionalità. Ciò perché le persone hanno valori cui si ispirano e comportamenti più o meno coerenti con i valori interiorizzati e con quelli dichiarati, quindi la neutralità e l’indipendenza di giudizio sono caratteristiche proprie delle persone che la società può valutare considerando la storia, le dichiarazioni, le scelte concrete. Economisti che credono alla razionalità dei mercati cui attribuiscono quasi un ruolo “salvifico”, senza tener conto che sono stati i mercati integrati a determinare la crisi sistemica scoppiata nel 2008 con il fallimento di Lehman Brother, propongono soluzioni molto diverse da economisti che credono al primato delle scelte pubbliche, che sulla base degli assunti teorici presenti nei loro scritti sono spesso considerati “statalisti”. Propongono soluzioni ancora diverse gli economisti che credono nel ruolo della sussidiarietà o dell’economia solidale intesa non come semplice risposta ai fallimenti di mercato delle scelte pubbliche ma come un nuovo modello di relazioni economiche.

Uomini di governo, siano essi politici di carriera o tecnici nel senso sopra ricordato, che ritengono prioritario un ordine pubblico basato sulla prevenzione (sia della grande criminalità organizzata che usa circuiti istituzionali per pulire il denaro sporco, sia della microcriminalità nelle città, sia di quella che si manifesta negli stadi o in altri eventi), sono diversi da quelli che danno maggiore enfasi alla repressione che, a volte, viene esercitata con interventi poco trasparenti e rispettosi dei diritti dei cittadini e della dignità umana, come purtroppo è accaduto e accade anche in paesi che si autodefiniscono democratici.

Sulla base di queste considerazioni si può concludere che il governo dei tecnici voluto dal Presidente ha mostrato punti di forza, soprattutto con il riguardo del recupero della credibilità nei confronti dell’estero e delle competenze di carattere economico, ma ha mostrato significative debolezze con riguardo alla credibilità e legittimazione interna (non a caso da gennaio a fine maggio il livello di gradimento è passato da oltre il 62-63% al 42-43% degli italiani) e alla capacità di gestire la comunicazione e i processi di cambiamento. Basterebbe una content analisys per evidenziare che fino ad aprile è stata usata troppo spesso la parola rigore rispetto a quella di crescita (sarebbe meglio sviluppo), mente quest’ultima è stata citata un numero equivalente di volte alla prima solo dopo le elezioni francesi, che hanno indebolito l’asse Pagrigi-Berlino, rafforzando quella Parigi-Roma.

La riforma del mercato del lavoro, a parte i contenuti, è stata gestita e comunicata con modalità che di fatto hanno creato una insoddisfazione generalizzata, in primis da parte dei sindacati e delle rappresentanze delle imprese. Se in futuro ci si volesse orientare verso la presenza di governi tecnici o di tecnici al governo, sarà necessario scegliere coloro che hanno competenze di “gestione del cambiamento”, che implica la considerazione della fattibilità istituzionale, sociale, politica, oltre che economica, dalla semplice proposizione di modelli ottimali o ideali.

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