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Bnp Paribas batte Deutsche Bank sulla governance

L’istituto francese ha annunciato la sostituzione di Michel Pébereau alla presidenza con Baudouin Prot dal primo gennaio 2012 – Ai vertici del gruppo tedesco, invece, nicchiano: per la successione a Josef Ackermann, si affrontano Axel Weber e Anshu Jain – Per le due banche diversi gradi di trasparenza nel gestire la successione

Bnp Paribas batte Deutsche Bank sulla governance

La cartina di tornasole della solidità di una classe dirigente risiede nella sua capacità di regolare i processi di successione. Chi ha dei dubbi su questa affermazione deve sostenere l’onere della prova contraria dopo aver letto le pagine e pagine che Vilfredo Pareto dedica al riperpetuarsi dell’oligarchia veneziana nel suo Cours de Sociologie, scritto al tramonto della sua lunghissima vita. Mi è ritornato alla mente l’insegnamento paretiano, che per me è indelebile, analizzando ciò che sta accadendo in Francia e in Germania nel sistema bancario a questo proposito.

Da un lato, Michel Pébereau ha annunciato all’assemblea degli azionisti di Bnp Paribas, l’11 maggio di quest’ anno, che il primo gennaio 2012 si dimetterà da Presidente, per lasciare il posto all’ attuale direttore generale, Baudouin Prot, da anni il suo più fedele e fidato collaboratore. E quest’ ultimo, a sua volta, ha annunciato, sempre dinanzi alle migliaia di azionisti, che alla stessa data egli avrebbe lasciato il suo incarico di direttore generale al più giovane Jean-Laurent Bonnafé, il quale, dopo la prova ardua dell’integrazione di Fortis, dovrà proseguire nella via complessa ma di grande successo della costruzione della cosiddetta ”banca domestica universale”.

Ebbene: è indubbio che le asimmetrie informative e di controllo sono amplissime in una grande organizzazione, ma è altrettanto vero che la giusta via per una reale compliance di governo, ovvero per una corretta governance societaria inizi dalla trasparenza dei meccanismi che regolano la cuspide dell’ organizzazione. Così si consente a tutti coloro che vogliono usufruire dell’informazione di accedere ai risultati raggiunti dai singoli dirigenti e di formarsi un giudizio in proposito con tempo e tranquilla assertività.

Tutto ciò con le eloquenti conseguenze che un simile autocontrollo dei processi di successione ha per la reputazione sui mercati e sulle altre entità economiche con cui si viene in relazione, dai fornitori ai clienti. Tutto ciò, ancora, assicura un’autonomia eccezionale da ogni pressione esterna sull’ organizzazione. Tutto il contrario è quello che sta succedendo da mesi e mesi, e ora con sempre più deleteria intensità mass-mediatica, al vertice di Deutsche Bank, dove il percorso di successione a Josef Ackerman è non solo accidentato per i continui rinvii a cui è stato sottoposto e per le continue fughe di notizie in proposto.

La natura del conflitto è nell’incapacità di conservare una cultura aziendale prevalente e centrale nei processi di legittimazione dei vertici. E questo in una banca che durante l’ultimo ventennio ha sempre più costruito i suoi utili nella finanza anglosassone, anziché nell’originario mondo germanico. Di qui il conflitto tra il prescelto da Ackermann e tutti gli altri esponenti della massima coorte manageriale. Il sessantatreenne numero uno della banca, in procinto di andarsene, vorrebbe al suo posto Axel Weber, il discusso ex banchiere centrale tedesco che si è appena distinto in un conflitto veramente inusitato, per la tradizione germanica, con il Primo ministro del suo paese, dando prima della scadenza le dimissioni dall’istituto centrale.

Gli azionisti di controllo della Deutsche Bank propenderebbero invece per il dirigente più eterogeneo rispetto alla cultura d’origine della banca: Anshu Jain, indiano di nascita, newyorchese di formazione e nato in Merrill Lynch, creatore dei copiosi utili di cui dicevo. Il conflitto sta dilaniando la banca. Aspetti di culture nazionali che si disvelano? Forse. È indubbio che la Germania, al di là delle rilevante performance economiche, è in una crisi da globalizzazione e di mondializzazione a cui non sa far fronte culturalmente se non con un’amalgama incomposto di idee e di opinioni contrapposte. Mentre la Douce France è, invece, sempre fiera de La Repubblique, assai meno dolce, e del fatto che l’esperienza del pubblico civil servant (Pébereau docet) è sempre la migliore per guidare qualsivoglia organizzazione, economica o non economica che essa sia. Ma deve esistere uno Stato con una burocrazia legal–razionale.

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