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Biennale: “Stranieri ovunque”, soprattutto tra due guerre e con l’occhio a Gaza e all’Ucraina

L’espressione ‘Stranieri Ovunque’ – ha spiegato il curatore Pedrosa – ha vari significati. Vuole intendere che ovunque si vada e ovunque ci si trovi si incontreranno sempre degli stranieri: sono/siamo dappertutto. In secondo luogo, che a prescindere dalla propria ubicazione, nel profondo si è sempre veramente stranieri”. Attesa la visita di Papa Francesco

Biennale: “Stranieri ovunque”, soprattutto tra due guerre e con l’occhio a Gaza e all’Ucraina

Pensare di raccogliere a Venezia il meglio della produzione mondiale delle arti visive su un tema centrale come quello suggerito dal collettivo Claire Fontaine, ossia “Foreigners everywhere” senza portarsi dietro l’inevitabile scia delle crudeltà del mondo alle prese, oggi, con due guerre, in Ucraina e a Gaza, era una missione impossibile. Perché dove c’è arte c’è, inevitabilmente, politica, con tutto il bagaglio di schieramenti e conflitti. E in questo – c’è da dire – la Biennale ha sempre svolto un ruolo di testimone anche scomodo sulle crisi della contemporaneità.

Essere “Foreigners Everywhere Stranieri ovunque” non è infatti la cronaca di un fallimento ma un invito ad essere ovunque padroni del proprio destino fuori dai confini ben delimitati di nazioni, culture e perfino orientamenti sessuali. “L’espressione ‘Stranieri Ovunque – ha spiegato Pedrosa – ha vari significati. Vuole intendere che ovunque si vada e ovunque ci si trovi si incontreranno sempre degli stranieri: sono/siamo dappertutto. In secondo luogo, che a prescindere dalla propria ubicazione, nel profondo si è sempre veramente stranieri”.

Per cui il neopresidente della Biennale, Pierangelo Buttafuoco e il curatore della sezione Arti visive, il brasiliano Adriano Pedrosa, non hanno potuto fare altro che assecondare gli “animal spirits” della creatività lasciando liberi i curatori dei singoli padiglioni nazionali di decidere in piena autonomia cosa esporre, se farlo, come e quando. Certo, i tempi sono cupi e fa un po’ effetto vedere aggirarsi nei Padiglioni dei Giardini o nelle sale dell’Arsenale poliziotti in divisa sia pure “per motivi di sicurezza”, soprattutto ora che i padiglioni di Israele e della Russia restano fortemente “attenzionati”.

Il padiglione isreaeliano attende la liberazione degli ostaggi

Il padiglione israeliano per ora resta chiuso. Al suo ingresso in inglese è visibile una scritta che recita: il padiglione resterà chiuso fintanto che non verrà raggiunto “un accordo sulla liberazione degli ostaggi e un cessate il fuoco” a Gaza. L’annuncio (almeno è così che appare) arriva dall’artista israeliana Ruth Patir, le cui tre opere di video arte compongono la mostra (M)otherland ospitata nel padiglione di Israele. “Come esseri umani, donne e cittadini, non possiamo essere qui quando non cambia nulla nella realtà degli ostaggi. Fino all’ultimo pensavamo che ci stessimo dirigendo in un’altra direzione e che ci fosse un accordo sul tavolo”, ha spiegato Patir, insieme alle curatrici Mira Lapidot e Tamar Margalit. Per il padiglione di Israele è stata prevista una sorveglianza rinforzata con la presenza di un presidio di militari dell’Esercito, che si aggiunge a quella ordinariamente prevista ai Giardini per tutta la durata dell’Esposizione. Una decisione che non prevede, dicono i curatori, di “cancellare se stessi o la mostra; piuttosto prendere posizione in solidarietà con le famiglie degli ostaggi” sequestrati da Hamas lo scorso 7 ottobre e “con la grande comunità israeliana che chiede un cambiamento”. E poi, secondo Patir ” L’arte può aspettare, ma le persone che vivono l’inferno no”.
Nello stesso momento all’Arsenale nell’Archivio sulla Disobbedienza in tutto il mondo fondato da Marco Scotini nel 2005 tra i materiali documentari c’ è un video sul quale appare in sovrapposizione una bandiera della Palestina con la scritta: “boicoittate il padiglione israeliano”. C’è qualche spettatore che protesta. Gli elementi per discutere anche tra gli artisti e visitatori in questa 60a Biennale Arte non mancano di certo.

Ma l’arte, con la sua forza di intercettare il futuro, sembra svelare quello che la politica da sola non riesce a risolvere. Le pitture amazzoniche del collettivo Mahku che ricoprono la facciata del Padiglione centrale della Biennale evocano gli spiriti della foresta e invitano il mondo a riconquistare un suo equilibrio.

Per l’Ucraina è la Polonia a portare il testimone dell’invasione

E poi l’Ucraina. Chiuso da due anni il padiglione della Federazione russa tutto in bianco e verde chiaro a riprendere lo stile dell’architettura russa, è la Polonia a farsi testimone della lotta contro l’invasione dell’Ucraina. Viene esposta un’installazione audiovisiva, “Ripetete dopo di me II”, che rappresenta un ritratto collettivo dei testimoni della guerra in corso. Installazione è creata dal collettivo artistico ucraino Open Group e curata da Marta Czyż. I protagonisti sono civili rifugiati che narrano la loro esperienza di guerra attraverso i suoni degli armamenti che hanno imparato a riconoscere. L’opera è composta da due video, prodotti nel 2022 e nel 2024. Il testo dei suoni rappresenta la descrizione dell’effetto di un’arma letale, offrendo al pubblico una colonna sonora della guerra. I suoni vengono riprodotti e il pubblico è invitato a ripeterli, creando una sorta di karaoke militare con rumori di proiettili, cannonate, sirene antiaeree ed esplosioni.

Il Vaticano con il titolo “Con i miei occhi”. Atteso Papa Francesco

Non solo guerra ma dolore ed emarginazione nella mostra “Con i miei occhi”, curata da Chiara Parisi, direttrice del Centre Pompidou-Metz, e da Bruno Racine, già presidente del Centre Pompidou e oggi direttore di Palazzo Grassi e di Punta della Dogana per la terza partecipazione del Vaticano alla Biennale Arte. Il titolo “Con i miei occhi” si riferisce sia a un sonetto d’amore di William Shakespeare sia al versetto 42.5 del Libro di Giobbe, “Il mio occhio ti ha visto”. “Il titolo evoca l’idea poetica di vedere con altri occhi, senza pregiudizi”, ha spiegato Chiara Parisi. La sede della mostra parla da sola: si tratta del carcere femminile della Giudecca Venezia dove il 28 arriverà in vista Papa Francesco. Ad accoglierlo sulla facciata dell’ex convento ora carcere una megainstallazione di Cattelan, due piedi di un corpo sdraiato, un Cristo dolente. Papa Francesco sarà il primo Pontefice a visitare una mostra della Biennale. Due Patriarchi poi divenuti Papi, ossia Papa Roncalli Giovanni XXIII e poi Papa Luciani pur essendo stati Patriarchi di Venezia non avevano mai varcato le porte della Biennale.

E pensare che proprio nella prima Biennale della del 1895 fu proprio la Curia di Venezia e il Patriarca Giuseppe Sarto a scagliarsi contro un’opera di Giacomo Grosso, “Supremo Convegno”, perché “oltraggiosa e male interpretata dalla gente”. Il Patriarca chiedeva di rimuoverla o di chiudere la sala dov’era esposta. Il caso fece scalpore e tutti i giornali dell’epoca e i testi di storia dell’arte ne parlarono. Ma erano altri tempi…

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