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Bestseller del passato: Nino Salvaneschi. Da una tragedia personale l’approdo a una fede profonda

Bestseller del passato: Nino Salvaneschi. Da una tragedia personale l’approdo a una fede profonda

Il 26° episodio della serie degli autori best seller italiani presenta uno scrittore, oggi in gran parte scomparso dalla memoria collettiva, eccetto qualche lontano reduce di quei tempi o gli eventuali affetti da una invalidante patologia, di cui parleremo fra poco, o infine coloro che si imbattono in strade o scuole a lui intitolate, è Nino Salvaneschi.

In tempi bui come questi, che molti reputano in qualche modo simili a quelli della guerra, può essere interessante fare l’incontro con uno scrittore che proprio in quei lontani anni ottenne il suo massimo successo editoriale.

Scrittore insolito

Egli è stato uno scrittore insolito e assolutamente originale, nel panorama editoriale dagli anni venti ai sessanta. Il picco della sua popolarità fu il decennio da fine anni trenta a fine anni quaranta, quando trionfò nelle vetrine dei librai e fu ben presente anche fuori dal nostro paese.

A lui si devono una trentina di libri: qualche romanzo e biografia, ma soprattutto testi di intensa spiritualità, tutti pubblicati dall’editore imolese di nascita, ma milanese d’adozione, Enrico Dall’Oglio.

Ricordiamo a questo proposito Il breviario della felicità del 1927, La cattedrale senza Dio del 1930, L’arcobaleno sull’abisso del 1932, Consolazioni del 1933, Contemplazioni del mattino e della sera del 1936, tutte opere stampate in parecchie decine di migliaia di copie e tradotte in numerose lingue.

Maggior successo ottennero Saper amare del 1939 e Saper soffrire del 1941, che furono i suoi principali best seller e furono venduti, solo in quegli anni di guerra, in circa 100.000 copie ciascuno. Poi continuarono ad essere ristampati a lungo fino quasi ai nostri giorni. A lui si devono anche documentate biografie di personaggi celebri, come Chopin, Beethoven, Paganini, Santa Chiara.

La vita

Era nato a Pavia nel 1886 e ventenne aveva iniziato a collaborare ad alcuni quotidiani fra i più rinomati del paese, come “La Stampa”, “La tribuna” e “Il Corriere della sera”.

Partecipò alla prima guerra mondiale in marina, dove fu tra i primi a manovrare i temibili Mas. Ma quell’esperienza lo segnò nel senso opposto, in quanto, terminato il conflitto, assunse posizioni nettamente pacifiste, piuttosto insolite e coraggiose dati i tempi, che lui espose in un libro oggi introvabile, ma dal titolo profetico Uccidiamo la guerra.

Terminato il conflitto si sposò con una donna che avrebbe svolto un ruolo fondamentale nella sua vita e si trasferì a Capri, dove iniziò l’attività di scrittore con il romanzo Sirenide, seguito poco dopo da La rivolta del 2023, nel quale si cimentò nel genere della fantascienza, uno dei primi a farlo in Italia.

Nel 1921 emigrò in Belgio per dedicarsi al giornalismo, e trovò un suo spazio non solo fra i nostri migranti, ma anche fra i lettori comuni, interessati alla rappresentazione del nostro paese, che fu il suo principale campo d’azione.

La cecità

L’esperienza che lo avrebbe segnato definitivamente e irriducibilmente si presentò proprio in quel periodo sotto forma di una lunga e invincibile malattia agli occhi, che lo portò alla cecità assoluta nel 1923, all’età di 37 anni ancora da compiere.

Quell’evento cambiò completamente la sua vita di uomo e di scrittore. Fu un dramma vero e proprio, che gli fece provare sulla sua carne gli effetti di una patologia incurabile e invalidante come poche altre, e lo sprofondò in un periodo di sconforto totale e assoluto. Poi lentamente riuscì a superare la sua terribile tragedia personale, accettandola alla luce di una fede profonda e genuina.

Già durante i lunghi mesi di cura e di degenza aveva avuto modo di accostarsi alle tematiche religiose, non esclusivamente cristiane. Poi la lettura di uno dei libri di più intensa spiritualità cristiana, L’imitazione di Cristo, regalatogli dalle suore dell’ospedale della Marina di Piedigrotta di Napoli, dove stava combattendo la sua personale battaglia contro la cecità, lo indusse a indirizzarsi completamente e irriducibilmente verso la fede cristiana.

E ciò gli consentì di vivere la devastante malattia con uno spirito nuovo. Lo indusse a guardare dentro di sé con serenità, a cogliere i moti della sua anima, a riscattare un’esistenza sino ad allora inquieta, fino a scoprire, pur nella nuova invalidante condizione, lo straordinario valore della vita umana.

Le battaglie in favore dei non vedenti

Da allora Salvaneschi si dedicò completamente sia alla composizione di opere di intensa spiritualità, che ad iniziative a sostegno dei non vedenti, in favore dei quali si batté con la massima determinazione, a fianco della loro associazione nazionale, perché ottenessero tutte le misure e gli interventi possibili.

Quello che era un dramma terribile e difficilmente accettabile da chiunque, diventerà per lui opportunità di riscatto e occasione per trasfondere negli altri l’immensa ricchezza spirituale che la malattia gli stava facendo riscoprire. Sarà questo d’ora in poi il binario lungo il quale si snoderà la sua esistenza.

Una profonda fede

Nel 1926, tre anni dopo la cecità, organizza un corteo di oltre 200 ciechi alla volta di padre Pio da Pietrelcina, che lui aveva già avuto modo di conoscere ed apprezzare alcuni anni prima. E del santo delle stimmate diventerà uno dei più convinti e irriducibili fedeli, anche in tempi in cui Padre Pio non godeva di grandi favori da parte della Chiesa stessa. Lo eleggerà come sua guida e si considererà sempre suo figlio spirituale, uno dei primi ad esserlo.

Frutto di questa “seconda” esistenza, che lui ringraziò più volte il Padre Eterno di avergli consentito, furono una serie di libri di intensa spiritualità, consolatoria, suggestiva, edificante, capace di toccare in profondità il cuore dei lettori. E questi da allora presero a seguirlo fedelmente, diventando col tempo sempre più numerosi e affezionati.

Una frase è sufficiente a immortalare la profonda ricchezza spirituale che da allora non lo ha più abbandonato:

“Per quanto mi concerne, non muterei il mio destino di scrittore cieco con quello di nessun altro. Anche perché mi consente di dire quello che vedo e di vedere chiaramente il mio sentiero terreno. E spesso ho vergogna di non poter offrire che una parola. Una parola soltanto… L’anima crocifissa nel buio canta la luce. E la luce annuncia sempre l’aurora”.

I suoi scritti sono una miniera di frasi e di citazioni che inneggiano alla visione sì religiosa, ma anche laica dell’esistenza, e offrono a chiunque vi si accosti, un immenso conforto, specie nei momenti bui dell’esistenza.

Una intensa produzione letteraria

Il suo periodo d’oro, editorialmente parlando, fu proprio durante gli anni della guerra e della ricostruzione, tempi di inaudite sofferenze e di grandi sacrifici, ai quali si intonavano bene le riflessioni spirituali che lo scrittore affidava al suo vasto pubblico.

Dopo la guerra Nino Salvaneschi continuò a scrivere ancora a lungo, e svolse anche attività politica per la Democrazia Cristiana, della quale fu anche consigliere comunale a Torino negli anni cinquanta, dove si era stabilito definitivamente. Era sempre seguito dai suoi affezionati lettori, ma col tempo questi andavano progressivamente calando. Era la stagione di altri scrittori, di altre tematiche, di altre visioni della vita, di altri modi di esprimersi e comunicare, sicuramente di altri valori. Tuttavia ristampe dei suoi libri sono state effettuate, sia pur in non grandi tirature, fin quasi ai nostri giorni.

Morì nel 1968, all’età di 82 anni, da tempo anche paralizzato alle gambe, sostenuto da una fede profonda e incrollabile a qualsiasi prova, assistito amorevolmente dalla moglie Elise, che lui ritenne sempre un angelo inviatogli da Dio.

Per darvi un’idea del suo tipo di scrittura, vi proponiamo alcune sue considerazioni sull’amore, tratte da Saper amare. Potranno forse apparire un po’ datate (ma quando si parla d’amore quando mai lo sono?) e non più attraenti come lo furono per i nostri nonni e bisnonni. Ma anche la lettura di testi un po’ segnati dall’inevitabile scorrere del tempo può risultare gradevole, o quanto meno aiutarci a trascorrere un po’ di questo tempo folle che ci siamo trovati improvvisamente davanti per la maledetta pandemia da coronavirus, tappati nelle nostre abitazioni, in attesa di poter riprendere la vita di sempre.

Sii certa che verrà un’ora d’amore anche per te. Del resto dicono che ogni donna ne incontri almeno una. Non pretendere però che arrivi a un invito del tuo capriccio. Troverai certamente l’amore ma non sempre nell’ora in cui tu lo invochi. Verrà invece alla sua ora, perché è il padrone. E trasformerà la speranza in sicurezza o la dissiperà nell’illusione.

D’accordo: potrà darsi che le vostre ore non coincidano. Forse l’amore giungerà troppo presto o troppo tardi. E ti parrà di non essere ancora pronta a comprenderlo o di non poterlo ricevere piú. Ad ogni modo entrerà nella tua casa come un sovrano o un ladro, un avversario o un amico. Ma lo riconoscerai sempre da un segno inconfondibile, poiché si installerà da padrone, capovolgendo la tua vita e spingendoti per inattesi sentieri.

Sii dunque persuasa che avrai la tua ora di sole. Ma bada che se quest’ora per l’anima maschile può essere una delle tante, illumina e vivifica l’anima femminile per l’esistenza intera. E se una donna ha veramente amato una volta sola, la sua vita dopo è vuota per sempre.

Amare chi ci comprende è facile. Amare chi ci somiglia è piacevole. Amare chi ci ama è bello. Ma bisogna imparare ad amare chi è lontano, assente, ostile. Amare gli uomini anche quando non amano, non sperano, non credono; amarli perché lottano, dubitano e soffrono; amarli solo perché sono uomini. Invece, dopo duemila anni, l’umanità non ha ancora ascoltata la parola del Cristo poiché la rivolta, l’odio e il rancore aumentano la follia del mondo

Ma l’amore può anche finire. E talvolta ai tempi nostri termina persino prima d’incominciare. Quasi sempre si spegne nel desiderio appagato. Altre volte si scolora, si deforma, si dissolve. E l’addio è un fuoco d’artificio di accuse e di rancori. Una parola lo ferisce, un silenzio lo agghiaccia, un gesto lo paralizza. Allora se la tenerezza non sorregge può anche morire. E l’addio è un sospiro nella notte senza stelle.

Spesso l’amore si esaurisce perché ha vissuto tutti i tempi della sua sinfonia. Talvolta si smorza a un crescendo o manca in un intermezzo. Talaltra langue in un disperato «a solo» che invoca l’armonia perduta. Benedetti gli amori che chiuso un tempo ne sanno aprire un altro per la loro evoluzione. L’amore non è statico: noi stessi non rimaniamo a un punto fisso, ma ci trasformiamo di continuo. Beati gli amori che sanno rinnovarsi per non morire.

Beati gli amori che trovano nel finale qualche motivo del preludio lontano. Altre volte, l’amore è ucciso da una parola o da un gesto di violenza. L’amore non è un conflitto nel quale un’anima riduce a viva forza l’altra a propria immagine e somiglianza. Ed è una colpa voler rendere schiava l’anima che non chiede questa servitù come un dono prezioso. Ed è un delitto voler costruire la propria felicità sull’infelicità dell’altro.

Ma se dopo aver chiamato a lungo nessuno risponde, non disperare. Il mondo intero non ha un nome solo.

E se hai oltrepassato il tuo meriggio, non disperare ancora. Quest’amore non è tutto l’amore.

E anche se ti sembra che la tua vita sia immersa nell’ombra, non disperare mai. Molte esistenze senza gioia sanno illuminare tanti cuori.

Non eleggerti dunque, sorella delusa, triste castellana di un incanto fallito. Impara a sorridere senza sospiri all’amore degli altri. E anche a parlare di quello che non hai conosciuto. E persino a donare quanto non hai posseduto. Solo così supererai l’amore con l’amore. E il dolore diventerà la trasfigurazione dell’amore. Sinché vi sarà un bimbo che piange, un malato che soffre, un vecchio che muore; sinché vi sarà un’ingiustizia da riparare, un diritto da difendere, una ferita da guarire, avremo sempre qualcosa da dare. Il sacrifizio, la sofferenza, l’abnegazione hanno tutti nomi d’amore. E nulla ti parrà piú dolce, sorella delusa, d’aver mutata la tua rinuncia in offerta preziosa.

Se molto sarà perdonato a chi ha molto amato ancor di piú sarà perdonato a chi avrà saputo amare senza essere stato amato. Ma non consumare la tua vita davanti a un altare vuoto.

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