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Bersani: né patrimoniale né condono

Il candidato premier del Pd taglia corto: “Non intendo affatto concepire una patrimoniale. Penso che il nostro problema sia la tracciabilità” – “Mai più condoni” – Quanto alle grandi società controllate dallo Stato, in particolare Finmeccanica, secondo Bersani “non c’è stata fin qui sufficiente attenzione”.

Bersani: né patrimoniale né condono

Nessuna patrimoniale, l’abbiamo già sugli immobili e si chiama Imu. Su questa penso ci debba essere una maggiore progressività, ma per quel che riguarda il resto dei patrimoni non intendo affatto concepire una patrimoniale. Penso che il nostro problema sia la tracciabilità”. La rassicurazione fiscale arriva direttamente dal segretario del Partito Democratico, Pier Luigi Bersani, intervistato oggi da Radio 24.  

Il numero uno del Pd taglia corto anche sulla possibilità di un nuovo condono: “Mai più. Noi lavoriamo per la fedeltà fiscale, in modo che ogni euro ricavato possa ridurre le tasse per chi le paga. Se non cominciamo mai, non ne usciamo mai”.

Bersani risponde quindi a Silvio Berlusconi, che ha posto il tema delle tasse al centro della campagna elettorale. “Il problema fiscale c’è – sottolinea il segretario democratico – e ricordo che Berlusconi parla di tagli subito, ma con lui la pressione fiscale è aumentata di quattro punti e ora è pesantissima. Bisogna supportare le imprese, la quota lavoro sull’Irap va ridotta e stabilizzata. E’ necessario muovere un po’ l’economia per far riprendere i consumi”.

Non servirà una nuova “manovra correttiva – chiarisce Bersani -, ma attenti a fare ragionamenti raffazzonati o a raccontare che siamo a posto. Siamo usciti dal precipizio ma ci sono ancora problemi. Non bisogna fare promesse a vanvera”.

Quanto alle grandi società controllate dallo Stato, in particolare Finmeccanica, secondo Bersani “non c’è stata sufficiente attenzione. Non posso tacere di qualche elemento critico che c’è stato quest’anno. Finmeccanica meritava un’attenzione particolare da parte del Governo e del Parlamento, nelle forme giuste. Stiamo parlando di una grande impresa pubblica, che gestisce una frontiera tecnologica di primissimo piano per il nostro Paese. Ricordo che quando capitò a me, in una fase anche difficile di ristrutturazione di quell’azienda, si condussero le cose con un Governo che parlava con l’azienda, con una Commissione parlamentare che discuteva seriamente di questa cosa e con decisioni affidate, naturalmente, al manager ma secondo un indirizzo dell’azionista”. 

Insomma, secondo il segretario del Pd, “l’azionista deve dire qualcosa. Se partiamo dal presupposto che l’azionista, essendo pubblico, non deve dire nulla, la cosa non ha senso, non sta in piedi. Si finisce per avere imprese che non hanno barra sufficiente”. 

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