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Bankitalia su Mezzogiorno e la crisi: non solo macerie

La Banca d’Italia traccia un quadro desolante dell’economia meridionale a seguito della crisi – Il destino industriale del Sud sembra sempre più legato alle sue aree di agglomerazione industriale, àncore di recupero di efficienza e legami con i mercati internazionali, grazie al ruolo cruciale della grande impresa lì localizzata.

Bankitalia su Mezzogiorno e la crisi: non solo macerie

L’industria del Sud presenta, in misura aggravata, i punti di debolezza tipici dell’industria nazionale, caratterizzata dalla piccola dimensione d’impresa, dal ridotto peso dei settori ad alta tecnologia, dalla scarsa internazionalizzazione e dalla debole attività innovativa delle imprese.
Nonostante questo contesto abbia accentuato i contraccolpi della crisi economica mondiale sull’economia del Mezzogiorno, che sta vivendo serie difficoltà, l’ultima pubblicazione della Banca d’Italia delinea un quadro più variegato della situazione, svelando i vincitori e i vinti della sfida competitiva.

Infatti con la crisi economica avviata nel 2008 l’arretramento dell’industria meridionale rispetto al resto del Paese è stato molto disomogeneo, presentando forti ed accresciute eterogeneità territoriali e settoriali.
Tra i diversi comparti industriali, il cui andamento è rilevabile fino al 2010, i cali più contenuti del valore aggiunto (inferiori al 10 per cento) si riscontrano nei settori non manifatturieri (industria estrattiva ed energetica) e nell’alimentare.
Tra i territori regionali le riduzioni più contenute, sempre in termini di valore aggiunto, sono state registrate in Abruzzo, Molise, Puglia e Calabria, con decrementi tra il 2007 e il 2011 entro il 14 per cento; in Campania e Sardegna la riduzione è stata di almeno il 20 per cento.

Distinguendo per classi dimensionali delle aziende, a quattro anni dall’avvio della crisi le imprese più piccole, principalmente orientate alla domanda interna, hanno duramente sofferto sul piano del fatturato, mantenendo, come di consueto, livelli di redditivà nettamente inferiori a quelli del resto del Paese.
Le grandi imprese meridionali hanno mostrato una maggiore tenuta del fatturato ma la redditività, che nei primi anni Duemila non era dissimile da quella delle imprese di pari dimensione del Centro Nord, è scesa a livelli molto bassi, prossimi a quelli delle piccole imprese del Sud.

I segnali di vitalità industriale non sono tuttavia assenti, e risultano più diffusi nelle agglomerazioni industriali. Le analisi aggiornate al 2011, mostrano come nel Mezzogiorno l’appartenenza a un’area agglomerata continui a produrre un effetto positivo sulla performance delle imprese, per lo meno in termini di propensione all’export e di produttività.
Mentre per l’Italia nel suo complesso si osserva la progressiva scomparsa del vantaggio dell’inserimento in un sistema di imprese, l’esercizio econometrico riferito al solo territorio meridionale mostra un vantaggio agglomerativo incipiente proprio dalla vigilia della crisi.
La semplice localizzazione in un’agglomerazione avrebbe contribuito a frenare il declino di produttività dell’industria meridionale, rispetto alla media dell’area, forse grazie al differenziale di propensione all’export tra sistemi agglomerati e non, più intenso al Sud che nel resto del paese.

Lo stesso fenomeno non emerge però se si discrimina, invece che tra le agglomerazioni, tra i distretti industriali rilevati dall’Istat. Presumibilmente questo perché la qualifica distrettuale esclude gran parte dei sistemi di imprese caratterizzati da una elevata dimensione media delle aziende. E’ infatti verosimile che la presenza di grandi imprese favorisca la propensione all’export meridionale rispetto alla media dell’area, più di quanto non faccia nel resto del paese, dove alcuni fattori di contesto (ad esempio, la migliore dotazione infrastrutturale) rendono l’accesso ai mercati esteri più agevole anche per le piccole aziende.

L’area di maggiore vitalità conta soprattutto sul contributo del settore alimentare (4 province: Napoli, Bari, Salerno, Palermo) e dell’unico comparto high-tech, l’aerospaziale (concentrato soprattutto a Napoli).
Queste aree rappresentano però solo un quinto degli addetti manifatturieri del Mezzogiorno.

Per completare il quadro, all’interno dei vari comparti, i singoli sistemi locali hanno talvolta mostrato andamenti eterogenei. Mentre il calzaturiero leccese ha perso circa i due terzi dell’export tra il 2007 e il 2011, quello casertano e quello napoletano hanno ampiamente superato i livelli pre-crisi. La vendita all’estero di parti e accessori per autoveicoli si è quasi dimezzata a Melfi, ma è cresciuta di un quinto a Bari. Le esportazioni aeronautiche si sono in parte spostate dalla Campania alla Puglia.

L’elevata varianza delle performance osservata, è verosimilmente dovuta alla varietà di strategie aziendali adottate per reagire alla crisi e al diverso successo di tali iniziative. Questa dinamica mostra come anche le agglomerazioni meridionali siano coinvolte nel faticoso e discontinuo processo di trasformazione, imposto dai nuovi paradigmi produttivi dell’era globale.


Allegati: Banca d’Italia: l’industria meridionale e la crisi

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