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Bankitalia: meno Npl e più profitti per le banche italiane

Secondo il responsabile della Vigilanza della Banca d’Italia, Carmelo Barbagallo, le banche italiane si stanno gradualmente rafforzando dopo la crisi e il Fintech può rappresentare un’occasione d’innovazione ma anche un rischio di fronte ai giganti di Internet

Bankitalia: meno Npl e più profitti per le banche italiane

Le banche italiane oggi

Il sistema bancario italiano – secondo quanto ha sostenuto oggi il responsabile della Vigilanza della Banca d’Italia, Carmelo Barbagallo, parlando al seminario su “Il sistema bancario italiano di fronte alla ripresa” tenutosi a Varignana in provincia di Bologna,- si sta gradualmente rafforzando dopo una crisi che ha colpito il nostro paese più intensamente e più a lungo rispetto al resto d’Europa. Il rafforzamento è testimoniato dall’andamento di due indicatori largamente utilizzati da supervisori e mercato: l’incidenza dei crediti deteriorati netti sui prestiti complessivi (NPL ratio) e il rapporto tra il capitale di migliore qualità e le attività ponderate per il rischio (CET1 ratio). Tra il 2015 e il 2017 il primo indicatore è passato dal 10,8 al 7,6 per cento; il secondo dal 12,3 al 13,8 per cento. La riduzione dei crediti deteriorati è consistente e ha interessato sia gli stock sia i flussi. I primi, al netto delle rettifiche, si sono ridotti dal picco di 200 miliardi del 2015 a circa 140 a fine 2017. I secondi sono ora pari, in rapporto al totale dei finanziamenti, al 2 per cento circa, contro un picco di più del 5 per cento nel 2013.

Il processo di derisking  – ha continuato Barbagallo – è destinato a continuare e consentirà di portare il sistema bancario italiano verso la normalizzazione. Vi potranno contribuire diversi fattori: nell’immediato, l’utilizzo delle possibilità offerte dall’IFRS9 in first time adoption; in prospettiva, le iniziative di calendar provisioning e l’attuazione dei piani di dismissione dei crediti anomali, sempre più allineati alle attese della Vigilanza. La crescita del CET1 ratio nel 2017 è in larga parte ascrivibile alla raccolta di capitale sul mercato da parte di tre intermediari per 14 miliardi. Vi hanno contribuito, oltre all’autofinanziamento, la dismissione di parte degli attivi conseguente all’uscita dal mercato delle due banche venete con il sostegno pubblico e la ricapitalizzazione precauzionale di Banca MPS. A quest’ultimo riguardo, va ancora una volta sottolineato che i costi delle crisi bancarie per il contribuente sono stati nel complesso contenuti: secondo stime recenti l’aumento del debito pubblico riconducibile al sostegno alle banche ammonta a circa l’1 per cento del PIL in Italia, contro una media del 4,5 per cento per i paesi dell’area dell’euro.

Nel 2017 la redditività, ancorché non ancora soddisfacente nel confronto europeo, è migliorata rispetto all’anno precedente. La media ponderata del rendimento dei fondi propri (ROE), al netto delle componenti straordinarie, è stata pari al 4 per cento, a fronte di un ROE estremamente negativo nel 2016 (meno 6 per cento). La ripresa dell’attività economica si riflette sia sulla domanda di prodotti finanziari e assicurativi – e dunque sui ricavi da commissioni – sia sul calo del costo del rischio. Le banche stanno, inoltre, ricomponendo le loro fonti di ricavo e agendo sul fronte del contenimento dei costi, favorito dal venir meno dei contributi straordinari al fondo di risoluzione nazionale e dal calo – da ritenere peraltro non strutturale – degli oneri connessi con gli incentivi all’esodo del personale. Il miglioramento è prevalentemente riconducibile alle positive performance di alcuni grandi gruppi. Allargando lo sguardo all’intera distribuzione, si osserva un’ampia dispersione intorno al dato mediano, sia per le banche significant (SI) sia per quelle less significant (LSI).

Leggi l’intervento completo.

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