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Banche: voltare pagina dopo gli stress test, l’Unione bancaria può aiutare

Dopo gli stress è tempo che le banche italiane riflettano seriamente sui problemi strutturali che le affliggono (bassa patrimonializzazione, bassaredditività, alte sofferenze) – L’Unione bancaria europea può aiutarle a cambiare musica ma anche le banche centrali devono fare la loro parte

Banche: voltare pagina dopo gli stress test, l’Unione bancaria può aiutare

Continua la fase di auto-flagellazione sugli stress test delle banche italiane e sulle sonore bocciature ricevute da ben nove di esse in sede europea. Si invoca di tutto pur di trovare una comprensibile giustificazione e un tiepido lenimento a quanto accaduto, ma l’impressione è che siano lacrime di coccodrillo.

Decisamente questa fase è la peggiore e sarebbe ora preferibile mantenere un basso profilo dopo che le uova erano state rotte. Invece si continua a parlare di complotti internazionali, di economia in crisi, dei vantaggi consentiti alle attività in derivati, comunque almeno in parte bilanciati con la rimozione dei filtri prudenziali sui titoli di stato, della quota di crediti all’economia più rischiosi delle attività finanziarie ecc. Ed è sorprendente giungere ad affermare – tanto per salvarsi l’anima – che le crisi di MPS e Carige sono casi di mala gestio, come se ammettere che nel nostro sistema hanno scorazzato tranquillamente banditi contribuisca a rafforzarlo.

In ogni caso non dobbiamo dimenticare l’enorme ammontare di crediti anomali che pesano molto più che in altri sistemi e che a qualche considerazione di imprudenza debbono pure portare. Dal 5% del 2007, l’incidenza dei crediti deteriorati lordi (sofferenze, incagli, ristrutturati, scaduti e sconfinanti) è triplicata e la notte prima degli esami (a fine dicembre 2013) era al 16% sul complesso dei crediti, raggiungendo, in valore assoluto, quasi 300 miliardi di euro. Più che impreparati, all’esame vi siamo arrivati nudi alla meta e nonostante avessimo accatastato oltre 400 miliardi di titoli di Stato (di cui 140 tra il 2012 e il 2013) che alleggeriscono le attività ponderate per i rischi, secondo la tassonomia di Basilea.

In verità gli stress test dimostrano che il sistema bancario italiano è sottocapitalizzato e quindi non in grado di fornire credito al sistema economico. E dobbiamo ricordare che lo era, nel confronto con le banche europee, anche quando la crisi non era deflagrata. Fa anche sorridere che le autorità di controllo si limitino a dichiarare che non vi saranno interventi pubblici per rendere migliore la situazione di alcune grandi banche, dato che non ci si debbono dimenticare gli sprechi andati a favore di grandi debitori, quali Ilva e Alitalia (ricordiamo per pudore solo i più recenti, e non certo trascurabili, quanto a impatto sulle disastrate finanze pubbliche) e quindi indirettamente delle banche creditrici. Non è denaro pubblico anche quello? Vi è un’altra verità purtroppo.

I test della Bce e dell’Eba sono di natura comportamentale ovvero prudenziale. Se i manager di una banca vogliono perseguire una certa politica aziendale devono accantonare a patrimonio risorse predeterminate. Questo principio si applica indipendentemente dalla struttura più o meno efficiente del sistema creditizio considerato. E’ in definitiva la logica degli accordi di Basilea. Devi fermarti se il semaforo è rosso, ma se di semafori non ce ne è o ce ne sono tanti non importa. Puoi proseguire.

Per le banche italiane ai problemi comportamentali si associano quelli strutturali che investono, al momento, anche banche non incluse nella vigilanza europea, ma pur sempre rilevanti per la nostra economia (basta leggere la lista, anche con nomi illustri, dei commissariamenti): assetti inadeguati di governance, conflitti di interesse, eccessivi costi di struttura, ROE da anni molto basso se non negativo nel 2013, frutto di politiche, ai tempi delle vacche grasse, espansive oltre le nostre forze. Un localismo italico esaltato a prescindere, ma con visibili punti critici anche quando se ne voleva vedere solo gli aspetti positivi. Si pensi ad esempio ai ridotti investimenti in tecnologia! Per cui, a ben guardare, la crisi ha senza dubbio peggiorato le condizioni di molti, ma non è l’unica responsabile della attuale situazione.

Dire che questo stato di cose non impone una soluzione pubblica, vale a dire una guida esterna per la ristrutturazione dell’intero settore bancario non è cosa saggia. Perché oramai non possiamo più permetterci un sistema siffatto. Da qui l’invito a procedere speditamente alla sua riconversione industriale, esercitando poteri che l’Unione bancaria non lesina certo alle Autorità nazionali. Luciano De Crescenzo nel recente libro “Ti porterà fortuna. Guida insolita di Napoli” racconta del suo esame di analisi matematica con il celebre matematico Renato Caccioppoli. Lo scrittore fece una pessima prova e il professore, con fare tra il cinico e l’ironico (ahi, gran virtù dei professori antichi), lo congedò con un 21 di “scoraggiamento” invitandolo a cambiare facoltà. Forse è proprio così per il nostro sistema finanziario. Se vogliamo per forza sostenere che siamo passati, siamo passati a stento e il voto finale è un invito – neanche troppo nascosto – a voltare decisamente pagina o a cambiare mestiere.

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