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Banche fragili: in difficoltà nel dare credito nei PIIGS, con leva troppo alta nei paesi core

NOTA DEL CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA – Le banche dei PIIGS sono in difficoltà a causa della perdita di valore dei titoli pubblici in portafoglio, della riduzione della raccolta mediante i depositi, della frammentazione del mercato interbancario dell’Eurozona, a cui non hanno più accesso, e dello scarso e costoso ricorso al mercato finanziario.

Banche fragili: in difficoltà nel dare credito nei PIIGS, con leva troppo alta nei paesi core

Le banche dei PIIGS sono in difficoltà a causa della perdita di valore dei titoli pubblici in portafoglio, della riduzione della raccolta mediante i depositi, della frammentazione del mercato interbancario dell’Eurozona, a cui non hanno più accesso, dello scarso e costoso ricorso al mercato finanziario per l’emissione di obbligazioni, delle perdite sui prestiti provocate dalla recessione e degli obblighi regolamentari imposti dalle nuove normative internazionali di aumentare i ratio patrimoniali. Perciò faticano a finanziare il sistema economico. L’intervento straordinario della BCE, che ha lanciato il salvagente del doppio rifinanziamento a tre anni, ha evitato che il violento credit crunch in atto proseguisse e diventasse rotta del credito. Ma in molti casi non basta più. All’opposto, le banche dei paesi core di Eurolandia sono inondate di capitali in cerca di porti sicuri, che ne accrescono i depositi e ne facilitano la raccolta sui mercati globali con costi ai minimi storici. Al contempo, depositano la liquidità in eccesso presso la BCE, hanno ratio di capitale superiori a quanto richiesto da Basilea 3 ed EBA e quindi possono erogare credito abbondante e a tassi bassissimi al settore privato dei loro paesi. 

Ma continuano ad adottare modelli di business più rischiosi, come mostra la loro leva, il rapporto tra attivo e capitale, che è molto più elevata di quella degli istituti dei paesi periferici. Il deleveraging delle banche quindi proseguirà. Nell’insieme, il sistema bancario di Eurolandia ha crepe che rischiano di ampliarsi sempre più man mano che la crisi della moneta unica si acuisce. La soluzione è ricapitalizzare rapidamente gli istituti in affanno. Ma per salvare le banche spagnole il Governo di Madrid è stato costretto a chiedere l’aiuto europeo: è stato varato un piano UE da 100 miliardi, tali fondi però non sembrano essere sufficienti e non hanno convinto i mercati, anche perché accrescono il debito pubblico iberico. Perciò è urgente varare, più velocemente di quanto deciso a fine giugno, l’unione bancaria di Eurolandia, con messa in comune di vigilanza e rischi e ricapitalizzazione diretta degli istituti da parte dei fondi EFSF-ESM. Infine, acquisti massicci di titoli pubblici, attraverso lo scudo anti spread, sosterrebbero i bilanci delle banche.

Banche dei PIIGS in affanno sul capitale

Molte delle principali banche dei PIIGS non sono risultate in regola con le richieste sul capitale (in rapporto all’attivo ponderato per il rischio) formulate dalla European Banking Authority (EBA) alla fine del 2011: 9,0% entro giugno 2012 in termini di Core Tier 1 (la parte di migliore qualità). Richieste temporanee, molto più severe dei minimi di Basilea 3 e limitate alle grandi banche. Già guardando i dati iscritti in bilancio, relativi a fine settembre 2011, in media le banche spagnole e portoghesi (assieme alle austriache) erano tra quelle con il ratio più basso (7,8%), oltre un punto sotto il minimo. Le italiane erano all’8,4%, le francesi all’8,8% (Tabella A). L’EBA, inoltre, ha valutato i titoli pubblici nel portafoglio delle banche di Eurolandia ai prezzi di mercato, indipendentemente dal fatto che siano detenuti per essere portati a scadenza oppure no, considerando quindi implicitamente l’ipotesi di ristrutturazione dei debiti sovrani. Rispetto ai valori iscritti in bilancio, normalmente pari ai prezzi di acquisto, ciò ha determinato per molti istituti forti svalutazioni. Elevatissime nei PIIGS e notevoli anche in Germania, Belgio e Francia, dove l’investimento in titoli pubblici dei paesi periferici è concentrato in pochi istituti di grandi dimensioni (cosa che accresce il rischio di eventi sistemici).

Tanto che, secondo i calcoli dell’EBA, in quasi la metà dei casi il capitale delle banche era insufficiente. L’esercizio sul capitale condotto dall’EBA nel dicembre 2011 ha riguardato 65 grandi banche di Eurolandia (5 italiane), a 31 delle quali è stato chiesto di adeguare il capitale (per complessivi 114,7 miliardi di euro). Gli istituti spagnoli erano quelli messi peggio: 26,2 miliardi la necessità di ricapitalizzazione (senza considerare gli istituti medi e piccoli), contro i 15,4 per gli italiani, i 13,1 per i tedeschi e i 7,3 per i francesi.

Gli istituti non in regola hanno dovuto presentare piani operativi di rafforzamento già a gennaio 2012. In alcuni paesi, come l’Italia, nella prima metà dell’anno si sono realizzate importanti operazioni per accrescere il ratio di capitale. I  tempi stretti hanno comunque messo in difficoltà varie banche, in particolare proprio quelle iberiche. A metà luglio, l’EBA ha comunicato che la maggior parte dei grandi istituti coinvolti è riuscito a raggiungere l’obiettivo del 9,0% entro il 30 giugno. Poche banche restano con un ratio inferiore, per mancanza di risorse private; per questi istituti si stanno studiando interventi pubblici per rispettare, sebbene in ritardo, le raccomandazioni EBA.

Il sistema bancario di ogni paese è fatto anche, e in certi casi soprattutto, di istituti medi e piccoli. In Italia il Core Tier 1 del totale delle banche a fine 2011 risulta di 0,4 punti più alto di quello dei primi 5 gruppi. Ciò indica che le banche medio-piccole sono più capitalizzate, un dato importante per la tenuta del sistema. In Spagna, invece, le diffuse casse di risparmio sono più in difficoltà. Tra di esse non ci sono solo piccole realtà locali: La Caixa è la terza banca spagnola, Bankia (ex Caja Madrid) è la quarta. Proprio quest’ultima è giunta sull’orlo del fallimento: per salvarla, a fine maggio, il Governo ha apportato 19 miliardi.

Strumenti di intervento europeo ancora inadeguati

Per sostenere l’intero sistema bancario spagnolo, Madrid ha poi dovuto chiedere un piano di aiuti europeo, che ha preso corpo tra giugno e luglio, per un ammontare di 100 miliardi3. L’accordo prevede una serie di condizioni, al cui rispetto è subordinato l’esborso dei fondi. Primo, vengono chieste profonde riorganizzazioni sia di specifiche banche sia dell’intero sistema finanziario, la cui effettiva realizzazione sarà monitorata dalla troika UE-BCEFMI4. Inoltre, è previsto il trasferimento dei poteri di supervisione sugli istituti spagnoli dal Banco de Espana alla troika. La prima tranche del piano (30 miliardi) sarà erogata entro fine luglio. Questi primi fondi verranno inizialmente utilizzati come riserva a fronte di sviluppi inattesi e improvvisi. Ciò fino a settembre, quando sarà completata l’analisi dei fabbisogni delle singole banche. La principale debolezza di questo piano è che, coinvolgendo il Governo spagnolo, cui viene erogato un prestito europeo, comporta l’aumento del debito pubblico del paese e finisce per pesare sullo spread sovrano. Il vertice UE del 28-29 giugno e accordi successivi hanno sancito importanti passi avanti verso l’unione bancaria europea, che sono però lenti a entrare in vigore e incompleti. La vigilanza comune sugli istituti dei 17 paesi di Eurolandia è stata assegnata alla BCE, sottraendola alle autorità nazionali. Questa riforma diventerà, però, operativa solo a inizio 2013, se non ci saranno intoppi. È stato deciso inoltre che, solo da quel momento, i fondi EFSF-ESM potranno ricapitalizzare direttamente le banche in difficoltà nei vari paesi, senza passare per un prestito ai governi nazionali e quindi senza alzare i debiti pubblici, risolvendo il problema di fondo del piano pro-Spagna. La vigilanza comune è stata, in pratica, posta come prerequisito per la ricapitalizzazione diretta, rimandando l’entrata in campo di quest’ultima. Inoltre, non si sono fatti progressi sugli altri due tasselli indispensabili per l’unione bancaria: l’assicurazione comune dei depositi e un meccanismo europeo di liquidazione ordinata delle banche insolventi.

Leva troppo alta nei paesi core

Sebbene presentino ratio di capitale più alti, le banche dei paesi core adottano strutturalmente modelli di business più rischiosi. Tra i maggiori istituti di Eurolandia, infatti, quelli che operano ancora con una leva molto alta sono i tedeschi e i francesi, nonostante il trend di riduzione partito fin dal 2009. Nel 2008 in Germania le principali banche operavano con una leva media di 79, scesa a 40 nel 2011. In Francia è stata ridotta da 47 a 34. Ma si tratta di valori ancora decisamente troppo elevati, che aumentano enormemente la rischiosità della loro gestione, perché implicano che una piccola diminuzione del valore dei loro asset basti per azzerare il valore del loro capitale e renderle insolventi. Lehman Brothers prima di fallire aveva una leva di 24. I principali istituti italiani e spagnoli presentano il minore rapporto attivo/capitale. In Italia è sceso da 29 nel 2008 a 19 nel 2011; in Spagna è aumentato di poco, a 22. In un’ottica di lungo periodo, dunque, sono i grandi istituti tedeschi e francesi ad avere un più elevato rischio di insolvenza.

Depositi in calo nei paesi periferici 

Le banche dei PIIGS devono, però, fronteggiare nell’immediato altre quattro rilevanti difficoltà, oltre alla svalutazione dei titoli pubblici in portafoglio e ai bassi ratio di capitale. Difficoltà che si rafforzano a vicenda e rischiano di bloccare l’operatività di molte di esse, quindi l’erogazione di credito all’economia. Anzitutto, la riduzione della raccolta al dettaglio, tramite depositi in conto corrente. Nel maggio 2012 questi ultimi erano in Grecia inferiori del 29,3% rispetto al 2010, un prosciugamento pari a 28 miliardi; mentre le banche tedesche hanno registrato nello stesso periodo un +12,5% (+135 miliardi). Proprio la dinamica dei depositi sta spaccando l’Eurozona in due gruppi di paesi: i PIIGS, da un lato, ne patiscono la contrazione; i core, dall’altro, beneficiano del loro anomalo incremento. In alcuni paesi del secondo gruppo (Germania, ma anche Austria e Olanda) il livello dei depositi macina record ed è giunto al picco storico nel maggio 2012; viceversa, vari paesi del primo gruppo registrano perdite a due cifre rispetto al massimo di qualche trimestre fa.

Tutto ciò ha conseguenze importanti sul settore bancario di Eurolandia. Indebolisce le fornire prestiti e acquistare attività. Rafforza invece gli istituti tedeschi e degli altri paesi core, che si trovano a disporre di maggiore liquidità con cui operare. Tali andamenti, salvo che nel caso greco, appaiono di medio termine, essendo partiti già nel corso del 2010, e quindi non raffigurano una vera e propria corsa agli sportelli. Dipendono almeno da un paio di ragioni. Prima ragione, c’è una minore capacità delle famiglie di generare risparmio a causa del peggioramento delle condizioni economiche; anzi, spesso vi si attinge per difendere gli standard di vita. La seconda è che chi nei PIIGS detiene quote più elevate di ricchezza sta razionalmente rivedendo l’allocazione del patrimonio tra le diverse tipologie di attività nazionali ed estere e quindi decumula i conti correnti locali, giudicati non più privi di rischio, investendo in attività considerate sicure, anche a costo di avere remunerazione nulla. Tra i maggiori istituti, gli spagnoli hanno una più elevata quota di raccolta costituita da depositi della clientela privata: 62,3%, contro il 55,1% degli italiani, il 55,9% dei tedeschi e il 49,7% dei francesi. In tempi normali, maggiore è tale quota, più elevata è la solidità del finanziamento, come hanno dimostrato i fallimenti per illiquidità di quelle banche che basavano la propria raccolta sui prestiti ottenuti sul mercato interbancario. Oggi, all’opposto, espone di più alla perdita di fiducia delle famiglie o alla loro minor capacità di generare risparmio.

Raccolta troppo costosa per le banche dei PIIGS

La seconda difficoltà è provocata dalla crisi di fiducia dei mercati globali, che comporta l’inaridimento e l’innalzamento del costo della raccolta effettuata attraverso l’emissione di titoli. I principali istituti italiani sono particolarmente vulnerabili a questa difficoltà, costola della crisi dei debiti sovrani: per loro le obbligazioni emesse rappresentano il 30,7% della raccolta complessiva, contro il 22,9% degli spagnoli, il 22,0% dei tedeschi e il 26,4% dei francesi. La difficoltà è, in genere, più sul lato dei costi che su quello dei volumi dei collocamenti obbligazionari. Per gli istituti italiani le emissioni nette di obbligazioni, dopo aver assunto valori negativi nel 2010 (-1,1 miliardi), si sono di nuovo prosciugate nell’estate 2011, mostrando però una buona ripresa in seguito (+8,9 miliardi nel 2011, +15,6 nei primi 3 mesi del 2012). Le emissioni nette degli istituti spagnoli hanno seguito un profilo simile a quello italiano (+18,2 nel primo trimestre 2012, +6,8 nel 2011). Molto peggiore la situazione in Portogallo (-0,4 nel 2012 dopo i +1,2 del 2011) e, soprattutto, in Irlanda (-4,4 dopo il +0,3). Valori negativi non sempre sono sintomi di problematicità: le banche tedesche registrano emissioni nette negative fin dal 2009, segno che hanno fabbisogni decrescenti di raccolta tramite questo canale. Il costo della raccolta obbligazionaria è salito per le banche di tutti i PIIGS nel corso della crisi e resta elevato. Questo aumento viene trasferito ai prenditori (famiglie e imprese) e riduce la domanda di credito perché troppo caro e agisce da fattore recessivo, retroagendo, come detto sopra, sulla dinamica dei depositi bancari. Inoltre, erode la redditività, che è cruciale per generare utili da reinvestire in maggiore capitalizzazione e quindi per soddisfare i ratio senza dover ricorrere a un mercato attualmente molto penalizzante e, soprattutto, senza dover ridurre l’attivo. Una redditività che, per gli istituti maggiori e misurata dal ROE (return on equity), in Italia era già molto bassa: 4,5% a giugno 2011, contro 9,5% in Francia, 11,3% in Spagna, 12,0% in Germania. Si tratta di un dato strutturale, ora accentuato dalla crisi; appare necessaria, in vari casi, una maggiore efficienza, con riduzione dei costi operativi, come indicato dalla Banca d’Italia.

Rapida ascesa di crediti dubbi e perdite, non solo in Spagna

La terza difficoltà del settore bancario dei PIIGS è formata dal continuo aumento dei crediti in sofferenza, cioè con ritardi significativi nel rimborso del capitale e nel pagamento degli interessi. Ciò avviene soprattutto in Spagna, dove le sofferenze sono giunte a maggio 2012 a 156 miliardi di euro, pari al 9,0% dei prestiti. Il trend di aumento è partito nel 2008 ed è proseguito, sebbene a un ritmo più lento, nel 2009-2010, accellerando di nuovo nel 2011-2012 (Grafico B). La maggior parte di queste sofferenze è su crediti che difficilmente verranno rimborsati alle banche spagnole perché concessi al settore immobiliare, gonfiato da una grande bolla nel periodo 2003-2007. Con lo scoppio di quest’ultima, come accaduto negli USA con i mutui subprime, e in seguito all’enorme aumento della disoccupazione, molte famiglie iberiche hanno cessato di rimborsare i capitali avuti in prestito e le banche si ritrovano con voci di attivo iscritte in bilancio che valgono sempre meno e che intaccano ulteriormente i ratio di capitale. Queste perdite sono l’elemento che più pesa nella crisi bancaria spagnola e che ha costretto il Governo di Madrid a chiedere l’aiuto europeo. Il fenomeno non è, però, confinato all’economia spagnola. In Italia, ad esempio, le sofferenze bancarie sono arrivate a maggio 2012 a 111 miliardi, il 6,5% dei crediti.

Mercato interbancario frammentato in Eurolandia

La quarta fondamentale difficoltà per le banche dei PIIGS è costituita dal prosciugamento della raccolta interbancaria. Il blocco del mercato interbancario europeo fa sì che tale fonte oggi conti molto più in Francia (24,0% del totale a fine 2011) e Germania (22,1%), che in Italia (14,2%) e Spagna (14,8%). Ciò riflette la sfiducia delle banche dei paesi core verso quelle dei PIIGS. Le prime sono quelle in cui transita più liquidità e che si prestano fondi a breve solo tra loro, e non alle banche dei paesi periferici. Anche gli istituti di altri paesi esterni a Eurolandia hanno progressivamente ritirato fondi dalle banche PIIGS, alle quali in precedenza prestavano in misura significativa. Per spiegare quello che è avvenuto nel sistema interbancario di Eurolandia, prendiamo ad esempio le relazioni bilaterali Grecia-Germania. Il saldo commerciale bilaterale, in deficit per la Grecia, determina un flusso netto di pagamenti da imprese greche a imprese tedesche. Da ciò deriva un flusso di depositi delle imprese esportatrici tedesche presso le banche nazionali. Viceversa, in Grecia le banche devono finanziare gli importatori locali. Fino a che le banche tedesche fornivano prestiti a quelle greche, il circuito si chiudeva via mercato interbancario. Fin dall’inizio della crisi, e soprattutto con il suo aggravarsi, le banche tedesche hanno prosciugato il flusso di fondi agli istituti greci. Effetto, appunto, della frammentazione del mercato interbancario. Le prime hanno iniziato a depositare liquidità presso la BCE via Bundesbank; i secondi hanno dovuto sempre più finanziarsi presso la BCE attraverso la Bank of Greece. Ciò ha progressivamente aumentato l’attivo della Bundesbank in TARGET26, il sistema dei pagamenti di Eurolandia, e il passivo della Bank of Greece sempre in TARGET2. Questo provoca una forte e crescente esposizione della Bundesbank (ma anche di altre Banche centrali) al rischio di default e, peggio, di uscita dall’euro della Grecia, come vedremo meglio più avanti. Tutto ciò si osserva per ogni paese core e per ogni PIIGS, con i primi che accumulano surplus in TARGET2 e i secondi deficit. Gli interventi della BCE, fin dal 2009, con le aste di importo illimitato e a tasso fisso che hanno raggiunto il culmine con le due operazioni di durata triennale di fine 2011 e inizio 2012 (per un ammontare lordo di 1018 miliardi), hanno sopperito al collasso del mercato interbancario nell’Eurozona e alla frammentazione del sistema bancario europeo in tanti sistemi nazionali, evitando il crollo di molti istituti nei paesi periferici. Oltre alle banche greche, anche le portoghesi, spagnole e italiane hanno preso a prestito volumi elevati di liquidità dalla BCE. La difficoltà (o impossibilità) nel reperire fondi sull’interbancario e le altre problematiche delle banche di cui si è detto, sono le cause del credit crunch nei PIIGS partito dagli ultimi mesi del 2011: in Grecia -5,5% annuo a maggio 2012 i prestiti alle società non finanziarie, -5,8% in Spagna, -1,2% in Italia (-1,8% da settembre). Per il nostro paese, i dati qualitativi dell’indagine sul credito bancario di Banca d’Italia mostrano chiaramente che, mentre l’offerta è stata ridotta da inizio 2011, la domanda di fondi da parte delle imprese non ha subito cali fino a fine anno. Perciò, la riduzione dello stock di prestiti alle imprese, partita da ottobre 2011, è dipesa dal calo di offerta, non di domanda. Quest’ultima ha poi iniziato a ridursi solo nel 2012, a seguito della recessione provocata anche dallo stesso credit crunch. Peraltro, alle imprese italiane è venuta a mancare liquidità pure a causa del crescente ritardo dei pagamenti da parte della PA, per i quali è urgente trovare un meccanismo di smobilizzo. Viceversa, le banche in Germania e negli altri paesi core, specularmente a quelle nei PIIGS, si sono trovate con un’abbondante liquidità  proveniente dai depositi di imprese e famiglie (non solo connazionali), liquidità che, non volendo più impiegare nel naturale sbocco dell’interbancario, riversano altrove. In parte, nell’aumento dei prestiti al settore privato: +2,1% annuo nel maggio 2012 il credito alle imprese non finanziarie tedesche. Il resto, parcheggiato nella Deposit Facility della BCE, arrivata al record di 807 miliardi a inizio luglio 2012, cioè fino a quando ha pagato un tasso di interesse, per quanto ridotto (0,25%). Con l’azzeramento di tale tasso, le banche dei paesi core mantengono tali fondi sul current account presso la BCE, piuttosto che spostarli sulla Deposit Facility. Tutto ciò può essere visivamente schematizzato, di nuovo, semplificando i flussi finanziari in Eurolandia attraverso l’uso di un solo paese core (Germania) e di un solo PIIGS.

Squilibri sempre più ampi tra le Banche centrali nazionali

Questo schema illustra inoltre che la BCE non opera come un monolite, ma facendo leva  sulle Banche centrali nazionali (BCN). Per statuto BCE, ogni banca di Eurolandia può interfacciarsi solo con la BCN del paese in cui ha la sede legale. Perciò è la Bank of Greece che presta alle banche greche. Ed è la Bundesbank che riceve i depositi degli istituti tedeschi. Il circolo si chiude con la Bundesbank che si trova in credito verso la BCE, mentre la Bank of Greece a debito, nell’ambito di TARGET2. Alla fine di ogni giornata, debiti e crediti bilaterali delle BCN vengono sommati o compensati e riferiti alla controparte unica costituita dalla BCE. I crediti e i debiti accumulati dalle diciassette BCN di Eurolandia dall’inizio della crisi (Grafico D) riflettono in gran parte gli squilibri di bilancia corrente dei rispettivi paesi e i movimenti di capitale da un paese all’altro, in presenza di un mercato interbancario frammentato. I crescenti attivi e passivi in TARGET2 possono quindi essere letti come rivelatori, insieme, degli squilibri nei conti con l’estero e della frammentazione dell’interbancario di Eurolandia, senza la quale non si sarebbero determinati. La Bundesbank sta accumulando crediti ingenti verso la BCE, a ritmi che stanno accelerando. A fine 2011 ammontavano a 463 miliardi di euro (pari al 17,9% del PIL tedesco). Nel corso del 2012 stanno aumentando in media di 44 miliardi al mese e sono arrivati a giugno al record di 729 miliardi. Questa accumulazione avviene automaticamente a seguito degli squilibri di bilancia corrente e soprattutto dello spostamento di capitali privati dai paesi periferici alla Germania. E determina una sempre più grande esposizione della Bundesbank, quindi dello stato tedesco, verso i paesi periferici stessi. In questo modo la Germania sta già, pur non volendolo, finanziando gli squilibri degli altri membri dell’Eurozona. In aggiunta, i deflussi monetari dalla periferia alla Germania vengono coperti dai prestiti BCE ai sistemi bancari che patiscono l’emorragia. Se su tali prestiti la BCE dovesse incorrere in perdite, queste sarebbero suddivise tra i paesi dell’Eurozona pro-quota, in base alla percentuale di ciascuna BCN nel capitale BCE. Ad esempio, la Bank of Greece ha accumulato notevoli debiti con la BCE, pari a 105 miliardi a fine 2011 (48,8% del PIL greco), proprio perché ha prestato alle banche greche. Ciò suggerisce che, in caso di uscita della Bank of Greece dal meccanismo monetario unico, la Bundesbank dovrebbe iscrivere a bilancio una perdita pari al debito della Bank of Greece moltiplicato per la propria quota nel capitale BCE (18,9%), cioè circa 20 miliardi. La perdita verrebbe computata nello stesso modo per tutte le altre 15 BCN (14,2% la quota della Banca di Francia, 12,5% quella della Banca d’Italia). La presa di coscienza di questo fenomeno, che è stato oggetto di un acceso dibattito, è relativamente recente da parte delle autorità tedesche e ha accelerato in Germania la ricerca di una soluzione della crisi dell’eurodebito che non sia incentrata sulla sola politica di rientro dei deficit pubblici eccessivi e che abbia un perno fondamentale nella creazione di un sistema bancario unico in Eurolandia.

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