Condividi

Autorità e politica: il problema delle nomine

Un’analisi della questione delle nomine di presidenti e componenti delle autorità: l’influenza partitica e i rischi di disfunzione delle istituzioni – Tornare alla competenza come criterio fondamentale e rendere trasparenti le procedure.

Autorità e politica: il problema delle nomine

Ci fu un tempo, neanche troppo lontano, in cui le autorità indipendenti apparivano come il modello di funzionamento di un’ amministrazione. Per la competenza tecnica dei vertici e dello staff, ma anche per le modalità organizzative e l’efficacia.

La chiave di questo successo era vista, in un’epoca di lottizzazione partitocratica dell’apparato pubblico, nella capacità di tenersi indipendenti dalla politica. I modelli organizzativi e di definizione della governance delle autorità indipendenti stabilite negli anni ’90 miravano infatti a garantire che funzioni di tutela di interessi sensibili, come la concorrenza, la privacy e la libertà di informazione, o di regolazione di settori importanti dell’economia, come quello dell’energia o delle comunicazioni, fossero sottratte all’influenza di chi momentaneamente deteneva il potere. Di qui, metodi di nomina del Presidente e dei componenti delle autorità che si fondavano sostanzialmente su due modelli: una nomina diretta da parte dei Presidenti di Camera e Senato, rispettivamente la seconda e la terza carica dello Stato, e quindi ritenuti garanti dell’imparzialità delle istituzioni, come nel caso dell’Autorità della Concorrenza; o una nomina governativa successivamente confermata dalle Commissioni Parlamentari con maggioranza di due terzi, come nel caso dell’Autorità per l’Energia, dell’originario disegno dell’Autorità per le Comunicazioni, e, più recentemente, della nominata ma non ancora istituita, Autorità dei Trasporti. 

Queste procedure, istituite nel periodo di crisi della politica che va dall’inizio degli anni ’90 alla fine dei governi tecnici, non sono però state in grado di arginare l’influenza partitica, quando la politica ha recuperato il suo ruolo. Un osservatore attento e prudente, quale l’Assonime, ha osservato recentemente che “una delle principali carenze dei vari sistemi di nomina previsti dal nostro ordinamento è l’oscurità dei canali di selezione dei candidati. L’impressione è che la scelta avvenga, di norma, tra i conoscenti diretti o indiretti dei soggetti chiamati ad effettuare la nomina.”

Si potrebbe essere più espliciti: a partire dal 2000 gli episodi in cui i procedimenti di nomina delle Autorità appaiono essere stati guidati da considerazioni non necessariamente legati alla competenza delle persone prescelte non sono pochi. Solo per citarne alcuni, all’Autorità Antitrust fu parcheggiato come componente un ex sindaco di Bologna, che (bontà sua) presto si dimise per partecipare alle successive elezioni; in numerosi casi, componenti alla scadenza del loro mandato sono stati trasferiti da un’autorità all’altra; spesso il criterio di scelta appare essere stato quello della dipendenza da partiti o imprese regolate, e non quello dell’indipendenza.

Nell’ambiente circola l’aneddoto di un professore riconosciuto esperto di concorrenza che, all’approssimarsi della scadenza dell’Autorità, si permise di sottoporre la propria candidatura ad un Presidente di una delle Camere, salvo sentirsi rispondere che il posto era già assegnato a persona non altrettanto competente, ma che comunque il Presidente sarebbe stato lieto di designarlo all’Autorità degli Appalti. Al che il professore rispose che gli interessava la concorrenza, non un posto in qualche autorità.

Ma al di là degli aneddoti, l’inadeguatezza dei sistemi di designazione dei vertici delle autorità ha dato luogo a veri e propri rischi di disfunzione delle istituzioni. Nel 2004 la composizione dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas fu ampliata da tre a cinque membri: e ciò per lasciare spazio a nomine che potessero accontentare i principali partiti interessati: i quali peraltro non riuscirono a mettersi d’accordo, cosi che per quasi sette anni l’Autorità è stata gestita (peraltro assai bene) dal Presidente e da un solo componente, mentre nelle Commissioni parlamentari le candidature degli altri membri venivano bloccate dai veti reciproci dei partiti.

Più recentemente, l’istituzione dell’Autorità dei Trasporti è impedita dalla difficoltà, da parte delle Commissioni Parlamentari, di ratificare le proposte di nomina del Governo, tra cui figura il Presidente Emerito del Consiglio di Stato, un po’ come se il Presidente Napolitano fosse nominato Ministro nel prossimo Governo. Infine, anche la nomina dell’Autorità delle Comunicazioni, nel formato ridotto a cinque membri richiesto dal Decreto Salva-Italia, non ha mancato di suscitare le stesse critiche del passato circa il grado di competenza dei componenti.

In generale, è stato rilevato che nell’ultimo decennio i componenti delle autorità sono stati scelti, certo con notevoli eccezioni, con scarso riguardo alla competenza nelle materie loro affidate, e invece con attenzione agli equilibri politici. Il problema non si limita alla composizione dei Collegi ma, naturalmente, si riflette sulle strutture organizzative: in molti casi i funzionari di vertice hanno cessato di essere i riferimenti permanenti della struttura, per diventare referenti temporanei dei Presidenti in carica.

Insomma, anche nelle Autorità si è andata perdendo la distinzione tra funzione di indirizzo e funzione di gestione che dovrebbe invece caratterizzare un’efficiente funzionamento dell’Amministrazione. E’ allora chiaro che la questione delle nomine delle Autorità richiede una riforma radicale: e forse questo è un compito che potrà proporsi un nuovo Parlamento meno condizionato dalle logiche di appartenenza che non in passato. Il criterio potrebbe allora essere quello di adottare procedure che rendano più trasparenti le scelte.

In Gran Bretagna la scelta dei vertici avviene tramite una chiamata pubblica, addirittura non limitata soltanto ai cittadini del Regno Unito: i criteri sono quelli della competenza nelle materie amministrate. Tra questi poi si effettua la scelta sottoponendola alle competenti Commissioni Parlamentari. Un meccanismo del genere potrebbe essere introdotto anche nel nostro Paese, naturalmente con le modifiche che la nostra situazione richiede. E’ d’altronde la proposta contenuta in un recentissimo studio dell’Assonime, che suggerisce che le candidature possano essere avanzate dai candidati o da altri soggetti, e che esse siano vagliate da parte di un organismo terzo (una società di consulenza o un’istituzione pubblica) e segnalati poi al Governo, a cui è affidato il compito della designazione, che dovrebbe tuttavia essere motivata in relazione alle raccomandazioni dell’organismo tecnico. Il processo dovrebbe poi essere concluso dall’audizione pubblica dei candidati da parte delle Commissioni Parlamentari, che dovrebbero esprimersi con maggioranza qualificata. Un processo, insomma, che garantisca un sistema di bilanciamento e controllo che faciliti la scelta dei soggetti più competenti. L’importante, tuttavia, è che questi criteri siano regolamentati e proceduralizzati: il rischio altrimenti di soluzioni di comodo è elevato; è stato questo per esempio il caso delle recenti nomine all’Autorità delle Comunicazioni, per le quali il Governo ha sollecitato l’invio di curricula di cui pare tuttavia aver tenuto poi scarso conto, rispetto al prevalere delle indicazioni di provenienza politica. La scelta del criterio della competenza per la designazione del vertice non potrà che riflettersi positivamente sul complessivo funzionamento delle istituzioni, che non sono solo rappresentate dal Collegio, ma dall’intera organizzazione la cui efficienza ed efficacia, non va dimenticato, dipende da chi le governa.

Commenta