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Annuario del lavoro: come rivedere le regole. Arriva l’edizione 2011

All’edizione per il 2011, curata da Massimo Mascini, si è ricordato come il tema del mercato del lavoro, trascurato per alcuni anni, sia tornato d’attualità – Prima il caso Fiat e l’accordo tra sindacati e Confindustria sulle nuove regole di contrattazione, poi l’attuale dibattito sull’articolo 18 e gli altri temi riproposti dal Governo Monti

Annuario del lavoro: come rivedere le regole. Arriva l’edizione 2011

Sarà tattica negoziale o sarà confusione culturale sulle vere sfide che stanno davanti al nostro Paese, che non solo deve superare la crisi di fiducia da parte dei mercati, ma soprattutto deve riprendere un processo di sviluppo da troppo tempo interrotto, sta di fatto che la Camusso continua ad arroccarsi sulla difesa di tutto il sistema di relazioni industriali e di funzionamento del mercato del lavoro che ha ormai mostrato tutti i suoi difetti sia nella salvaguardia dei lavoratori, sia nel determinare la perdita complessiva di competitività dell’Italia.

 

Questo è quanto si può dedurre dall’intervento del segretario generale della Cgil Susanna Camusso al dibattito organizzato per la presentazione dell’Annuario del Lavoro per il 2011 curato da Massimo Mascini. Al dibattito partecipavano Aurelio Regina, presidente della Confindustria Lazio, Raffaele Bonanni, segretario della Cisl, Luigi Angeletti, segretario della Uil, ed il vice ministro al Lavoro Michel Martone. L’introduzione è stata fatta dal prof. Carlo Dell’Aringa che ha giustamente ricordato come il tema del lavoro, trascurato per alcuni anni, sia tornato già l’anno scorso, ed ancor più in questi primi mesi del 2012, al centro dell’attenzione e del dibattito economico e politico. Già nel 2011 il caso Fiat e l’accordo di giugno tra sindacati e Confindustria sulle nuove regole di contrattazione, avevano riproposto il tema della produttività del lavoro e la necessità di collegarvi più strettamente le retribuzioni, ma oggi il Governo Monti ha posto con urgenza di fronte alle parti sociali la necessità di rivedere profondamente le regole del mercato del lavoro per assicurare maggiore flessibilità sia in entrata che in uscita dal posto di lavoro, per trasformare l’attuale sistema di cassa integrazione in un sistema di garanzie economiche e soprattutto di formazione per il reimpiego, per modificare le norme processuali in modo da poter chiudere eventuali procedimenti giudiziari in tempi rapidi. Dell’Aringa tra le altre cose ha da un lato ammonito le parti a non aumentare troppo i costi per le imprese della flessibilità in entrata, e dall’altro ha ricordato come la questione dell’articolo 18 non sia di per sè determinante ma è certamente influente sulla funzionamento complessivo del mercato del lavoro e sulla possibilità di mandare un messaggio di rinnovamento a tutti i potenziali investitori internazionali.

 

Sicuramente nè i sindacati nè il governo potevano sbilanciarsi in dichiarazioni pubbliche alla vigilia di nuovi importanti incontri volti a cercare un efficace compromeso per chiudere la partita entro febbraio. Tuttavia, anche limitandosi a parlare di temi generali, colpisce che la Camusso da un lato abbia attaccato il Governo che a suo parere non ha un chiaro obiettivo di politica sociale (oltre a quello di risanamento finanziario che peraltro è preliminare a qualsiasi politica sociale si voglia fare) e dall’altro si sia trincerata dietro la formula vecchia e superata dagli eventi del ” No all’articolo 8 e Si all’articolo 18″. Cioè un no alla prevalenza della contrattazione aziendale con le relative questioni della rappresentanza in fabbrica, ed un sì al mantenimento dell’articolo 18 così com’è.

 

Eppure la Camusso si è lamentata che negli ultimi anni c’è stata una svalorizzazione del lavoro, una riduzione dei salari, un decadimento dell’istruzione che si è sempre più allontanata dal mercato del lavoro ed infine una decadenza delle pratiche di concertazione come se esse fossero qualcosa di negativo e paralizzante per l’intero paese. Ma dicendo queste cose il segretario della Cgil non si è accorta di cadere in profonda contraddizione con la sua stessa posizione di netta contrarietà al cambiamento di regole e prassi del mercato del lavoro che certo hanno contribuito a determinare quella situazione di “svalorizzazione” del lavoro, giustamente lamentata. La contrattazione centralizzata non ha permeso di legare maggiormente i salari alla produttività, le confuse e rigide norme del mercato del lavoro hanno bloccato la flessibilità dando luogo ad un precariato selvaggio, scoraggiando gli investimenti e tenendo i giovani lontani dal mercato del lavoro, la tutela offerta dalla Cassa integrazione, oltre ad essere discriminante nei confronti dei tanti che ne sono privi, ha costituito un freno alla riqualificazione e al reinserimento di quanti hanno perso il posto di lavoro. Lo stesso art. 18 ha tutelato pochissimo coloro che si sono trovati in aziende in crisi, e comunque è applicato solo a meno della metà dei lavoratori.

 

Il sottosegretario Martone ha ricordato da un lato che il mercato del lavoro è un tassello di una più vasta gamma di provvedimenti volti a rimettere in moto l’economia del Paese, e dall’altro che il Governo sta facendo di tutto per varare una riforma incisiva con il consenso delle parti sociali, come auspicato ancora ieri dal Presidente della Repubblica. L’obiettivo di politica sociale è quello di incrementare la produttività e di legare ad essa gli aumenti delle retribuzioni dei lavoratori.

 

Al di là della tattica negoziale che è sempre legittima e che deve tener conto anche delle posizioni esistenti all’interno delle varie organizzazioni, quello di cui sembra esserci disperato bisogno è un vero e proprio salto culturale. Monti sostiene che il suo obiettivo è quello di cambiare le “abitudini” degli italiani, ma forse il termine usato è riduttivo: bisognerebbe cambiare le “attitudini”, cioè la cultura dei cittadini di un Paese che per troppo tempo si sono illusi di poter campare sul “buonismo” (ipocrita e peloso) della poilitica.

 

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