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America Latina: niente crescita senza riforme

Se in Argentina, grazie all’aggiustamento degli squilibri macroeconomici e alle misure di liberalizzazione si prevede quest’anno una dinamica in ascesa a +3,4%, l’economia colombiana dipende ancora eccessivamente dalle fluttuazioni dei prezzi delle materie prime, mentre il Messico presenta un rapporto debito estero/Pil (39,6%) tra i più alti del continente.

America Latina: niente crescita senza riforme

L’economia dell’Argentina ha cominciato a raccogliere i frutti dei provvedimenti di liberalizzazione dei mercati e di stabilizzazione macroeconomica presi dal Governo negli ultimi due anni. Secondo dati preliminari ufficiali riportati dalla Direzione Studi e Ricerche Intesa Sanpaolo, lo scorso anno il PIL è aumentato del 2,9% in termini reali, dopo essere diminuito del 2,2% nel 2016. E ora le più recenti stime di consenso indicano per l’Argentina una crescita del PIL del 3,4% nel corso di quest’anno e del 2,8% nel 2019.

In Colombia, a partire dal 2015 la dinamica del PIL ha frenato, risentendo del calo dei prezzi degli idrocarburi e di altre materie prime. Sulla domanda interna ha inoltre pesato il rialzo del costo del denaro (nel biennio 2015-16 il tasso di riferimento è salito dal 4,5% al 7,5%) finalizzato a contrastare le spinte inflazionistiche dovute all’ampio deprezzamento del tasso di cambio. Secondo dati preliminari dell’ufficio statistico DANE, nel 2017 la crescita del PIL è stata pari all’1,8%, in ulteriore frenata rispetto al 2% registrato dodici mesi prima.

Diversa la situazione in Messico: il Paese sta attraversando una fase di grande incertezza politica determinata dai negoziati per la revisione del NAFTA e dalle elezioni in calendario nel prossimo mese di luglio. Nel 2017 la crescita del PIL ha rallentato dal 2,9% al 2,1%. Dal lato della domanda, la frenata dell’economia riflette la contrazione degli investimenti (-1,3%), che hanno risentito dell’incertezza riguardo le relazioni economiche con gli Stati Uniti. I consumi delle famiglie sono cresciuti del 3,1% (da +3,7% nel 2016) mentre le esportazioni hanno accelerato (+4,4%).

Le più recenti previsioni di consenso e il World Economic Outlook Update di gennaio 2018 del FMI stimano per il Messico una accelerazione della crescita del PIL al 2,3% nel 2018 e al 3% nel 2019: queste previsioni sottendono una revisione del NAFTA che non penalizzi eccessivamente le attività messicane rivolte alle esportazioni e un conseguente recupero degli investimenti.

La persistenza delle spinte inflazionistiche e le pressioni del Governo argentino per una politica monetaria maggiormente a sostegno della crescita economica hanno indotto lo scorso dicembre la Banca Centrale ad alzare l’obiettivo d’inflazione per il 2018 al 15% (dall’8-12% precedente) e quello del 2019 al 10% (dal 3,5-6,5%). Nel corso del 2017 per contrastare le spinte inflazionistiche il tasso di riferimento è stato alzato dal 24,75 al 28,75%; nelle prime settimane di quest’anno, tuttavia, dopo la revisione dell’inflazione obiettivo, la Banca Centrale ha operato due tagli del tasso di riferimento portandolo al 27,25%.

Nuove azioni distensive sono previste nei prossimi mesi, con il tasso di riferimento visto attorno al 21% a fine 2018. In Colombia, il tasso tendenziale d’inflazione, dal picco al 9% toccato nel luglio 2016, è sceso al 3,7% nel gennaio 2018, tornando nella fascia obiettivo del 3% +/-1%. Secondo la Banca Centrale, la stabilizzazione del cambio e la crescita economica moderata manterranno l’inflazione entro la fascia obiettivo pure nel 2018: il tasso di riferimento dal 7,75% a fine 2016 è sceso al 4,5% in occasione dell’ultimo taglio deciso a febbraio 2018.

E il miglioramento dell’attività economica e i rischi al rialzo per l’inflazione fanno ritenere improbabili nuove azioni distensive. In Messico il tasso tendenziale d’inflazione è salito dal 3,4% al 6,8% lo scorso dicembre, quello core si è portato al 4,9% dal 3,4% precedente. Le spinte inflazionistiche sono attese rientrare gradualmente nel 2018, con il tasso tendenziale previsto entro fine 2018 attorno al 4%, limite superiore della fascia obiettivo della Banca Centrale (3% +/-1%): in due anni il tasso di policy è salito dal 3% a fine 2015 al 7,5% a febbraio 2018. Secondo gli analisti, con i tassi reali ora positivi e l’inflazione vista frenare il ciclo rialzista sta ormai volgendo al termine. La più recente previsione di consenso vede la Banca Centrale rimanere ferma per tutto l’anno, per poi iniziare una fase distensiva nel 2019 (tasso al 6,75% alla fine del prossimo anno, dal 7,50% a fine 2018).

Nel 2016, il deficit pubblico primario argentino in rapporto al PIL, pari al 4,6%, è stato inferiore all’obiettivo del 4,8%; lo scorso anno, il Governo ha indicato un deficit primario obiettivo del 4,2%. Il debito pubblico, in rapporto al PIL, negli ultimi 5 anni è salito di 15 punti portandosi al 51% nel 2016, laddove circa il 70% di questo debito è in valuta. Nel 2017, il saldo di bilancio dello Stato obiettivo ha registrato un deficit in rapporto al PIL pari al 4,7%, sostanzialmente invariato rispetto ai dodici mesi precedenti, mentre quello complessivo è salito al 6,9%, dal 6,5% nel 2016.

Per il 2018 il Governo ha indicato un deficit primario obiettivo pari al 3,2% del PIL, mentre il fabbisogno finanziario complessivo è previsto al 5%: il debito pubblico in rapporto al PIL è previsto salire dal 52,8% nel 2017 al 55,8%. Nel 2017, il peggioramento del saldo commerciale, unito ai maggiori pagamenti per la remunerazione dei capitali investiti nel paese, ha determinato un sostanziale allargamento del deficit corrente della bilancia dei pagamenti, stimato lo scorso dicembre attorno ai 22 miliardi di dollari (3,7% del PIL) da 14,7 miliardi (2,7% del PIL).

Nello stesso periodo le riserve valutarie ammontavano a 50,1 miliardi (per un reserve cover ratio pari a 0,74) e il debito estero era pari a circa 160 miliardi (31% del PIL); il debito estero in rapporto al PIL è salito dal 28,3% al 36,2% del PIL. In Colombia il peso delle entrate da idrocarburi è sceso da quasi il 20% del totale a circa il 2%: lo scorso anno il rapporto deficit/PIL è salito dal 3% al 3,2%. Allo stesso tempo, il debito pubblico in rapporto al PIL è sceso ulteriormente, dal 50,2% al 48,5%. Inoltre, il deficit della parte corrente della bilancia dei pagamenti è diminuito da 12,4 miliardi a 8,4 miliardi (2,7% del PIL): questo risultato riflette principalmente la riduzione del deficit commerciale.

Lo scorso anno, il calo degli IDE (scesi dal 4,8% al 3,2% del PIL) e degli investimenti esteri di portafoglio (da 3,2% a 1,9% del PIL) ha determinato una contrazione del surplus del conto finanziario. A fine 2017 le riserve valutarie ammontavano a 45,4 miliardi, contro un fabbisogno finanziario nel 2018 stimato pari a 37,9 miliardi, per un reserve cover ratio di 1,2. Il debito estero a fine 2017 era pari al 48,5% del PIL, di cui quasi 2/3 detenuto dal settore pubblico.

In Messico, secondo dati preliminari, nell’intero 2017 il deficit commerciale è sceso da 13,1 miliardi a 10,9 miliardi, mentre quello corrente si è collocato attorno ai 20 miliardi (1,7% del PIL). A fine 2017 le riserve in valuta ammontavano a 164,8 miliardi, in calo da 168,7 miliardi, contro un fabbisogno finanziario estero per il 2018 stimato pari a 130 miliardi (reserve cover ratio 1,27). Lo scorso settembre il Messico aveva una posizione finanziaria netta internazionale passiva pari a 531 miliardi (46,5% del PIL), dove il rapporto debito estero/PIL, pari al 39,6%, si è collocato tra i più alti in America Latina.

In Argentina i progressi sulla strada delle riforme e dell’aggiustamento degli squilibri macroeconomici hanno indotto le agenzie di rating ad operare nuove revisioni al rialzo della propria valutazione del debito sovrano in valuta del Paese: lo scorso ottobre S&P ha alzato il rating da B a B+, lo stesso hanno fatto a novembre Moody’s (da B3 a B2) e Fitch (rating B con Outlook da Stabile a Positivo).

Tutte e tre le principali agenzie di rating considerano il debito sovrano in valuta della Colombia un investimento non speculativo, tuttavia lo scorso dicembre S&P ha tagliato la propria valutazione da BBB a BBB-, mentre Fitch e Moody’s non hanno invece cambiato negli ultimi anni la propria valutazione (BBB e Baa2 rispettivamente). Il debito sovrano in valuta del Messico è un investimento non speculativo (rating BBB+ per Fitch e S&P, A3 per Moody’s), laddove a metà dello scorso anno S&P e Fitch hanno tolto l’Outlook Negativo sul rating.

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