E’ costellato di insidie spesso invisibili il lungo cammino che da qui ai prossimi due anni dovrà portare all’approvazione del nuovo Quadro finanziario Pluriennale (QFP), praticamente il bilancio a lungo termine dell’Unione dal 2028 al 2034, per oltre 1800 miliardi di euro.
E’ una delle sfide più ardue che si troverà ad affrontare la presidente della Commissione Ursula von der Leyen uscita per ora indenne (anche se un pò acciaccata) dal recente voto di sfiducia e dalla vicenda Pfizer. Una sfida che si va ad intrecciare con il negoziato sui dazi con gli Stati Uniti e con la crisi Ucraina che ha imposto all’Unione un impegno finanziario notevole per soddisfare la domanda di sicurezza e difesa a scapito dei fondi destinati agli agricoltori.
“Alla ripresa autunnale – spiega Enzo Moavero, ex ministro degli Esteri e docente di politiche europee alla Luiss – si riuniranno i gruppi tecnici per analizzare nel dettaglio le oltre 200 pagine del progetto del bilancio pluriennale da sottoporre al Consiglio Affari generale alla fine dell’anno; in caso di un mancato accordo la parola passerà direttamente ai capi di Stato e di Governo del Consiglio europeo come già accaduto nelle ultime due tornate”. Secondo Moavero la creazione di un megacapitolo di bilancio che racchiude in sè sia i fondi della Pac che quelli di coesione rischia di penalizzare i contributi all’agricoltura anche se saranno i piani nazionali a decidere come modulare gli interventi.
Ma già dalle prime battute, secondo Moavero, si è resa evidente la scarsa influenza che le lobby degli agricoltori europei (soprattutto italiani) hanno esercitato rispetto al passato. Italia e Francia potrebbero quindi vedere ridotti i contributi loro assegnati. Ma si tratta anche dei due Paesi che hanno bloccato a suo tempo l’accordo Ue-Mercosur che in questa fase di riduzione del mercato americano per i dazi avrebbe potuto rappresentare una valida alternativa. La presidente della Commissione potrebbe quindi usare nei confronti di Italia e Francia l’argomento della mancanza di solidarietà nei confronti degli allevatori del nord Europa. Non è escluso poi, spiega sempre Moavero, che i funzionari della Commissione abbiano già lavorato col bilancino almeno con i rappresentanti dei Paesi più grandi, ma non con l’Italia.
Il negoziato potrebbe anche portare (sempre lontano dai riflettori) a forme di compensazione tra agricoltura e industria della difesa. Ma questo dipenderà molto da come evolverà il quadro geopolitico e le future necessità europee sul fronte della difesa.
C’è da dire che il documento presentato il 16 luglio dalla von der Lyen dopo ore di trattativa tra i commissari sarebbe il risultato di una pianificazione avviata da tempo. Prevedendo una trattativa difficile von der Leyen e il suo capo di gabinetto, Bjoern Seibert, hanno avviato i colloqui con gli Stati membri 18 mesi fa, cioè prima ancora di avere ottenuto il secondo mandato. L’idea era di raccogliere contributi, evitare una complicata battaglia in seguito e poter presentare un bilancio che godesse di un consenso considerevole. Non sono mancate critiche da parte dei parlamentari ai quali sono state presentate alcune slides mentre la conferenza stampa sarebbe stata più curata (anche se l’associazione dei corrispondenti API ha avuto da ridire).
La novità della von der Leyen è stata quella di accorpare diverse risorse di bilancio in piani per ciascun Paese, che avrebbero prodotto risultati solo quando i Governi avessero attuato alcune riforme. In questo modo il sistema avrebbe incoraggiato i Paesi recalcitranti a intensificare i loro sforzi, aumentando al contempo l’influenza di Bruxelles. Ma con il passare delle settimane, un’alleanza tra agricoltori, regioni e legislatori si è coalizzata per contrastare questa visione. “Sono riusciti tutti a salvare la faccia”, avrebbe detto un funzionario della Commissione. Di fronte alla minaccia di tagli ingenti al gigantesco bilancio agricolo dell’UE, il Commissario per l’Agricoltura Christophe Hansen è riuscito a mettere da parte 300 miliardi di euro che finirebbero direttamente nelle tasche degli agricoltori. Per la Politica agricola comune, “non si tratta di una rivoluzione ma di un’evoluzione”, ha detto Hansen ai giornalisti, nel tentativo di rassicurare gli agricoltori che protestavano nelle strade di Bruxelles.
Contro von der Leyen anche la Commissaria per i diritti sociali Roxana Mînzatu, che ha combattuto una battaglia di retroguardia per preservare il Fondo sociale europeo (il fondo sostiene la formazione dei disoccupati e di altri gruppi vulnerabili). Pur non riuscendo a ottenere un importo preciso per il FSE, Mînzatu ha ottenuto l’impegno a destinare il 14% del bilancio complessivo alla spesa sociale.
Quanto all’Italia il Commissario per la Coesione e le Riforme Raffaele Fitto si è opposto a un piano volto ad ampliare il potere dei governi nazionali a scapito delle regioni. Il progetto rischiava di erodere il potere di Fitto all’interno della Commissione e di indebolire la politica regionale dell’Ue. Negli incontri tra il team di Fitto e Seibert “si è parlato proprio di questo”, ha dichiarato un funzionario. Fitto ha infine ottenuto l’impegno di destinare 218 miliardi di euro di finanziamenti diretti alle regioni meno sviluppate.
Il gruppo dei socialisti e democratici al Parlamento europeo ha voluto ricordare alcune prerogative legislative, di bilancio e di discarico del Parlamento affinchè vengano pienamente rispettate in ogni fase del processo. “Il prossimo QFP – sostiene S&D _ dovrebbe essere soggetto al pieno controllo e responsabilità parlamentare e salvaguardare il ruolo del Parlamento come colegislatore, autorità di bilancio e di discarico. Inoltre, è necessario trarre insegnamento dalle esperienze passate e pertanto siamo critici nei confronti della creazione dei cosiddetti “piani di partenariato nazionali e regionali” nel modo in cui sono stati concepiti e presentati, che nella loro attuale concezione potrebbero ostacolare la dimensione europea”.
Virgilio Dastoli, presidente del Movimento europeo rileva che “non è facile districarsi fra le oltre duecento pagine di comunicazioni e di proposte di decisione che la Commissione europea ha sfornato il 16 luglio 2025 dopo un lungo negoziato che ha coinvolto direzioni generali, gabinetti dei commissari e infine gli stessi commissari su cui una agguerrita minoranza si era dichiarata ostile per varie ragioni legate soprattutto a pressioni esterne. Alla fine, si è imposta la visione della Presidente Ursula von der Leyen la cui autorità appare da mesi come l’elemento caratterizzante del suo secondo mandato”.
Secondo Dastoli “le tre grandi linee di bilancio del nuovo QFP, escludendo le spese amministrative e la riserva per l’Ucraina, ammonterebbero a 1804,8 miliardi di euro a prezzi costanti ma potrebbero crescere se venisse accolta la proposta del Parlamento europeo di prorogare la validità del Next generation di almeno 18 mesi.” E poi, aggiunge Dastoli “la perpetuazione della scadenza di sette anni del QFP fino al 2034 sottrae al Parlamento europeo, che sarà eletto nel giugno 2029, il potere di decidere sulle finanze dell’Unione europea e crea una inaccettabile situazione di instabilità in vista delle future adesioni di Paesi candidati. Se il Parlamento europeo volesse agire con determinazione per dare attuazione alla dichiarazione firmata il 16 luglio 2025 dai quattro gruppi politici della maggioranza europeista esso dovrebbe cercare alleanze esterne promuovendo assise interparlamentari soprattutto nel caso della rinazionalizzazione e dell’introduzione di ventisette piani nazionali e coinvolgendo la società civile, il mondo del lavoro e della produzione in un processo di “bilancio partecipativo”.
Comincia intanto a farsi sentire la voce degli agricoltori italiani. Massimiliano Giansanti presidente della Confagricoltura e della Copa (le lobby agricole) a Bruxelles sostiene che “la Commissione non è attenta al mondo dell’agricoltura; va ricordato che non investire in agricoltura significa mettere in difficoltà le nostre produzioni e i cittadini, che non potranno più acquistare prodotti alimentari sicuri e di qualità”. Siamo di fronte, dice Giansanti “a una vera e propria dichiarazione di guerra, ne prendiamo atto. Le parole di von der Leyen sul ruolo strategico del settore primario pronunciate in campagna elettorale stridono con quanto affermato: la presidente sosteneva di essere un punto di riferimento per gli agricoltori, ma non è così”. L’agricoltura da oltre 60 anni è alla base dell’Europa: stiamo rischiando di dire basta a una visione comune: è l’inizio del processo di smantellamento dell’Ue. La presidente si sta prendendo una responsabilità incredibile”.