Condividi

L’Economist e la sinistra illiberale che avanza

Finiremo per togliere le opere di Pablo Picasso dai musei o per abbattere le statue di Cristoforo Colombo in base al mainstream dei nostri tempi? Se lo chiede The Economist in un editoriale, di cui pubblichiamo la versione italiana, che segnala l’ascesa di una sinistra illiberale che fa a gara con il trumpismo nel coltivare il gusto di cancellare persone ed eventi che hanno fatto la storia

L’Economist e la sinistra illiberale che avanza

La vendetta dello spray

Dovremmo togliere dai musei le opere di Pablo Picasso, Egon Schiele o Lucien Freud, noti womanizer, per far posto a quelle di un artista di colore ingiustamente trascurato o di una artista visuale che ha subito una vessazione legata al genere?

Forse è meglio trovare altro spazio nel museo per accogliere questi artisti ingiustamente esclusi dalla cultura figurativa dominante de facto suprematista e maschilista. In questo caso, però, alcuni dicono che dovremmo porre un asterisco sulle placchette delle opere di Picasso, Schiele, Freud et al. per informare l’astante che si trova di fronte all’opera di un artista che meriterebbe di peggio?

Potremmo fare anche di più, cioè cavalcare la storia a ritroso per cancellare persone ed eventi che hanno lasciato un segno che irrita la nostra sensibilità di persone del secondo millennio del 21° secolo.

Per esempio si potrebbero rimuovere o coprire con un panno rosso tutte le statue di Woodrow Wilson, premio Nobel ma anche segregazionista, quelle dello stesso Washington, fondatore degli Stati Uniti ma anche possessore di schiavi o di Colombo, facilmente immaginabili il motivo.

Si potrebbe anche mettere una placca sulle statue di Voltaire per informare che, il papà della tolleranza, si è arricchito con il commercio coloniale e quindi è spregevole.

Il catalogo sarebbe infinito come quello di Don Giovanni. Tale cultura della cancellazione, che ha delle nobili motivazioni ma arriva a delle discutibili azioni, è divenuta ormai il programma di una certa area politica che l’“Economist” chiama sinistra illiberale.

Il magazine di Londra ha dedicato la copertina di questa settimana a questo fenomeno e ne ha fatto in punto focale della sua analisi dell’attuale stato del liberalismo nel mondo.

È molto interessante leggere quello che il giornale scrive in proposito nel suo editoriale. A londra sembrano davvero arrabbiati.

Il declino del liberalismo

Qualcosa è andato molto storto nel liberalismo occidentale. Il nocciolo del liberalismo classico è che il progresso dell’umanità derivi dal dibattito e dalle riforme. Il modo migliore per portare il cambiamento in un mondo diviso è attraverso l’impegno generale nei confronti della dignità individuale, dei mercati aperti e di un governo limitato.

Sembra, però, un programma sul punto del collasso. La Cina, in forte ascesa, sostiene che il liberalismo è egoista, superato e instabile. In occidente, i populisti di destra e di sinistra inveiscono contro il liberalismo per il suo elitarismo e la discriminante meritocrazia.

Negli ultimi 250 anni il liberalismo classico ha portato a un progresso senza precedenti. Non scomparirà in un rapido falò delle idee liberali. Sta, però, affrontando una dura prova, proprio come è accaduto un secolo fa, quando il bolscevismo e il fascismo iniziarono a minare, dall’interno, l’Europa liberale. È tempo per i veri liberali di capire chi sono i loro nemici e di reagire.

America, il fulcro dello scontro

In nessun luogo del mondo la lotta è feroce quanto in America. Questa settimana la Corte Suprema ha scelto di dare il via libera a una draconiana e vessatoria legge anti-aborto. La minaccia più pericolosa alla casa del liberalismo viene dalla destra trumpiana che ha partorito questa legge.

I populisti denigrano le istituzioni liberali, come la scienza e lo Stato di diritto, in quanto camuffamenti di un complotto dello stato profondo contro il popolo. I seguaci di Trump subordinano i fatti e la ragione all’istinto tribale.

La persistente falsità che l’elezione presidenziale del 2020 sia stata rubata indica a quale punto estremo possa condurre tale istinto. Si sa che quando le persone non riescono a risolvere le loro differenze con il dibattito, le istituzioni e la fiducia, ricorrono alla violenza.

Il pericoloso trend nelle università di élite

L’attacco al liberalismo classico da posizioni di sinistra è più difficile da interpretare, in parte perché in America l’area “liberal” ha finito per includere anche una sinistra illiberale. Un nuovo credo politico si è recentemente diffuso nelle università d’élite.

I giovani laureati hanno occupato posizioni importanti nei grandi media, nella politica, negli affari e nella formazione, portando con loro un’agenda politica ossessivamente incentrata sul rendere giustizia ai gruppi identitari storicamente discriminati.

Hanno teorizzato e messo in pratica anche tattiche per controllare una certa purezza ideologica, bandendo i nemici e differenziandosi dagli alleati che hanno trasgredito i principi dell’uguaglianza identitaria, interpretata anche in maniera retroattiva.

Questo comportamento richiama quello dello stato confessionale che ha dominato l’Europa prima che il liberalismo classico prendesse piede alla fine del XVIII secolo.

Liberali classici e sinistra illiberale

Apparentemente la sinistra illiberale e i liberali classici, come “The Economist”, vogliono le stesse cose. Entrambi credono che le persone dovrebbero poter progredire a prescindere dal genere o dal colore della pelle. Condividono la stessa avversione nei confronti dell’autorità e degli interessi costituiti. Credono nella forza del cambiamento democratico.

Tuttavia, i liberali classici e i progressisti illiberali non potrebbero essere più in disaccordo su come realizzare questi obiettivi. Per i liberali classici, la direzione del progresso è inconoscibile e indeterminabile a priori. Deve avvenire spontaneamente e dal basso verso l’alto. Dipende dalla separazione dei poteri, in modo che nessun gruppo possa esercitare un controllo duraturo sul sistema.

Al contrario, la sinistra illiberale mette il proprio potere al centro di tutto, perché è sicura che il vero progresso sia possibile solo dopo che si è provveduto a smantellare le gerarchie razziali, sessuali, di genere e di ogni tipo.

Il laissez-faire

Questa differenza di metodo ha profonde implicazioni. I liberali classici credono nello sviluppo di condizioni iniziali eque e nel lasciare fare il resto alla concorrenza tra le idee e le attività. Per esempio attraverso la cancellazione dei monopoli, l’apertura alla imprese, la radicale riforma della tassazione e la promozione di un’istruzione accessibile a tutti.

I progressisti illiberali vedono il laissez-faire come una finzione al servizio degli interessi costituiti intenti a preservare lo status quo. Credono, piuttosto, nell’imposizione dell’“equità” — lo sbocco finale della loro azione politica.

Ibram X. Kendi, uno studioso-attivista, afferma che qualsiasi politica priva di pregiudizi razziali o neutrale, come i test standardizzati dei bambini, sia in realtà discriminante e finisca per aumentare le differenze razziali, per quanto illuminate siano le intenzioni che la muovono.

Kendi ha ragione a volere una politica antirazzista che funzioni. Ma il suo approccio semplicistico rischia di negare ad alcuni bambini svantaggiati l’aiuto di cui hanno bisogno e ad altri la possibilità di sviluppare il proprio talento.

Gli individui, non solo i gruppi, devono essere trattati equamente perché la società possa prosperare.

L’interesse generale

Inoltre, la società ha molti obiettivi. La gente si preoccupa della crescita economica, del benessere, del crimine, dell’ambiente e della sicurezza nazionale. Le politiche non possono essere giudicate semplicemente in base al fatto che facciano progredire o penalizzino un particolare gruppo.

I liberali classici usano il dibattito per definire le priorità e accettano i compromessi in una società pluralista e poi usano le elezioni per stabilire la rotta da seguire.

La sinistra illiberale crede che il mercato delle idee sia truccato come tutti gli altri fenomeni sociali. Ciò che si contrabbanda come dato di fatto e ragionevolezza, dicono, è in realtà l’ennesima affermazione del potere brutale da parte dell’élite.

La questione della libertà di parola

I progressisti della vecchia scuola rimangono campioni della libertà di parola. Ma i progressisti illiberali pensano che il principio di equità richieda che ci siano delle limitazioni nei confronti dei privilegiati e dei reazionari. Questo comporta circoscrivere la loro libertà di parola.

Gli illiberali stabiliscono una sorta di caste del vittimismo: chi sta al vertice devono dare il passo a coloro che devono ricevere una giustizia riparatrice.

Si tratta anche di individuare i presunti reazionari, punendoli quando dicono qualcosa che va a ferire il meno privilegiato. L’esito di questo atteggiamento sono la l’emarginazione, la cancellazione e la revoca del diritto ad essere ascoltati.

La convergenza tra populisti e sinistra illiberale

Milton Friedman una volta ha detto che “la società che mette l’uguaglianza prima della libertà non avrà nessuna delle due”. Aveva ragione. I progressisti illiberali pensano di avere un progetto per liberare i gruppi oppressi.

In realtà la loro è una formula per l’oppressione degli individui e, in questo intento, non è molto diversa dai programmi della destra populista. A loro modo, entrambi gli estremi mettono il potere prima del confronto, il fine prima dei mezzi e gli interessi del gruppo prima della libertà dell’individuo.

I paesi gestiti dagli uomini forti che i populisti ammirano, come l’Ungheria sotto Viktor Orban e la Russia sotto Vladimir Putin, mostrano che il potere senza controllo è un cattivo fondamento per un buon governo.

Utopie come Cuba e Venezuela mostrano che il fine non giustifica i mezzi. E da nessuna parte gli individui si conformano volentieri agli stereotipi razziali ed economici imposti dallo Stato.

La diminuzione delle istituzioni

Quando i populisti mettono la faziosità davanti alla verità, sabotano il buon governo. Quando i progressisti dividono le persone in caste concorrenti, mettono la nazione contro se stessa. Entrambi diminuiscono le istituzioni e accendono i conflitti sociali. Quindi ricorrono spesso alla coercizione, per quanto amino parlare di giustizia.

Se il liberalismo classico è così migliore delle sue alternative, perché sta faticando così tanto in tutto il mondo?

Una ragione è che populisti e progressisti si nutrono l’uno dell’altro in modo patologico. L’odio che in ogni campo l’uno prova per l’altro infiamma i propri sostenitori — a beneficio di entrambi.

Criticare gli eccessi della propria tribù sembra un atto di tradimento. In queste condizioni, il dibattito liberale è privo di ossigeno.

Basta guardare la Gran Bretagna, dove la politica negli ultimi anni è stata consumata dalle dispute tra gli intransigenti brexitari conservatori e il Partito Laburista sotto Jeremy Corbyn.

Il liberalismo, una pratica difficile

Alcuni aspetti del liberalismo vanno contro l’indole della natura umana. Si richiede di difendere il diritto di parola degli avversari, anche quando hanno torto.

Si deve essere disposti a mettere in discussione le proprie convinzioni più profonde.

Le imprese non devono essere messe al riparo dalle perturbazioni della distruzione creativa.

I propri cari devono avanzare solo per merito, anche se tutti i nostri istinti sono di piegare le regole a loro favore.

Si deve accettare il successo dei propri nemici alle urne, anche se si è convinti che porteranno il paese alla rovina.

Da The Economist, 4 settembre 2021

Commenta