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5G: “Regole sbagliate, ecco cosa rischiano le tlc”, parla Rangone

INTERVISTA AD ANDREA RANGONE, fondatore degli Osservatori Digital Innovation del Polimi e Ceo di Digital360 – Il costo delle frequenze e soprattutto la guerra dei prezzi e il crollo dei ricavi del settore rendono molto problematico il futuro delle tlc in Italia: “Da noi i prezzi sono scesi troppo e ora c’è il rischio che a beneficiare degli sforzi per le nuove reti siano solo i soliti Over the top: ecco come cambiare per sopravvivere”.

5G: “Regole sbagliate, ecco cosa rischiano le tlc”, parla Rangone

Sei miliardi e mezzo spesi solo per le frequenze del 5G (di cui l’80% a carico di Tim e Vodafone, con circa 2,5 miliardi ciascuna), ricavi diminuiti del 26% negli ultimi otto anni (-11,1 miliardi in meno, contro gli 8 della Francia, i 6,6 della Spagna e i 3,4 dell’Uk), prezzi crollati del 43% dal 2001 (-20% la media Ue, in Uk sono addirittura saliti dell’11%…). Nei mesi decisivi per la realizzazione di una infrastruttura unica in fibra ottica e per la sperimentazione della rete in 5G, che vede già Milano capitale d’Europa (la copertura sarà completata entro il 2019), è questo lo stato di salute degli operatori tlc in Italia. Alla vigilia della quarta rivoluzione industriale, quella in cui proprio grazie al 5G condivideremo auto guidate da un software, riceveremo la spesa tramite i droni, lavoreremo al fianco di robot nelle fabbriche e negli uffici e ci basterà una sim per connettere tutti gli elettrodomestici di casa, la domanda è: Telecom, Vodafone, Wind-Tre, Fastweb e Iliad, cioè i 5 operatori che ognuno per la sua fetta stanno creando le basi per tutto questo, rientreranno dagli investimenti e avranno la forza di farne altri? Un grido d’allarme che è arrivato anche dal CEO uscente del gruppo Vodafone, Vittorio Colao (“Lo spezzettamento delle frequenze è risultato estremamente costoso per gli operatori, il risultato è che ci saranno meno risorse per investire in Italia”) e sul quale FIRSTonline ha chiesto il parere di Andrea Rangone, fondatore degli Osservatori di Digital Innovation del Politecnico di Milano e CEO del gruppo Digital360.

Professor Rangone, ha dunque ragione Colao?

“Se il costo delle aste per il 5G in Italia sia stato troppo alto per le telco è difficile da valutare. In teoria nulla è troppo se il ritorno è adeguato, ma il 5G è una tecnologia talmente disruptive che è impossibile dire se le società abbiano speso il giusto o tanto, semplicemente perchè porterà talmente tanti cambiamenti nel business che è difficile quantificarne le conseguenze. Di certo possiamo però dire che in altri Paesi i costi per le aste sono stati più bassi”.

E negli altri Paesi europei inoltre il mercato degli operatori mobile non è così in difficoltà come in Italia.

“No, in altri Paesi gli operatori hanno subito meno perdite che da noi, soprattutto perché non hanno ceduto al gioco della guerra dei prezzi e dunque i prezzi non sono precipitati come è invece accaduto da noi, soprattutto negli ultimi anni: dal 2001 al 2017 c’è stato un calo di oltre il 43%, contro una media europea del 20%. L’ingresso di Iliad ha dato l’ultima mazzata ma è già da un po’ di tempo che in Italia la concorrenza sulle tariffe è esplosa e sta abbattendo i ricavi, lasciando poco margine per investire. Questo significa che la regolamentazione del mercato è stata sbagliata, ma anche che lo stesso mercato ha fallito. In altri settori infatti, pur regolamentati come quello delle telco, i prezzi sono rimasti pressoché stabili. Penso all’energia, al gas, ai trasporti pubblici locali, ai treni, o all’acqua, dove i prezzi sono anzi sensibilmente aumentati negli ultimi cinque anni”.

E quindi cosa rischiano, stando così le cose, le telco in Italia?

“Se gli operatori tlc italiani continuano così, non dico che rischiano di scomparire ma sopravviveranno male: faranno sempre più fatica a remunerare gli azionisti ma soprattutto, ed è la cosa che più conta, faticheranno a fare il loro mestiere e cioè quello di costruire il nostro futuro. Una tlc non è una fabbrica che produce biscotti o merendine: quello delle telecomunicazioni non è un settore come gli altri, è al centro della quarta rivoluzione industriale e non gli è consentito di rimanere indietro. La rete oggi è la cosa che conta di più, che traina tutto il resto”.

Quali sarebbero le soluzioni?

“Principalmente due. Intanto serve una nuova regolamentazione: è evidente che quella attuale, a livello europeo, ha fallito. Non sta a me stabilire come, ma servono nuove regole che innanzitutto tutelino il pricing e magari, perché no, che limitino il libero accesso agli operatori in questo settore, con ulteriori restrizioni. E poi, per sopravvivere le telco dovrebbero cambiare e allargare l’offerta di nuovi servizi digitali, superando il ruolo di solo operatore telefonico. Nel mondo ci sono già diversi esempi: la stessa Vodafone ha lanciato prodotti Internet of Things, in Francia Orange ha lanciato la mobile bank Orange Bank, negli Usa Verizon ha acquisito la spagnola Movildata, che elabora software di gestione del traffico tramite GPS, e sempre negli Usa AT&T ha prodotto un servizio di Digital video recorder”.

Lei infatti ha sostenuto che a beneficiare degli investimenti degli operatori tlc sulle infrastrutture saranno i soliti Over the top, che forniscono i servizi la cui diffusione sarà abilitata o velocizzata dalla tecnologia 5G.

“Se ci pensiamo, è sempre stato così: qualsiasi innovazione infrastrutturale, dal GSM alla banda ultralarga, passando per tutte le altre, ha avvantaggiato i big di Internet. Da Google in poi, grandi o piccoli che siano. Con il 5G, che tra le tante cose abiliterà la diffusione dei droni e delle auto a guida autonoma, sono pensabili grandi affari ad esempio per Amazon o per Uber, ma non solo. Il punto è che le telco si stanno accollando il maxi investimento per costruire l’autostrada e gli over the top saranno quelli che la percorreranno, senza però pagare un pedaggio”.

Una soluzione potrebbe dunque essere anche quella del pagamento di una fee a chi ha realizzato l’infrastruttura per utilizzarla, come se fosse un pedaggio autostradale?

“Questo non so dirlo, ma sicuramente chi ha investito dovrebbe in qualche modo essere remunerato. Anche soltanto nei due modi che dicevo prima, cioè o adattandosi lui stesso al mercato ed entrando nei nuovi business oppure beneficiando di una nuova regolamentazione che freni un po’ la guerra dei prezzi e dunque il calo dei ricavi”.

La quarta rivoluzione industriale, quella della tecnologia digitale, non pone però soltanto dubbi sulla tenuta delle società di telecomunicazioni. Rappresenta anche un nuovo mondo, un nuovo modello di società che a molti fa paura, ad incominciare dai rischi per la privacy e per la cybersecurity. Che cosa ha da dire su questo?

“Sono due aspetti fondamentali e per nulla sopravvalutati. Con le nuove tecnologie circoleranno in rete miliardi di dati personali, tutta la nostra vita sarà digitalizzata, sempre più dati sensibili saranno in possesso delle aziende. E’ evidente che da questo punto di vista serve una efficace regolamentazione ma anche una nuova consapevolezza da parte delle imprese stesse, alle quali per prime conviene investire sulla sicurezza dei dati degli utenti”.

Anche le ripercussioni sul lavoro fanno paura. Un recente studio del Politecnico ammette che molte professioni saranno sostituite dalle macchine, ma che alla fine, attraverso il cosiddetto reskilling, si potrà salvare il 95% dei posti di lavoro.

“Basta guardare alle rivoluzioni precedenti. Nell’Ottocento la macchina a vapore ha per così dire fatto perdere il lavoro agli artigiani e ai contadini dell’epoca, ma in realtà ha dato vita all’economia industriale, che è stato uno dei più grandi serbatoi di lavoro del Novecento. La verità è che nella storia tutte le perdite di posti di lavoro causate da una transizione, sono state ampiamente compensate. E’ chiaro che anche questa volta saranno eliminate categorie professionali, ma ne verranno fuori altre. E chi lavorerà, lo farà meglio: quanto tempo e quanta qualità del lavoro guadagnerà, ad esempio, un avvocato, se il lavoro di archivio e di ricerca lo farà, al posto suo o di un suo assistente – e più velocemente – un robot?”.

La rivoluzione digitale inciderà su tutti i campi della nostra vita, professionale e non. Se dovesse scegliere il settore dove questo impatto sarà più importante, quale sceglierebbe? 

“La competitività e la produttività dell’industria. L’Italia non può permettersi di rimanere indietro, la nostra economia ne ha troppo bisogno”.

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