La buonuscita di 32 milioni di euro che Martin Winterkorn intascherà è certamente una somma stratosferica che la maggior parte dei comuni mortali non vede nemmeno in tre generazioni ma non basterà a cancellare l’infamia eterna che accompagnerà allo porta il dimissionario amministratore delegato di Volkswagen.
Quando un top manager se ne va con una liquidazione da capogiro l’indignazione popolare (ma più spesso populista) sale alle stelle. Ma in questi casi bisogna stare attenti al contesto, al tipo di mercato in cui si opera e ai parametri di riferimento con cui vengono confezionale le buonuscite. Generalmente i top manager non sono personaggi amati dalle folle, soprattutto per i loro esorbitanti guadagni, ma sono un po’ come gli attori o i calciatori. Guadagnano cifre che gridano vendetta e che sono un insulto alla miseria ma spesso sono personaggi unici e come tali vengono pagati.
Prendete il caso di Sergio Marchionne. Anche i compensi del ceo di Fca sono stellari ma Marchionne ha compiuto un’opera che ha pochi precedenti: ha ereditato una decina di anni fa un gruppo come la Fiat che, a giudizio di tutti gli analisti finanziari, era tecnicamente fallito e l’ha trasformato nel settimo gruppo automobilistico mondiale. In tutta sincerità, quanti sarebbero stati capaci di fare altrettanto? Certo anche Marchionne guadagna cifre astronomiche ma à meglio strapagare un manager che salva e rilancia un’azienda o impuntarsi sui principi e accompagnare tra lacrime e rimpianti un’impresa al suo fallimento? Sarebbe curioso interpellare lavoratori e azionisti su questo punto.
Quando un top manager lascia la sua azienda la buonuscita che spesso lo accompagna è spesso impressionante ma di solito è il frutto di contratti regolarmente sottoscritti tra il manager e l’azienda. Chi non ricorda le liquidazioni da record percepite dai maggiori banchieri italiani solo qualche anno fa? O, quella sì indecorosa in relazione ai risultati raggiunti, di Giancarlo Cimoli quando lasciò le ferrovie dello Stato?
Condividiamo con Thomas Piketty l’esecrazione delle ingiustizie crescenti che dominano le società contemporanee, ma il punto cruciale dello sdegno per la superliquidazione di herr Winterkorn non è questo. Si può discutere sull’enormità di una buonuscita ma se essa è il frutto dell’operato di una vita di un manager di rara competenza quella liquidazione un fondamento c’è l’ha. Ma nel caso di Winterkorn? Lui ora dice che la colpa delle emissioni truccate da Volkswagen non è sua, ma lui era o no il capo supremo della casa tedesca? Era lui o no il supermanger che si vantava di sapere tutto della sua società?
Come si fa a concedere una buonuscita di oltre 28 milioni di euro a un manager che ha la responsabilità finale di aver portato un gruppo industriale del calibro della Volkswagen alla rovina? Certo, ci sono i contratti e probabilmente i contratti autorizzano quella buonuscita. Ma insieme e oltre i contratti, anche un manager dovrebbe avere una dignità. Di fronte ai soldi sono in molti a dimenticarsela. Ma l’ad di Vw aveva un solo modo per non perdere del tutto la faccia: rinunciare alla liquidazione per i danni impareggiabili che ha fatto. Più ancora dei 28 miliardi è il premio al disastroso epilogo della sua gestione che offende e che, questo sì, grida vendetta.