Condividi

Tassa minima globale, ecco quanto frutterebbe all’Europa

La global corporate tax è fortemente sponsorizzata dal presidente americano Joe Biden, che ha inizialmente proposto un’aliquota al 21%. Le resistenze di alcuni Paesi europei hanno fatto scendere la proposta al 15%. Ma secondo l’Osservatorio sul fisco, un’aliquota al 25% porterebbe ogni anno 170 miliardi in più nelle casse europee

Tassa minima globale, ecco quanto frutterebbe all’Europa

La tassa minima sulle società a livello globale, sulla necessità della quale insiste fortemente il presidente americano Joe Biden, converrebbe innanzitutto all’Europa. Non a caso la questione finirà sul tavolo della prossima riunione dei ministri delle Finanze dei Paesi del G7, in programma venerdì 4 e sabato 5 giugno a Londra. A quantificare i benefici della global corporate tax è uno studio dell’Osservatorio europei sul fisco, creato due mesi fa e ospitato presso l’Ecole d’économie di Parigi: “A seconda del tasso che verrà deciso e dei possibili scenari, il gettito fiscale europeo potrebbe aumentare in una forbice compresa tra il +13 e il +50%”, spiega Gabriel Zucman, giovane economista francese a Berkeley e direttore dell’Osservatorio.

La necessità di una tassa minima è stata dettata dalla pandemia Covid, che ha sancito la nuova centralità delle istituzioni pubbliche ma allo stesso tempo sta prosciugando i bilanci statali. I Paesi europei sono infatti stati costretti a intervenire molto energicamente per tutelare il lavoro e la coesione sociale, e il costo di questa operazione verrà solo in parte sostenuto dagli aiuti del Recovery Plan, gran parte dei quali peraltro andranno comunque a costituire nuovo debito pubblico. Ecco perché il tema di aumentare le entrate fiscali si pone eccome. Oggi, le aziende sono libere di scegliere la loro sede fiscale, e naturalmente in Europa vengono prediletti paradisi fiscali o quasi come il Lussemburgo o l’Irlanda (che infatti non a caso si oppone al disegno di Biden).

Lo global minimum tax invece, che per la verità è stata indicata come prioritaria dall’Ocse sin dal 2019, imporrebbe un’aliquota minima sotto la quale nessuno può scendere, in modo da livellare i benefici per un maggior numero di Paesi e anche di rimodulare l’imposta in funzione dei profitti effettivamente realizzati dall’azienda (soprattutto dalla multinazionale) in questo o quel Paese. Il tema centrale è: a che livello fissare l’aliquota? Biden è molto ambizioso e inizialmente ha proposto il 21%, ritenuto però molto alto da alcuni Paesi. Si pensi ad esempio che in Irlanda oggi l’imposta sulle società è di appena il 12,5%. Ecco perché l’ultimo rilancio della Casa Bianca è per un’aliquota globale minima al 15%.

Con questo scenario (aliquota al 15%), il gettito fiscale europeo crescerebbe di 50 miliardi ogni anno, una cifra buona ma non così interessante, per un continente da 27 Paesi e oltre 300 milioni di abitanti. Mentre se per ipotesi (molto improbabile) si finisse per arrivare ad una tassa al 25%, che poi è semplicemente l’aliquota attualmente più bassa tra i Paesi del G7 (ad eccezione del Regno Unito che è al 19%), le entrate aumenterebbero della percentuale massima prevista dall’Osservatorio, +50%, e dunque in termini assoluti di 170 miliardi di euro ogni anno. Sulle resistenze dell’Irlanda e degli altri Paesi a regime fiscale agevolato, Zucman non ha dubbi: “Il no dell’Irlanda non dovrebbe trattenere gli altri Paesi dal raggiungere comunque un accordo”.

“Paesi come Germania, Francia, Usa, Italia – sostiene il direttore dell’Osservatorio fiscale europeo-, dovrebbero dire: ‘Imporremo una tassa minima del 25% sui profitti, in modo che se anche le imprese tassano i loro profitti in Irlanda, noi andremo a raccogliere il 15% mancante per arrivare al 25%’. E sapete cosa può fare l’Irlanda? Assolutamente nulla, manterranno la loro legge giusta, ma sarà compensata da tasse più alte negli altri Paesi dove le grandi corporate fanno business”.

Commenta