Condividi

Rifiuti, una gestione tutta da ripensare

Negli ultimi due anni le imprese hanno registrato crescenti difficoltà nella gestione dei rifiuti: sono aumentati i costi di smaltimento, così come i tempi del ritiro da parte degli operatori, e la distribuzione dei rincari è asimmetrica. L’economia circolare è una via ma va organizzata

Rifiuti, una gestione tutta da ripensare

Da qualche tempo, l’espressione “economia circolare” è uscita dall’ambito degli esperti ed ha fatto il suo ingresso nel mondo dei media, tradizionali e social. Molti ne parlano, molti meno, invece, hanno chiaro:

  • che è importante entrare nel concreto della misurazione e dei dati numerici per calare nella realtà le azioni da adottare per diventare “circolari”
  • che per arrivare a una “circolarità” bisogna innanzitutto operare delle scelte e prendere decisioni strategiche che presuppongano investimenti consistenti a medio-lungo termine
  • che sul piano dello sviluppo-Paese la questione dei rifiuti ha un peso notevole. Partiamo, dunque, dai rifiuti, e da un dato che li riguarda: 32 miliardi di euro.

Questo è il valore monetario della produzione delle attività legate ai servizi di smaltimento dei rifiuti in Italia (considerando anche la gestione delle acque reflue). Per capire l’entità di questo valore – già in assoluto alto – è sufficiente dire che è identica a quella relativa all’attività di gestione delle risorse energetiche, di cui ci si occupa e si discute molto di più a tutti i livelli, di policy maker e di opinione pubblica. Una dimensione che racconta di un comparto sempre più strategico per l’economica nazionale e dal quale si deve partire quando si progetta e pianifica il futuro economico del nostro Paese.

Infatti, i costi per le attività di gestione dei rifiuti cominciano davvero a pesare sulla competitività delle imprese e sulla loro possibilità di creare sviluppo. Pur nella difficoltà di avere dati omogenei – altra spia che denota quanto venga sottovalutato il tema “rifiuti” – ciò che abbiamo rilevato è comunque significativo. Dal confronto di più fonti, possiamo stimare che negli ultimi due anni vi sia stato un aumento medio del 40% dei costi di smaltimento. Il fatto che sia “medio” significa che in alcuni casi, come è accaduto per certe tipologie di rifiuti pericolosi, l’aumento è stato anche superiore. Questi aggravi, tuttavia, non pesano sul sistema produttivo italiano in maniera omogenea, ma vanno a toccare un settore in particolare, quello dell’industria manifatturiera.

Tradotto in euro, significa costi maggiorati di quasi 1,3 miliardi, con un’incidenza significativa sui conti del settore del +0,5% sul valore aggiunto. Tra i distretti industriali più coinvolti dagli aumenti vi sono quelli che nelle fasi di lavorazione producono importanti quantità di scarti o i cui rifiuti necessitano di trattamenti specifici: dal conciario, al tessile, alla cartaria, sino ai fanghi di depurazione dell’agroalimentare. Ma qual è la ragione principale che sta dietro a questi rincari?

Nell’ultimo anno le imprese hanno in più occasioni lamentato difficoltà crescenti nella gestione dei rifiuti, con un aumento dei tempi di ritiro da parte degli operatori e un aumento significativo dei costi. È successo, per esempio, in regioni ad alto tasso di imprese manifatturiere come Veneto, Emilia-Romagna e Toscana, trovatesi a fronteggiare un rischio “paralisi” nella gestione dei rifiuti. La ragione principale di questa situazione, talvolta dai contorni critici, è dovuta all’assenza o alla carenza di impianti adatti per dimensioni, numero e tecnologia di smaltimento o trasformazione dei rifiuti.

Insomma, troppo pochi impianti, troppo saturi e, talvolta, inadatti alle esigenze delle attività produttive. Inoltre hanno contribuito a portare l’Italia all’attuale insufficienza impiantistica elementi quali: intoppi burocratici e lungaggini amministrative, legislazione non sempre chiara se non di ostacolo, risorse economiche insufficienti, frammentarietà e debolezza della governance locale che non ha saputo prendere decisioni in merito e generale opposizione delle popolazioni alla costruzione di centri specializzati.

Tuttavia, questo problema – certamente non nuovo – è stato accentuato o accelerato dalla situazione congiunturale che si è venuta a creare negli ultimi anni. L’intreccio di cause vede:

  • un forte aumento della produzione di rifiuti speciali nel triennio 2014-2017, frutto di una ripresa economica della manifattura (dopo una lunga stagnazione e momenti di crisi)
  • la chiusura del mercato cinese alle importazioni di rifiuti, in particolare plastica riciclabile, residui tessili e carta di qualità inferiore (provvedimento del 2018); a questo stop è seguito quello di altri mercati asiatici
  • la sentenza del Consiglio di Stato del 28 febbraio 2018 che ha bloccato le autorizzazioni “caso per caso” rilasciate dalle Regioni per i processi di recupero (End of Waste -EoW)
  • lo stop allo spandimento in agricoltura dei fanghi di depurazione, a seguito di una sentenza del TAR Lombardia del 2018
  • l’incremento delle raccolte differenziate, in particolare nel Mezzogiorno, che ha generato un aumento degli scarti destinati a smaltimento
  • l’opposizione delle Regioni alla libera circolazione dei rifiuti urbani tal quale destinati a recupero energetico, così come auspicata dall’art. 35 dello “Sblocca Italia” (2014), che ha implicitamente avallato la prassi di trattare i rifiuti urbani al solo scopo di “trasformarli” in speciali, di libera circolazione, saturando la capacità disponibile degli impianti e “spiazzando” i rifiuti prodotti dalla attività economiche.

Cosa fare ora? Senza dubbio occorre ripensare la gestione dei rifiuti in Italia, superando il dualismo tra rifiuti urbani e speciali e costruendo gli impianti necessari alla loro gestione, con soluzioni in grado di assicurare la “prossimità” dello smaltimento e del recupero anche al rifiuto di origine non domestica, al fine di contenerne gli spostamenti e i costi per le famiglie e le imprese. Non solo. Se non si affrontano le problematiche legate alla gestione dei rifiuti industriali e non si sostengono politiche di realizzazione di nuovi impianti è inevitabile che si giunga a una perdita di competitività dell’intero sistema industriale, con più costi sia per le imprese, sia per le famiglie (che ne acquisteranno i prodotti).

Ma anche per dare vita a una vera “circolarità” dell’economia e della società, che senza un’adeguata gestione dei rifiuti difficilmente potrà realizzarsi. Un esempio? L’Italia è quarta in Europa, per tasso di riciclo dei materiali: alcune filiere industriali, da tempo, sono “molto circolari”, con percentuali superiori al 50%. Tuttavia, né la volontà né il rispetto delle norme sono sufficienti: se non si vuole vanificare questo risultato – e godere dei benefici – è fondamentale mettere il sistema della gestione dei rifiuti in condizione di funzionare nel modo migliore, senza sprechi.

Commenta