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Pechino muove su Roma: la Banca centrale cinese sopra il 2% di Eni ed Enel

La People’s bank of China ha comprato per la prima volta quote rilevanti in nostre aziende a controllo statale – La mossa arriva dopo che da tempo il governo italiano tentava di guadagnarsi le attenzioni di Pechino – E’ il segnale di un interesse sulle privatizzazioni? – In ogni caso è solo l’ultimo significativo sbarco delle mani forti sul Belpaese.

Pechino muove su Roma: la Banca centrale cinese sopra il 2% di Eni ed Enel

Non solo Btp. Le mani forti stanno scommettendo anche su pezzi delle nostre imprese più strategiche. E dopo i colossi americani anche la Cina ha fatto la sua mossa. Oggi la Consob ha reso noto che la People’s Bank of China (Pboc) ha acquisito quote sopra il 2% in Eni ed Enel. L’interesse sull’Italia si è intensificato negli ultimi mesi. Prima con flussi ingenti sui titoli di Stato che, con i segnali di ripresa dell’Eurozona e il venir meno dei timori sulla tenuta della moneta unica, sono tornati a essere appetibili per gli investitori in cerca di rendimenti. Recentemente JP Morgan ha rilevato che i tassi dei bond governativi italiani e spagnoli potrebbero scendere di altri 25-30 punti base (anche se, qualche tempo fa un gestore della stessa banca d’affari aveva messo in guardia sul debito dei Paesi periferici dell’Eurozona: “non c’è più molto valore”, ha detto. E c’è già chi parla di bolla).

La corsa all’acquisto sull’Europa e sull’Italia in particolare si è intensificata con la fuga dai Paesi emergenti: l’avvio del tapering da parte della Fed ha riportato l’attenzione su quei Paesi con forti squilibri strutturali e indotto gli investitori ad abbandonare Paesi con profili di rischio maggiori. Nel 2013, per la prima volta dal 2007, gli americani sono tornati ad essere acquirenti netti di azioni europee con oltre 120 miliardi di dollari investiti (saldo tra acquisti e vendite). E così mentre lo spread Btp-bund crolla (oggi siamo a 175 punti base), le aziende fanno incetta di finanziamenti a prezzi da saldo e anche le emissioni obbligazionarie più rischiose non hanno problemi ad essere assorbite. Nel frattempo gli investitori istituzionali si sono posizionati con una convinzione che non si vedeva da tempo: Blackrock, il fondo americano che gestisce più masse dell’intero debito pubblico italiano, è diventato il primo azionista di Unicredit, il secondo in Intesa Sanpaolo e di Mps.

E magnati di tutto il mondo stanno facendo shopping: il finanziere George Soros è diventato il terzo azionista della società immobiliare delle Coop rosse, Igd, e i russi del colosso petrolifero Rosnef si sono comprati un bel pezzo di Pirelli, la stilista cinese Zhu ChongYun ha rilevato la storica maison Krizia. E ora di è mossa anche la la People’s Bank of China (Pboc), la potente banca centrale cinese che decide le sorti dello yuan e che ha sorpassato la Federal Reserve come più grande banca centrale al mondo con 4,5 trilioni di dollari di asset. E che ha giocato un ruolo centrale nel permettere la transizione della Cina verso un sistema più orientato al mercato, spingendo sulla dereregultaion dei tassi di interesse, cercando di tenere sotto controllo lo shadow banking, e promuovendo l’uso del renminbi nelle transazioni finanziarie e commerciali. E che oggi, per la prima volta nella storia cinese, investe in modo massiccio in società italiane a controllo statale: Eni ed Enel, proprio a ridosso della scadenza del mandato degli ad Paolo Scaroni e Fulvio Conti  (che non sono ancora riconfermati) e in concomitanza con il dossier privatizzazioni. Per alcuni osservatori si tratta di un comportamento anomalo, perché di solito la People’s Bank of China è ben attenta a non superare le soglie che fanno scattare la comunicazione al mercato.

Da tempo l’Italia lavora per catturare l’interesse di Pechino.Le spedizioni in terra cinese risalgono già a qualche anno fa, nel pieno della crisi, quando lo spread era ormai sui massimi e si sperava che il Dragone potesse iniettare la sua liquidità nel debito italiano. I contatti infatti risalgono prima al ministro Tremonti, poi sono proseguiti con il governo Monti e infine con il ministro Zanonato. Abbiamo bussato alla porta del fondo sovrano Cic e della controllata della People’s bank of China che gestisce le riserve straniere cinesi (la Safe), mentre il premier Monti cercava di rassicurare i cinesi che la crisi dell’Eurozona era superata e che le riforme del suo governo stavano funzionando. Allora, la risposta fu molto interesse a parole ma poche misure concrete nei fatti. Lo stesso Cic aveva riferito a Monti che riflessioni sul dossier Italia vi erano state. Ma alla fine arrivò il pollice verso per le preoccupazioni sulla rigidità del mercato del lavoro in Italia. Sarà un caso, ma per sbloccare l’impasse ci è voluto il recente incontro in Italia con il premier Renzi dell’influente Jack Ma, fondatore del colosso cinese dell’ecommerce Alibaba.

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