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“Occidente e Oriente. Chi perde e chi vince”

Nel suo libro Kishore Mahbubani, ambasciatore di Singapore all’Onu, si domanda perchè l’Europa, malgrado la pace e il benessere, si senta perduta e risponde con le rivoluzioni silenziose che sono avvenute in Oriente e che hanno cambiato i termini di confronto – Prefazione di Enrico Letta

“Occidente e Oriente. Chi perde e chi vince”

Mai come adesso in Europa la prosperità è stata così alta e diffusa. Mai come adesso in Europa vi è stata tanta pace. Eppure, mai come adesso, vi è stato un sentimento così diffuso, profondo e cupo di pessimismo per il futuro. Mahbubani si è domandato il perché di tutto questo proprio ora che invece ci sarebbe bisogno di un protagonismo positivo dei valori migliori che il mondo occidentale ha saputo sviluppare.

Perché, invece, l’Occidente si sente perduto? Per Mahbubani, all’inizio del XXI secolo la Storia ha svoltato, ma l’Occidente ancora si rifiuta di ammetterlo e di adattarsi a questa “nuova epoca storica”.

La quota occidentale dell’economia globale si riduce e continuerà a farlo. Inutile negarlo o fingere di non saperlo. Il processo è ormai inarrestabile, perché sempre più nuove società imparano ed emulano le best practices dell’Occidente.

Fino a tempi recenti, gran parte della crescita globale è venuta dalle economie del G7 ma, negli ultimi due decenni, la situazione si è invertita. Nel 2015 le economie del G7 hanno contribuito alla crescita globale per il 31,5%, mentre quelle degli E7 per il 36,3%.

Tre diverse tipologie di rivoluzioni silenziose hanno determinato e al contempo spiegano lo straordinario successo di molte società non occidentali. Mahbubani le descrive nel dettaglio.

  • La prima rivoluzione è politica. Per millenni, le società asiatiche sono state profondamente feudali. La ribellione contro ogni genere di mentalità feudale che ha preso impulso a partire dalla seconda metà del XX secolo è stata enormemente liberatoria per tutte le società asiatiche. Milioni di persone hanno smesso di essere spettatori passivi e si sono trasformati in agenti attivi del cambiamento, evidente nelle società che hanno accettato forme democratiche di governo (India, Giappone, Corea del Sud, Sri Lanka), ma anche in società non democratiche (Cina, Birmania, Bangladesh, Pakistan, Filippine), che lentamente e costantemente stanno progredendo. E diversi paesi africani e latino-americani guardano ai successi asiatici. Mahbubani ricorda l’iniziativa della Banca mondiale sullo scambio di conoscenza Sud-Sud, che ha incoraggiato lo scambio di lezioni politiche e di assistenza tecnica tra i paesi latino-americani e i loro “modelli” di riferimento asiatici. Oppure gli incentivi del CINDE (Agenzia di promozione degli investimenti del Costa Rica), sulla scia delle best practices di Singapore, all’impianto da parte di Intel di uno stabilimento nel Paese.
  • La seconda rivoluzione è psicologica. Gli abitanti del Resto del Mondo si stanno liberando dall’idea di essere passeggeri impotenti di una vita governata dal “fato”, per giungere alla convinzione di poter assumere il controllo delle proprie esistenze e produrre razionalmente risultati migliori.
  • La terza rivoluzione è avvenuta nel campo delle capacità di governo. Cinquanta anni fa, pochi governi asiatici credevano che una buona governance razionale potesse trasformare le loro società. Oggi questa è la convinzione prevalente, al punto che per l’autore siamo vicini al paradosso. Gli asiatici hanno appreso dall’Occidente le virtù della governance razionale, eppure mentre i livelli di fiducia asiatici stanno risalendo molti occidentali stanno perdendo la fiducia nei propri governi.

In buona sostanza, il Resto del Mondo ha compreso come poteva replicare il successo occidentale nella crescita economica, nella sanità, nell’istruzione… Ora, si domanda Mahbubani, come è stato possibile che l’Occidente non se ne sia accorto oppure non vi abbia dato importanza?

Nella fine della Guerra Fredda l’Occidente tutto ha voluto vedere il trionfo indiscusso della sua supremazia. Sbagliando. Innanzitutto, ricorda l’autore, perché la vittoria non è imputabile a una supremazia reale dell’Occidente ma al collasso dell’economia sovietica, ovvero di uno Stato che, mente il suo nemico “vincente” gongolava, si è pian piano ripreso fino a ritornare a occupare il posto che aveva come potenza a livello mondiale. La fine della Guerra Fredda non è stato altro che la svolta verso una nuova fase storica.

Un altro evento che, secondo Mahbubani, ha “distratto” l’Occidente è stato l’attentato dell’11 settembre 2001. Invece di una reazione ben meditata e appropriata, la hybris intellettuale predominante ha generato la disastrosa decisione di invadere l’Iraq. Nessuno, in Occidente, ha messo in luce che “l’evento più gravido di conseguenze storiche del 2001 non era l’11 settembre. Era l’entrata della Cina nella WTO “(World Trade Organization). L’ingresso di quasi un miliardo di lavoratori nel sistema mondiale degli scambi avrebbe per forza di cose avuto come risultato una massiccia “distruzione creativa” e la perdita di molti di posti di lavoro in Occidente.

Nell’agosto 2017, una relazione della Banca dei Regolamenti Internazionali confermava che l’ingresso di nuovi lavoratori provenienti dalla Cina e dall’Europa Orientale nel mercato del lavoro era la causa di “salari reali in declino e della contrazione della quota del lavoro nel reddito nazionale”.

Per Mahbubani queste sono tra le principali ragioni per cui si è arrivati all’elezione di Trump a Presidente degli Stati Uniti d’America e alla Brexit. Le classi lavoratrici hanno percepito e subito direttamente ciò che le classi dirigenti e politiche non sono riuscite o non hanno voluto captare per tempo.

Perché, si chiede ancora l’autore, molti occidentali non hanno percezione alcuna della portata di questo epocale cambiamento che sta investendo il Resto del Mondo e travolgendo l’Occidente? Una possibile ragione Mahbubani la ritrova nel fatto che gli occidentali sembrano essere diventati dipendenti dalle “news”, prestando attenzione solamente agli eventi e non ai trend.

Mahbubani fa l’esempio della Malaysia, un Paese “raccontato” dai media occidentali soprattutto o prevalentemente attraverso “news” tragiche (faide e scandali politici, attentati e disastri aerei, scandali finanziari e assassinii…). Il risultato è che “poche persone si rendono conto che, in termini di sviluppo umano, la Malaysia è uno dei Paesi di maggior successo nel mondo in via di sviluppo”. Il suo tasso di povertà è sceso dal 51,2% del 1958 all’1,7% del 2012. Per esempio.

Kishore Mahbubani, come ambasciatore di Singapore alle Nazioni Unite, ha sperimentato in prima persona il grado di autocompiacimento degli occidentali per la loro intrinseca superiorità. I diplomatici occidentali dispensavano consigli all’88% della popolazione globale al di fuori dell’Occidente “con una condiscendenza appena velata”.

Ha ragione l’autore. Esiste questo atteggiamento, a volte inconscio altre meno, degli occidentali, siano essi politici, intellettuali, giornalisti o anche comuni cittadini, nei confronti di chi abita il Resto del Mondo. Un atteggiamento di superiorità, di chi posto di fronte all’altro, al diverso, sente quasi istintivo il bisogno di istruirlo, educarlo, indirizzarlo, civilizzarlo, forte proprio della sua posizione di superiorità culturale, intellettuale, politica ed economica. Vera o presunta tale.

Un modo di porsi che impedisce quasi di vedere che in realtà una sempre più ampia parte del Resto del Mondo ha guadagnato o sta guadagnando la corsia di sorpasso e si mostra sempre più determinata a non lasciarla.

Per Mahbubani è giunto il momento, per l’Occidente, di abbandonare molte delle sue politiche miopi e autodistruttive e perseguire una strategia completamente nuova nei confronti del Resto del Mondo. Una strategia che egli sintetizza con tre parole chiave e definisce appunto delle 3M: minimalista, multilaterale, machiavellica.

  • Il Resto del Mondo non ha bisogno di essere salvato dall’Occidente, né erudito nelle sue strutture di governo, né tantomeno convinto della sua superiorità morale. Certamente poi non ha alcun bisogno di essere bombardato. L’imperativo minimalista dovrà essere fare meno e fare meglio.
  • Le istituzioni e i processi multilaterali forniscono la migliore piattaforma per ascoltare e comprendere le diverse posizioni a livello mondiale. Il Resto del Mondo conosce molto bene l’Occidente, ora questo deve imparare a fare altrettanto. Il miglior luogo è, per Mahbubani, l’Assemblea Generale dell’ONU, il solo forum dove tutti i 193 Paesi sovrani possono parlare liberamente.
  • Nel nuovo assetto mondiale la strategia servirà più della forza delle armi, per questo l’Occidente deve imparare da Machiavelli e sviluppare maggiore scaltrezza per proteggere i propri interessi a lungo termine.

Il saggio Occidente e Oriente. Chi perde e chi vince di Kishore Mahbubani non risparmia di certo le critiche agli occidentali ma, alla fin fine, può essere definito un interessante omaggio allo stesso Occidente. Al suo interno infatti contiene innumerevoli consigli affinché esso possa attuare i cambiamenti necessari per affrontare la nuova e rivoluzionaria epoca storica. Un omaggio al suo lodevole passato ma anche una necessità. Proseguendo su questa direzione infatti, per Mahbubani, l’Occidente rischia di diventare il principale fattore di turbolenza e di incertezza “nell’ora della più grande promessa per l’umanità”.

Non si può non convenire con Enrico Letta, che ha curato l’introduzione al libro, allorquando egli afferma che è una fortuna, per gli italiani, avere la possibilità di leggere questo libro. Vero. Verissimo. Occidente e Oriente di Kishore Mahbubani è per certo una lettura necessaria.

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