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No Tobacco Day, ma col proibizionismo diminuiscono le entrate e non i fumatori

Oggi si celebra la giornata Mondiale senza tabacco indetta dall’Organizzazione mondiale della sanità, con il divieto totale di sponsorizzazione dei prodotti del tabacco – Un’occasione per riflettere su un atteggiamento proibizionista che alimenta il contrabbando e riduce in maniera consistente solo le entrate per lo Stato e non il numero dei fumatori.

No Tobacco Day, ma col proibizionismo diminuiscono le entrate e non i fumatori

Il 31 maggio, è la Giornata Mondiale senza Tabacco, il cui tema quest’anno è il divieto totale di pubblicità, promozione e sponsorizzazione dei prodotti del tabacco. Un’iniziativa annuale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) mirata – come se qualcuno non ne fosse ancora del tutto convinto – a diffondere il concetto che il fumo fa male. Quello che colpisce della legittima e utile campagna antifumo è che sembra essersi trasformata in una crociata ideologica volta a criminalizzare un intero settore. Il fumo fa male. Ma il rischio però è che possa fare ancora più male. Alle persone e… alle casse dello Stato.

L’atteggiamento proibizionista dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, quello della Commissione UE che sta rivedendo la Direttiva sui prodotti del tabacco e anche quello del Governo, che vede ancora nel tabacco una mucca da mungere, rischiano infatti di peggiorare i danni del tabacco. A seguito dell’aumento IVA del 2011 ad esempio, il contrabbando di sigarette in Italia è esploso, un fenomeno che non si vedeva dagli anni ’80. Nel primo trimestre del 2013 il contrabbando ha toccato la quota del 9,6% registrando un’impennata del 300% rispetto al dato del 2011. Se nel 2011 le perdite per l’Erario si sono attestate a circa 420 milioni di euro, per il 2013, qualora il dato del contrabbando dovesse rimanere tale, si stima che le perdite per le casse dello Stato italiano saliranno a circa 1,4 miliardi di euro, alle quali vanno aggiunti i mancati introiti per la filiera pari a circa 400 milioni di euro.

Sono dati resi pubblici da una ricerca della British American Tobacco Italia (Bat Italia) e in linea con l’andamento (decrescente) delle entrate delle Finanze. Un dato importante, perché in occasione della Giornata Mondiale senza Tabacco consente di riflettere, usando un’ottica diversa, su come sarebbe il mondo se l’industria legale del tabacco non esistesse. “L’industria del tabacco è un business assolutamente legale e regolato in maniera dettagliata. Il nostro Gruppo lavora in maniera professionale e responsabile, nel rispetto delle leggi, spesso aderendo a principi molto più severi delle disposizioni legali dei paesi in cui opera”, ha dichiarato Kingsley Wheaton, Direttore di Corporate and Regulatory Affairs di British American Tobacco. “Purtroppo non si può dire lo stesso della complessa rete criminale che sarebbe pronta a prendere il posto dell’industria legale del tabacco, qualora questa non esistesse più”.

A livello globale infatti, il contrabbando di prodotti del tabacco genera un volume di vendita pari a circa 660 miliardi di sigarette rappresentando, per paradosso, la terza “azienda” del settore. Nell’Unione Europea il fenomeno rappresenta oltre l’11% e nel 2012 ha determinato perdite erariali per gli Stati membri pari a 12,5 miliardi di euro. Recentemente, infine, un’inchiesta dell’inglese Observer ha dimostrato come il contrabbando di sigarette sia una forte leva di entrate anche per le organizzazioni terroristiche.

Tra le cause della ripresa del fenomeno del contrabbando ci sono la crisi economica, l’eccessiva fiscalità e una regolamentazione a volte troppo sbilanciata. “ A tal riguardo preoccupa il processo di revisione della Direttiva Europea attualmente in corso. Tra le misure proposte, il divieto totale delle sigarette slim e dei pacchetti da 10 oltre all’introduzione di avvertenze sanitarie con immagini choc che occuperebbero il 75% del pacchetto rendendolo di fatto standardizzato”, spiega Bat Italia. “Queste misure, qualora approvate;- afferma Giovanni Carucci, vicepresidente di Bat Italia – darebbero un ulteriore impulso al contrabbando: molti fumatori, non trovando più la sigaretta desiderata sul mercato legale, si sposterebbero verso prodotti illeciti a prezzi inferiori. Si stima che solo i consumatori di pacchetti da 10 e formati slim costituiscano circa il 20% del mercato. L’aumento del traffico illecito, quindi, non ridurrebbe l’incidenza del tabagismo ed avrebbe ricadute negative sia sullo Stato che sulla filiera legale, che solo in Italia occupa oltre 200.000 addetti”. Un mondo senza l’industria del tabacco sarebbe quindi un mondo senza investimenti nella ricerca e sviluppo di prodotti del tabacco a rischio ridotto, senza rispetto dei limiti di età nella vendita di prodotti del tabacco, e farebbe crollare un contributo alle casse dello Stato del valore di 14,2 miliardi di euro.

Certamente rimane il fatto che il tabagismo è causa della morte prematura di sei milioni di persone all’anno (dato OMS) e che vietare ogni forma di pubblicità e promozione dei prodotti derivati dal tabacco potrebbe essere un metodo efficace di ridurre il consumo di tabacco, in particolare tra i giovani, come sottolineato dal dottor Douglas Bettcher, direttore per la prevenzione delle malattie presso l’Oms. Il consumo è stato ridotto del 7 per cento in media nelle nazioni dove un simile divieto è stato introdotto. Rimane però il dubbio sul perché l’OMS, la Commissione UE e anche il Ministero della Salute italiano (in contrasto con Ministero dell’Agricoltura, Ministero Sviluppo Economico e Ministero Economia) continuino ad osteggiare allora la diffusione di metodi alternativi quali ad esempio lo snus (un particolare tabacco “da succhio”) o la sigaretta elettronica, su cui certo ulteriori studi andranno fatti, ma su cui anche l’Istituto Superiore di Sanità è sicuro del fatto che “fa meno male”, visto che non contiene le 4000 sostanze tossiche che si inalando fumando una normale sigaretta. La domanda allora sorge spontanea: non sarà solo una questione di lobby (farmaceutica)?

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