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Lorenzo Bini Smaghi: “Morire di austerità. Democrazie europee con le spalle al muro”

Pubblichiamo, su gentile concessione della casa editrice “Il Mulino”, parte del capitolo centrale del nuovo libro di Lorenzo Bini Smaghi, ex membro del board della Bce: “Morire di austerità” – Un volume che critica gli effetti recessivi di misure di bilancio troppo restrittive ma che inchioda le democrazie occidentali alle loro colpe: il rinvio delle riforme

Lorenzo Bini Smaghi: “Morire di austerità. Democrazie europee con le spalle al muro”

Le misure di bilancio messe in atto per risanare i conti pub­blici hanno provocato effetti fortemente recessivi sull’attività economica, peggiorando la dinamica del debito nel breve periodo. L’aggiustamento andrebbe spalmato nel tempo, per diluirne l’effetto recessivo. Ma ciò è possibile solo se, e fin quando, lo Stato riesce a indebitarsi sui mercati  finanziari a condizioni sostenibili.

Nei Paesi europei che hanno messo in atto le misure di risanamento per far fronte alla crisi finanziaria, l’attività economica è entrata in una fase recessiva prolungata più grave del previsto. Il peso del debito è aumentato. Ciò ha  spinto a interrogarsi sull’adeguatezza della strategia  di politica economica seguita in Europa. Non c’è dubbio che l’austerità pone un freno alla crescita, almeno nel breve periodo, e che senza crescita non è possibile risanare in modo  duraturo le finanze pubbliche. D’altro canto, se i conti pubblici non vengono corretti per tempo, la dinamica del debito diventa insostenibile e il Paese rischia di perdere l’accesso ai mercati finanziari. A quel punto, l’austerità non è più eludibile e produce un impatto ancor più negativo sulla crescita.

L’obiettivo di politica economica è dunque quello di calibrare le misure di risanamento fiscale per favorire un aggiustamento di bilancio senza produrre effetti eccessivamente recessivi in modo da assicurare la sostenibilità del debito. Studi recenti del Fondo monetario internazionale hanno mostrato che l’effetto restrittivo delle politiche di austerità è stato di recente più ampio del previsto. Ciò non significa tuttavia che le finan­ze pubbliche non debbano essere risanate. Bisogna però cercare di attuare la politica di risanamento nel modo più graduale possibile, per evitare che un eccesso di austerità produca effetti di avvitamento del debito.

L’eccesso di austerità è principalmente una questione di come e quando viene effettuato il risanamento dei conti pubblici. Cominciamo con il come. Per evitare un impatto eccessivamente recessivo, bisogna innanzitutto capire quali fattori hanno provocato il passivo dei conti pubblici. Vi è una differenza se il disavanzo è stato causato da una riduzione  delle entrate fiscali o da aumenti di spesa pubblica, che va tenuta in considerazione nell’aggiustamento. Se il problema, ad esempio, è l’aumento della spesa, come è stato palesemente il caso in Grecia dove gli stipendi pubblici sono più che raddoppiati nell’arco di dieci anni, la correzione dovrebbe essere effettuata principalmente da quel lato. Se viene invece fatta dal lato delle entrate fiscali, attraverso un aumento della tassazione, diventa molto più penalizzante per la crescita  economica. Anche nel caso in cui il disavanzo pubblico nasca da una sovrastima della crescita economica, per cui le entrate risultano successivamente inferiori al previsto, l’aggiustamento effettuato attraverso un aumento della  pressione fiscale può essere deleterio perché contribuisce a ridurre ulteriormente la crescita.

Quando la manovra di finanza pubblica non mira a correggere le cause degli squilibri, non si può parlare di eccesso di  austerità ma di misure di austerità sbagliate. Il problema non riguarda l’entità della correzione, ma il disavanzo pubblico dal lato delle entrate, nonostante le cause principali fossero l’aumento tendenziale della spesa pubblica e l’insufficiente  crescita economica. 
Viene da chiedersi come mai le finanze pubbliche tendono a essere risanate dal lato delle entrate. Il primo motivo è che le manovre correttive vengono messe in atto troppo tardi, nell’emergenza, quando è in bilico la fiducia dei mercati. A quel punto, reperire fondi attraverso l’ina­sprimento della pressione fiscale dà maggiore certezza di risultato.

Inoltre, l’aumento delle entrate è più semplice da realizzare, dato il numero relativamente limitato del­le imposte su cui  intervenire. Una riduzione della spesa richiede invece misure selettive, la cui efficacia dipende dalla possibilità di modificare contratti  preesistenti e dalla capacità di controllo sulla spesa locale. In Italia, sono stati necessari alcuni mesi per attuare, nel 2012, un programma di revisione della spesa – la cosiddetta spending review – che si è rivelata  complessa ed ha prodotto risparmi limitati. Anche l’alternativa dei tagli lineari, con percentuali di riduzioni simili in tutti  i comparti,  sembra in teoria di più facile attuazione ma riesce a coalizzare l’opposizione di tutti i beneficiari della spesa pubblica.

È un paradosso che le misure di austerità attuate dal lato delle entrate, che sono le più dannose per l’attività economica, siano quelle politicamente più facili da realizzare in situazioni di emergenza. Il malcontento dell’opi­nione pubblica sale dopo che l’emergenza è passata, quando si verifica l’impatto recessivo sulla crescita. È altrettan­to paradossale che le riforme strutturali, che aumentano il potenziale di crescita economica e consentono di ridurre l’impatto recessivo della manovra, siano quelle più difficili da approvare, anche nell’emergenza, per l’opposizione degli interessi costituiti ben  rappresentati in Parlamento. An­che di fronte all’emergenza, le riforme vengono rimandate a un secondo tempo, successivo all’aggiustamento fiscale, quando la pressione dei mercati scema e i poteri di conservazione delle posizioni  di rendita si rafforzano. Senza riforme, l’austerità diventa eccessiva, perché applicata a un sistema economico rigido e poco competitivo.

Il secondo metro per valutare se l’austerità è eccessiva riguarda la tempistica della manovra di risanamento.
Rimandare il rigore, o diluirlo nel tempo è possibile solo quando i mercati finanziari sono  disposti a finanziare il fabbisogno pubblico a tassi sostenibili. Ciò dipende da vari fattori, tra cui il livello del debito pubblico, la credibilità del  piano di risanamento, tenuto conto anche della stabilità politica del paese, il contagio potenziale della crisi che si sviluppa in altri paesi e il grado di avversione al rischio dei mercati finanziari. Non è possibile identificare con precisione  l’impatto che ciascun fattore può avere sulla valutazione che i mercati finanziari fanno continuamen­te sulla sostenibilità del debito pubblico di un paese. I mercati non reagiscono in modo lineare agli andamenti di fondo delle economie,  inclusi gli squilibri di finanza pub­blica. Possono continuare a finanziare disavanzi per un lungo periodo di tempo, nell’aspettativa che prima o poi vengano prese misure correttive, e poi cambiare rapidamente opinione, e dubitare della  sostenibilità del debito, in seguito a eventi imprevedibili.

Fino  al 2008, i mercati finanziari hanno considerato che i titoli di debito pubblico di Paesi come l’Italia e la Spagna avessero un grado di rischio comparabile a quello dei titoli tedeschi o francesi. La crisi greca, e successivamente irlandese e portoghese, ha inizialmente contagiato gli altri Paesi mediterranei solo in modo limitato e i tassi d’interesse  sono rimasti su livelli sostenibili. I mercati hanno cambiato rapidamente opinione nel corso della primavera del 2011,  considerando i titoli italiani e spagnoli sempre più a rischio di solvibilità. I differenziali d’interesse, che fino ad allora  erano rimasti contenuti, si sono ampliati fino a livelli elevatissimi. Non è facile stabilire con precisione quali fattori  abbiano influenzato le aspettative dei mercati. Un aspetto rilevante è stato il deterioramento delle condizioni di  crescita, che ha reso più difficile la correzione dei disavanzi pubblici e messo a repentaglio la sostenibilità del debito pubblico.   Un altro fattore è stato la difficoltà politica, in entrambi i Paesi, di adottare misure di risanamento. Ha svolto un ruolo  rilevante anche il contagio  derivante  dalla  ristrutturazione del debito  gre­co, avviato nella primavera,  che è stato  attuato in tappe successive.  Alcuni di questi fattori erano in parte impre­vedibili pochi mesi prima,  e i governi dei  rispettivi Paesi pensavano probabilmente di avere più tempo per mettere in atto i rispettivi programmi di risanamento,  finendo col trovarsi impreparati quando la situazione dei mercati è peggiorata.

Il problema è che i governi guardano ai mercati con lo specchietto retrovisore mentre i mercati cercano di anticipare le prossime mosse dei governi. l governi  hanno la  tendenza a considerare che le condizioni favorevoli di finanziamento del debito pubblico siano destinate a durare in eterno e che ci sia tempo per adottare le misure correttive di bilancio.  L’aggiustamento viene così diluito su un periodo lungo, in linea con un approccio graduale al risanamento. Quando le condizioni generali dei mercati cambiano, i tempi previsti per l’aggiustamento devono essere rapidamente accorciati.  Recuperare fiducia, a quel punto, richiede misure molto più drastiche e penalizzanti per il sistema economico. Quando i  governi tardano troppo ad attuare il risanamento necessario per riportare in sicurezza le finanze pubbliche del Paese,  e  agiscono solo sotto la pressione dei mercati finanziari, l’austerità diventa eccessiva. Il problema è che a quel punto non  ci sono alterna­tive.

Se il governo greco di Papandreou avesse preso delle misure convincenti sin dall’autunno del 2009 per riprendere il controllo delle finanze pubbliche, l’aggiustamento della Grecia, e dell’intera area dell’euro, sarebbe stato probabilmente meno drammatico. Lo stesso vale per gli altri Paesi che sono successivamente entrati in crisi,
dall’Irlanda all’Italia, che hanno adottato misure di risa­namento solo dopo aver perso la fiducia dei mercati. Il recupero della fiducia per continuare a finanziare il debito a tassi sostenibili ha richiesto misure fiscali draconiane.

L’eccesso di austerità non deriva dal risanamento di bilancio, quanto dall’aver aspettato troppo per metterlo in atto. Nessun governo è disposto a riconoscerlo. E’ più facile dare la colpa ai mercati  finanziari che hanno smesso di finanziare a basso costo il debito pubblico emesso dal paese.

L’altro capro espiatorio preferito di chi non è in grado di risanare le finanze pubbliche sono le istituzioni europee e i governi dei Paesi creditori, colpevoli di imporre troppa austerità. L’esperienza mostra semmai che le istituzioni europee  avrebbero dovuto vigilare in modo più  rigoroso nei periodi favorevoli dei mercati finanziari, per evitare che i governi  rimandassero troppo a lungo il risanamento delle loro finanze  pubbliche. Senza  l’aiuto delle istituzioni europee, peraltro, i paesi che hanno perso l’accesso ai mercati finanziari avrebbero dovuto attuare politiche di aggiustamento ancor più restrittive. Grecia, Irlanda e Portogallo sarebbero probabilmente falliti, con effetti recessivi ancor maggiori. Gli aiuti europei hanno consentito di diluire nel tempo l’aggiustamento. Il problema è semmai  che i Paesi in difficoltà hanno cercato di evitare fino all’ultimo di ricorrere all’aiuto esterno. L’eccesso di austerità è il prezzo da pagare per l’orgoglio nazionale.

Cercare capri espiatori e scaricare su altri la responsa­bilità di attuare misure di risanamento che competono ai singoli  paesi, ha minato la fiducia all’interno dell’Unione, e nei confronti dell’Unione  europea. Non ha aiutato i Paesi a focalizzare l’attenzione sulle cause della crisi e a trovare il consenso per risolverle. Il risultato è stato quello di accorgersi  troppo tardi dei problemi e di affrontarli con misure eccessive, ma a quel punto inevitabili.

Il rischio di morire di austerità è attribuibile solo all’in­capacità delle istituzioni politiche di prendere le decisioni giuste al momento  giusto.

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