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Libia nel caos: ribelli assaltano Tripoli, detenuti in fuga, Serraj a rischio

La “Settima Brigata” di Tarhuna sta assediando la capitale: finora i morti sono già 47 – Un missile ha sfiorato gli uffici del premier Serraj, che ha proclamato lo stato di emergenza – L’Italia si interroga: per ora niente truppe ma c’è timore per l’ambasciata e le sedi dell’Eni – Il ruolo della Francia – VIDEO.

Libia nel caos: ribelli assaltano Tripoli, detenuti in fuga, Serraj a rischio

Precipita la situazione in Libia. La guerra fra milizie, scoppiata improvvisamente la settimana dopo un’estate relativamente tranquilla, è la miccia che sta facendo saltare il già debole potere del governo di Fayez Serraj, quello “ufficiale” e appoggiato dalle grandi potenze occidentali. Il casus belli nello specifico è l’iniziativa della “Settima Brigata”, la milizia di Tarhuna che sta provando ad “allargarsi” a Tripoli, e che ha annunciato che sta lanciando dal Sud l’assalto per conquistare il quartiere di Abu Salim. Abu Salim è l’area meridionale di Tripoli dove sorge il famigerato carcere di Gheddafi, il luogo in cui a migliaia gli oppositori del colonnello vennero arrestati, torturati e poi sterminati in un massacro che tutta la Libia ancora ricorda. Un luogo dunque simbolico, che rappresenta il preludio a un tentativo di assalto alla capitale libica: i morti negli scontri sono per ora 47 e il fronte si starebbe avvicinando sempre di più al centro della città, secondo gli ultimi aggiornamenti.

Sotto attacco anche le rappresentanze straniere: sabato un missile ha sfiorato la sede dell’ambasciata italiana a Tripoli, e un secondo colpo ha mancato di poco gli uffici di Serraj. Il quale la scorsa notte ha proclamato lo stato d’emergenza, mentre i governi di Italia, Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna sempre sabato hanno diffuso un comunicato congiunto in cui “condannano fermamente la continua escalation di violenza a Tripoli e nei suoi dintorni, che ha causato molte vittime e che continua a mettere in pericolo la vita di civili innocenti”. “Ribadiamo”, continua la nota pubblicata sul sito della Farnesina, “che il Diritto Internazionale Umanitario vieta di colpire la popolazione civile e di sferrare attacchi indiscriminati. Questi tentativi di indebolire le legittime autorità libiche e ostacolare il corso del processo politico sono inaccettabili. Esortiamo tutti i gruppi armati a cessare immediatamente ogni azione militare e avvertiamo coloro che compromettono la sicurezza a Tripoli o altrove in Libia, che saranno ritenuti responsabili di tali azioni”.

In attesa di un intervento più “energico” delle forza occidentali, il premier Serraj ha chiesto l’aiuto della “Forza antiterrorismo” di Misurata, la quale ha risposto immediatamente inviando 300 blindati con armi pesanti che si sono attestati in una caserma di Tajura, alla periferia occidentale della capitale, in attesa di capire come dovranno essere impiegate nello scontro innescato dalla “Settima Brigata” di Tarhuna. Per Serraj chiedere l’intervento della “Forza Antiterrorismo” significa riportare le milizie di Misurata dentro Tripoli. Ma d’altronde le brigate di Tripoli da cui il presidente si era fatto difendere e che avevano gestito l’ordine pubblico a Tripoli ormai sono nel mirino di tutte le altre città di Libia perché accusate di estorcere milioni di dollari al governo libico che dicono di voler proteggere. Approfittando della confusione, inoltre, oltre 400 detenuti sono evasi da un carcere a sud della città.

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Serraj è dunque un leader sempre più assediato, e la polveriera esplosa negli ultimi giorni è un nuovo grattacapo per le forze europee. L’Italia si interroga sul da farsi, anche se per il momento Palazzo Chigi ha escluso l’intervento di corpi speciali. L’ambasciata italiana a Tripoli, fa sapere la Farnesina, “resta operativa ma con una presenza più flessibile, che si sta valutando sulla base delle esigenze e della situazione di sicurezza”. Come riporta il Corriere della Sera, parte del personale dell’ambasciata è stato evacuato, insieme ad altri italiani impiegati da aziende in Libia, in particolare diversi tecnici dell’Eni, azienda storicamente molto presente nel Paese nordafricano e che negli ultimi anni, approfittando di una situazione relativamente pacifica, aveva provato a consolidare nuovamente la propria attività dopo gli anni difficili delle primavere arabe.

Eni intanto conferma che allo stato attuale “non c’è personale espatriato presente a Tripoli e che le attività nel paese al momento procedono regolarmente“. E’ quanto si apprende da un portavoce della compagnia. Nell’operazione ha un ruolo delicato, come già accaduto nel recente passato, anche la Francia, che da sempre sostiene il generale Haftar, filo-egiziano e uomo forte della Cirenaica sempre più in rotta di collisione con il governo di Tripoli guidato da Fayez al-Serraj, il quale invece ha sempre ricevuto l’appoggio incondizionato dell’Italia. Le voci di un possibile interesse di Parigi nell’accendere la miccia per ribaltare gli equilibri di potere e isolare l’Italia si susseguono, ma la Farnesina le ha definite fake news.

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