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La Russia contro i russi: il libro di Zoja Svetova che racconta le storie di chi è stato costretto a espatriare

La giornalista di Novaja Gazeta, costretta anche lei a scappare nottetempo dalla Russia, racconta le storie di chi è stato costretto a lasciare il suo Paese per evitare di andare a combattere o di essere arrestato

La Russia contro i russi: il libro di Zoja Svetova che racconta le storie di chi è stato costretto a espatriare

Almeno 400mila persone sono scappate nel settembre dello scorso anno dalla Russia dopo che era stato emanato l’ordine di mobilitazione parziale. Altri erano già fuggiti fin dal febbraio quando l’esercito di Putin aveva iniziato “l’Operazione speciale” e aveva invaso l’Ucraina.  

Russia: migliaia le persone in fuga 

Non esiste un dato preciso del numero di persone in fuga, ma deve avvicinarsi al milione. Sono fuggiti per non essere mandati in guerra, ma anche per paura di arresti e repressione poiché tanti o sono attivisti per i diritti umani o semplicemente sono giornalisti e intellettuali  e solo per questo pericolosi per il regime. 

Un esodo che sta privando il Paese delle migliori energie e che viene paragonato a quello di 100 anni fa, quando i russi più acculturati, la cosiddetta “intellighenzia”, lasciarono il Paese per scappare dalla guerra civile e perché non volevano vivere secondo le leggi della Rivoluzione d’ottobre

“La Russia contro i russi”: il libro di Zoja Svetova

Copertina del libro “La Russia Contro i russi” – Castelvecchi Editore

I nuovi esuli vanno ovunque non sia previsto un visto di ingresso per i russi: negli ex Paesi dell’Urss, Kazakistan, Armenia, Lettonia in primis, ma anche Turchia, Israele, Sud Africa e perfino Sri Lanka. Ma soprattutto, in grandissima maggioranza  vanno in Georgia. Trentamila in pochissime settimane. Scelgono la Georgia perché i russi l’amano molto e ne sono riamati. Perché molti hanno amici da quelle parti e quindi è facile rimanerci un po’ senza provare il senso di sradicamento inevitabile. 

Ed è qui, a Tblisi, quindi che Zoja Svetova, giornalista russa indipendente, è andata per raccontare le loro storie e restituire loro la voce. Ne è uscito prima un podcast, mezzo più rapido per diffondere le esperienze. Poi quelle storie sono state raccolte in un libro, tradotte in italiano da Castelvecchi, che non poteva avere titolo più efficace: “La Russia contro i russi. Esilio, carcere, guerra: la vita al tempo di Putin”. 

Contiene sette storie, tre di esse sono più strettamente legate all’esodo; le altre quattro sono quelle di persone umiliate dalla (non) giustizia russa e tenute innocenti in prigione. Un’intervista all’autrice di Roberto Saviano rende ancora più prezioso il volume. 

Svetova, figlia di dissidenti con l’opposizione ai regimi nel sangue

Zoja Svetova è una nota attivista per i diritti umani, giornalista di Novaja Gazeta, uno dei primi giornali a essere stato chiuso da Putin, quello per il quale scriveva Anna Politkovskaja, uccisa per le sue inchieste in Cecenia, e il cui direttore, Andrej Muratov, è stato insignito nel 2021 del Nobel della Pace.

Ha nelle vene l’opposizione ai regimi Zoja Svetova, figlia di dissidenti e prigionieri politici in epoca sovietica, nipote del primo preside della facoltà di Storia dell’Università di Mosca, fatto fucilare da Stalin nel 1937. Lei è rimasta a Mosca, ma tre dei quattro figli, tutti e tre giornalisti, sono fra quelli che sono fuggiti a Tblisi.  

Per il capitolo “Esodo”, i testimoni sono Sasha Lavut, un blogger di appena sedici anni, figlio della poetessa Zhenja Lavut e del regista e produttore cinematografico, Evgenij Gindilis; Anna Mongajt, 44 anni, conduttrice del canale televisivo “Dozhd”, autrice del programma “Donne dall’alto”; l’attrice Marija Shalaeva, 41 anni, e il regista Vladimir Mirzoev, rientrato nel Paese dopo il 1989 e di nuovo in fuga. Ci soffermiamo sulle prime due storie, quella di Sasha e quella di Anna. 

Il giovane blogger, Sasha Lavut 

Blogger di appena 16 anni, Sasha Lavut è il primo esule che Zoja incontra a Tbilisi. È partito da Mosca il 4 marzo 2022, Zoja lo incontra il 20. 

Attivista politico, blogger, aveva capito subito, appena iniziata l’Operazione speciale, che sarebbe dovuto partire. E infatti lo fa appena meno di un mese dopo l’invasione dell’Ucraina.

La cosa più difficile per un esule, racconta a Zoja, è fare la valigia. Quali libri portare per esempio? Alla fine ne porterà cinque: una raccolta di poesie e di traduzioni di Grigorij Dashevskij comprate da lui, e due raccolte della madre poetessa, una raccolta di poesie di Mandelstam e infine “L’eroe del nostro tempo” di Lermontov. Aveva aggiunto una scatola con piccole gioie e le foto degli amici più cari. 

Al controllo passaporti in Russia la paura era stata grande. Ma poi tutto era stato abbastanza semplice, né in Armenia né in Georgia ci vogliono visti.

All’inizio era stato difficile intendersi con i georgiani, molti parlano russo, ma non tutti. E poi i russi sono considerati un po ‘invasori (l’Abkhazia, regione georgiana è sempre sotto il loro potere) e un po’ fratelli snob. Ora Sasha ha ripreso a studiare. Frequenta la 9° classe alla fine della quale avrà un diploma parziale. Che gli consentirà di proseguire gli studi e conseguire un diploma a livello europeo. Se fosse rimasto a Mosca il suo piano prima dell’esodo era iscriversi a Scienze politiche visto che intendeva occuparsi e scrivere di politica. Ora, chissà. Appena si aprirà un varco vuole rientrare a Mosca. Gli manca molto la sua città: per esempio il tram 39 che collega l’università con i Cistye Prudy (il laghetto del  “Maestro e Margherita” ndr. ), i bar preferiti;  e gli mancano le serate insieme con gli amici nel “triangolo delle Bermuda”, cioè fra i Cistye e le stazioni Kuskaja e  Sucharevskaja.

Quello che prova ora è un gran risentimento. E sostiene che i giovani russi provano tutti questo sentimento nei confronti del potere. Perché è stata tolta loro la comprensione del passato, del presente e del futuro, e quando non capisci cosa sarà del tuo futuro nasce il risentimento. 

La conduttrice televisiva, Anna Mongajt

Anna Mongajt ha lasciato la Russia il 3 marzo. Si definisce una profuga di lusso, come si chiamano fra di loro i giornalisti scappati da Mosca. Racconta di come aveva convissuto con un senso di pericolo sempre più crescente le settimane prima della partenza. Fino a quando il sito di “Dozhd” era stato chiuso, accusato di diffondere notizie false legate all’estremismo. Era tempo di partire.

La notte precedente alla partenza non aveva chiuso occhio aspettandosi di essere arrestata da un momento all’altro. Non aveva trovato i biglietti per tutte e 4 in famiglia, lei, marito e i due figli di 13 e 5 anni. E parte per prima da sola. Dopo un paio di giorni sarebbero partiti gli altri. Unica destinazione possibile è Baku, in Azerbaijan. 

L’indomani aveva preso un volo per Tbilisi via Dubai. Piuttosto facile pur se con cinque ore di attesa. Per alcuni si era trattato addirittura di volare verso Ulan Bator, in Mongolia,  per poi raggiungere Erevan e Tblisi. Perché anche loro in Georgia? La Georgia è una scelta comprensibile, spiega, c’è un ambiente russofono, dove molti russi hanno amici ed è un paese da essi molto amato. 

Quindi è facile rimanerci un po’ senza provare senso di sradicamento. Il giorno della partenza del resto della famiglia Anna era andata in tilt: era stato proclamato lo stato di emergenza e lei temeva che il marito non sarebbe riuscito a partire. 

Con il senno di poi, e dopo che Putin aveva definito l’opposizione interna la quinta colonna dei nemici, capirà che nessuno avrebbe cercato di trattenere i dissidenti: potevano partire, anzi meglio così. Il che rende la dittatura di Putin diversa da quella dei sovietici, questi rinchiudevano gli oppositori nei confini o nei gulag. 

Anna non aveva salutato i colleghi di “Dozhd” fino al loro ultimo giorno di lavoro: non voleva ritenerlo un addio. Per quanto riguarda la valigia, l’aveva sbagliata del tutto: troppe cose estive, tacchi alti. La prima cosa che compra da H&M è una tuta con la pelliccia: fa freddo a Tblisi, anche se non come a Mosca. 

La sua vita è rotta, dice, ma non aveva alternative: la Russia di Putin guarda al passato e non al futuro.

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