Condividi

La Juve risorge con CR7 e Dybala ma l’Inter ipoteca lo scudetto

La Juve stende il Napoli per 2 a 1, è sola al terzo posto e per il momento salva la panchina di Pirlo ma l’Inter vola verso lo scudetto e, dopo il successo per 2 a 1 sul Sassuolo, ha 11 punti di vantaggio sul Milan e 12 sulla Juve

La Juve risorge con CR7 e Dybala ma l’Inter ipoteca lo scudetto

Punti di platino. Anzitutto per l’Inter, che battendo il Sassuolo si porta a +11 sulla seconda e vola così verso lo scudetto, ma anche per la Juve, che grazie al successo sul Napoli rivede quella zona Champions assolutamente fondamentale per casse e prestigio. Il mercoledì dei recuperi (ora all’appello manca solo Lazio-Torino, al momento ancora senza data) metteva sul piatto una posta decisamente alta e a far festa, seppur per motivi diversi, sono stati Conte e Pirlo, lasciando invece De Zerbi e Gattuso a bocca asciutta. Anche qui però bisogna fare dei distinguo: se per il tecnico neroverde, infatti, la classifica resta sostanzialmente invariata, lo stesso non si può dire per quello azzurro, che ora rivede gli spettri di una mancata qualificazione in Champions League.

Quella di Torino, paradossalmente, era una sfida molto più delicata di quella di Milano, perché l’Inter ormai, per merito suo (10 vittorie consecutive) e demeriti altrui fa corsa solo su sé stessa. Allo Stadium invece era in programma un vero e proprio spareggio il cui risultato, per quanto non definitivo, ha tutta l’aria di poter incidere sulla classifica finale. Chi rischiava di più era sicuramente la Juve, che in caso di sconfitta si sarebbe ritrovata fuori dai primi quattro posti: scenario talmente apocalittico da non essere neanche preso in considerazione, come confermato da Paratici nel prepartita, eppure assolutamente realistico. Fosse successo, probabilmente, ci troveremmo a commentare l’esonero di Pirlo, invece il calcio, come spesso accade, sa ribaltare le ipotesi come nient’altro. E così il tecnico bianconero, da “dead man walking”, si ritrova di nuovo in sella, pronto a giocarsi le chance di riconferma nel finale di stagione.

La squadra, questo è sicuro, ha risposto presente nel momento più delicato, giocando una grande partita, una delle migliori al netto dell’avversario. A sbloccarla, dopo appena 13’, ci ha pensato il solito Ronaldo, freddo nello sfruttare la serpentina vincente di Chiesa, ma il primo tempo, al di là del gol, è stato di ottima fattura, riducendo il Napoli a poche, sporadiche, fiammate. E poi, siccome questa non è mai una partita normale, ecco le immancabili (e giustificate) polemiche arbitrali, con la coppia Mariani-Di Paolo (Var) a perdersi due clamorosi rigori, uno per parte (Lozano su Chiesa e Alex Sandro su Zielinski), giusto per infiammare ulteriormente gli animi. Nella ripresa Gattuso ha provato il tutto per tutto inserendo Politano e Osimhen al posto di Lozano e Demme: l’idea sembrava poter funzionare perché gli azzurri hanno alzato il baricentro, costringendo la Juve a difendere il risultato.

Questa volta però anche Pirlo aveva dei cambi da fare e così, al minuto 69, ecco spuntare dalla panchina Dybala, di nuovo in campo dopo quasi tre mesi. L’argentino, al centro delle polemiche dopo la festa di settimana scorsa (con tanto di esclusione punitiva dal derby), ha subito tirato fuori dal cilindro il coniglio vincente, ovvero un sinistro imparabile che ha battuto Meret per la seconda volta (73’). A risvegliare il Napoli ci ha poi pensato Osimhen, che al 90’ si è procurato un rigore per un fallo di Chiellini poi trasformato da Insigne, regalando un po’ di pathos a un finale che però non ha riservato altre sorprese.

“Avevamo provato questo tipo di atteggiamento, tenendo due esterni sempre larghi, con Danilo che andava a fare il centrocampista aggiunto il mezzo al campo per liberare poi più spazio in ampiezza con Chiesa e Cuadrado – l’analisi di Pirlo – Purtroppo non siamo sempre stati incisivi come questa volta, abbiamo lasciato troppi punti per strada per via di un atteggiamento sbagliato. Quando vuoi vincere ti sacrifichi, ti aiuti e alla fine porti a casa il risultato, ma noi a volte non l’abbiamo fatto…”.

L’idea di scucirsi lo scudetto dal petto dopo nove anni di trionfi non è ancora stata digerita, tanto più che questo, a meno di incredibili colpi di scena, finirà sulle maglie dell’Inter dell’ex Conte. La vittoria di Bologna aveva già tracciato la strada, quella di ieri, se possibile, la rende ancora più nitida, tanto che non ci si chiede più se i nerazzurri vinceranno il campionato, bensì quando. Del resto la squadra è ormai da tempo a immagine e somiglianza del suo allenatore, ovvero incapace di qualsiasi calo di concentrazione, focalizzata solo ed esclusivamente sull’obiettivo finale.

Le velleità estetiche, ormai, sono passate totalmente in secondo piano, tanto che ieri, nonostante le numerose assenze, è stato il Sassuolo ad avere in mano il pallino del gioco, ma questo non ha fatto altro che facilitare le cose all’Inter, capace come al solito di difendersi bene, per poi sfruttare la furia dei suoi attaccanti. Lukaku ha sbloccato il punteggio già al 10’ con un bel colpo di testa, Lautaro ha trovato il raddoppio in contropiede al 67’ in un momento di predominio neroverde, peraltro su un’azione molto contestata. L’azione, infatti, è nata da un contatto molto sospetto tra De Vrij e Raspadori nell’area nerazzurra: episodio che ha fatto infuriare De Zerbi, anche se è giusto dire che nel primo tempo ci poteva stare un rigore per l’Inter per un braccio di Rogerio.

“Fossimo stati più cinici avremmo potuto fare 5-6 gol, ma complimenti al Sassuolo – ha glissato Conte – Penso che servisse fare uno step ulteriore se volevamo diventare una pretendente per lo Scudetto, bisognava alzare la soglia di cattiveria, di attenzione, di determinazione, di resilienza. Sarebbe bello spodestare il regno di una squadra che vince da nove anni, ma è inevitabile che da qui alla fine ci sarà tensione, perché il pallone pesa sempre di più”.

Il tecnico nerazzurro fa bene a dire così, ma è evidente che anche lui, in cuor suo, sa bene di avere ormai le mani sullo scudetto. Il pallone pesa soprattutto per le altre 6, costrette a giocarsi i tre posti rimasti per la prossima Champions. Non sarà come vincere un trofeo, ma in tempi di crisi economica come questa possono pesare perfino di più.

Commenta