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La Banca del Fucino cambia e punta sul private banking

INTERVISTA A GIUSEPPE DI PAOLA, direttore generale della BANCA DEL FUCINO – La più antica banca romana privata di proprietà dei Torlonia avvia un nuovo corso e si concentra sul private banking per la clientela affluente, che già oggi rappresenta il 50% dei ricavi con l’obiettivo di arrivare al 70% in 3-4 anni – Roma e Milano le punte di diamante – “Siamo una boutique finanziaria senza conflitti d’interessi, ma continueremo anche a fare retail e impieghi”

La Banca del Fucino cambia e punta sul private banking

Fondata a Roma nel 1923 dai principi Torlonia, ancora al 100% di proprietà della famiglia, la Banca del Fucino, che prende il suo nome dalla gigantesca opera di bonifica della piana del Fucino in Abruzzo tra l’Ottocento e il Novecento, è oggi la più antica banca romana privata presieduta dalla quarta generazione dei suoi fondatori.

La banca ha circa 50mila clienti ed è presente soprattutto nel Centro Italia (ha una rete di 32 filiali di cui 31 tra Lazio, Abruzzo e Marche, e 1 a Milano: solo a Roma ne ha 20), dove rappresenta l’istituto di fiducia soprattutto di imprenditori e professionisti di fascia alta.
Il cuore della banca è sempre più costituito dai suoi private bankers, che sono tutti dipendenti e hanno un portafoglio medio da gestire di 80 milioni di euro. Per ogni cliente la soglia minima di ingresso al servizio private è un patrimonio superiore a 1 milione di euro, immobili esclusi.

A raccontare il nuovo corso della Banca del Fucino e la sua sempre più spiccata trasformazione del business verso il private banking è Giuseppe Di Paola, direttore generale della banca dal 2001.

Direttore, questi non sono tempi facili per le banche, l’età dell’oro è finita e chissà se tornerà mai: che succede per una banca particolare come Banca del Fucino che ha il retail ma è sempre più orientata sulla gestione dei patrimoni e sul private banking?

“L’evoluzione verso il private banking nasce dalla convinzione che il modello di banca commerciale che conoscevamo era obsoleto e che dovevamo cambiare il business model: per questo ci siamo spinti sempre di più verso il private banking, aprendo due sedi dedicate a Roma e una a Milano. Il private rappresenta già di fatto il 50% dei nostri ricavi ma è destinato a crescere. Sul piano organizzativo abbiamo creato un’apposita divisione di private banking all’interno della banca con investimenti sulla tecnologia e assunzioni organiche: la nostra è un’attività interna, non facciamo promozione finanziaria. Siamo una vera e propria boutique finanziaria, che ci permette di assicurare una consulenza a clienti di elevato standing in modo personalizzato, senza conflitti d’interesse e con grande flessibilità operativa. E i risultati ci stanno premiando”.

Questo significa che abbandonerete l’attività di retail e di finanziamento alle imprese?

“No, continueremo anche a fare retail e impieghi, ma contiamo di far diventare il private banking il nostro core entro 3-4 anni, arrivando ad un peso percentuale sul totale dei ricavi di circa il 70%. Oltre a costituire un’apposita divisione, l’anno scorso abbiamo aperto una filiale tutta dedicata al private banking nel cuore di Milano, in via Monte di Pietà, e un’altra nel cuore di Roma a via Po, nel quartiere Parioli-Pinciano”.

La stagnazione economica e soprattutto i tassi d’interesse bassi o addirittura negativi e i costi di una rete di sportelli che non ha più ragion d’essere azzerano o riducono i profitti delle banche: questo ha pesato anche sulla vostra attività?

“E’ un pericolo che in parte correvamo anche noi, ma ci siamo mossi per tempo. Proprio per questo riteniamo che il private banking sarà il motore della crescita della banca da qui ai prossimi anni. Già nel 2015, le nostre attività finanziare complessive si attestavano a circa 2,6 miliardi di euro, che si dividono quasi per metà in raccolta diretta e metà indiretta, nella quota di 1,4 miliardi di raccolta indiretta per la prima volta la componente gestita ha superato quella amministrata, e cioè i titoli di Stato. E’ un risultato molto significativo che conforta le scelte strategiche che abbiamo compiuto e che sosterremo sempre di più. Per quanto riguarda gli sportelli, per fortuna ne abbiamo pochi, ma contiamo comunque di rendere più efficiente la rete, non eliminandoli ma accorpandone qualcuno”.

Come si prospetta il 2016 della Banca del Fucino?

“Nonostante le difficoltà generali di tutto il settore bancario, noi ci aspettiamo un buon 2016 anche perché il nostro business sta cambiando velocemente. Intanto abbiamo chiuso il 2015 con un margine di interesse di 30 milioni di euro, il CET 1 Capital Ratio al 10,22% (sopra il minimo richiesto di 8,5%) e un Total Capital Ratio del 13,85% (minimo richiesto 10,5%). Il margine di intermediazione è stato di quasi 63 milioni. Le masse gestite cresceranno anche quest’anno per raddoppiare, secondo il nostro piano industriale, entro 3-5 anni”.

Innovando rispetto alla sua tradizionale riservatezza, Banca del Fucino ha deciso di comunicare di più e meglio con la propria clientela: perché? E perché un cliente sceglie la Banca del Fucino? Qual è il vostro elemento distintivo rispetto alla concorrenza?

“La Banca del Fucino è nata quasi un secolo fa, nel 1923, dai principi Torlonia come istituto finanziatore della gigantesca opera di bonifica e riassetto della piana del Fucino, in Abruzzo, la più grande costruzione idraulica dell’Italia unita. Adesso stiamo cambiando pelle rispetto alla banca commerciale tradizionale ed è già in atto un piano di digitalizzazione molto spinto; inoltre stiamo avvicinando la nostra clientela private a un modello di consulenza estremamente personalizzata, attraverso l’assistenza dedicata di un Private Banker e di un team multidisciplinare di Portfolio Advisory. Siamo una vera e proprio boutique, che segue il cliente in ogni passaggio e che ha la peculiarità di non vendere prodotti propri e perciò di non avere alcun conflitto d’interesse. Non siamo una SGR e non siamo una fabbrica prodotti e questo permette al cliente di scegliere i prodotti finanziari migliori. E’ un elemento fondamentale che fa la differenza rispetto alla concorrenza”.

C’è un piano di crescita nel futuro prossimo della Banca del Fucino? E come intendete finanziarlo?

“Il piano è di far crescere soprattutto il private banking senza trascurare il retail, attraverso assunzioni di private bankers che però avverranno in buona parte all’interno della stessa azienda attraverso percorsi di formazione per far sì che una parte sempre maggiore dei nostri 300 dipendenti complessivi si occupi di gestione dei patrimoni privati: al momento solo un sesto dei nostri dipendenti si occupa di questo, abbiamo un gran serbatoio interno ma assumeremo anche da fuori. Abbiamo già reclutato 20 private bankers. Il piano di crescita è totalmente autofinanziato: abbiamo i mezzi per sostenerlo e ad oggi non sono all’ordine del giorno né partnership né la quotazione in Borsa.”

In tempi di turbolenze finanziarie e di alta volatilità delle Borse, che cosa consigliate ai vostri clienti?

“I primi 6 mesi del 2016 sono stati difficili per i mercati ma siamo riusciti a difendere il valore dei nostri investimenti, nonostante la volatilità. Chi ha investito da noi non ha perso soldi, malgrado la Borsa italiana perda dall’inizio dell’anno più del 20%. Dopo il referendum sulla Brexit e le elezioni spagnole, di cui si saprà a breve, pensiamo che i mercati saranno pronti a ripartire. Il segreto è sempre quello della diversificazione ponderata degli investimenti, sia in riferimento ai diversi mercati che alle diverse aree geografiche”.

Da chi è composta la vostra clientela e qual è il cliente tipo?

“Prima di tutto imprenditori e professionisti, che però stanno cambiando il loro approccio con la banca. Prima erano clienti tradizionali che avevano principalmente linee di finanziamento e che solo dopo valutavano l’opportunità di utilizzare anche il nostro servizio private. Oggi si avvicinano a noi direttamente per il servizio private.  Poi abbiamo famiglie dai grandi patrimoni immobiliari, ma in minor misura. A differenza di quello che si può credere, in Italia il 40% delle ricchezze di HNWI (High Net Worth Individual: persone con disponibilità superiori ai 500.000 euro, immobili esclusi) ha origine da lavoro imprenditoriale mentre solo il 23% appartiene a pensionati e il 2% a ereditieri”.

Direttore, la ricchezza cresce, ma crescono anche le polarità. In altre parole: i ricchi sono sempre più ricchi. Per chi come voi serve principalmente una clientela affluente, significa che la vostra platea può potenzialmente crescere ancora di più?

“Potenzialmente sì, infatti, come ho già detto, intendiamo raddoppiare le masse gestite da qui a 3-5 anni. Secondo i dati AIPB (Associazione italiana Private Banking), a fine 2014 le famiglie italiane di elevata ricchezza (HNWI) hanno raggiunto quota 633.000. Le disponibilità sono cresciute costantemente negli ultimi anni passando dagli 859 miliardi di euro del 2009 ai 983 miliardi di fine 2014. E nonostante gli scenari di crisi, nel primo trimestre 2015, gli asset gestiti dagli istituti private sono aumentati del 7,8% passando dai 501 miliardi di dicembre 2014 ai 540 miliardi di marzo 2015. Consideri che il patrimonio delle famiglie del Lazio, dove la Banca del Fucino ha il suo baricentro, rappresenta circa il 9% della ricchezza totale delle famiglie italiane e che essa si concentra soprattutto a Roma, dove abbiamo un forte radicamento. Quindi, lo spazio per crescere c’è, ma bisogna essere in grado di offrire sempre servizi di grande qualità e di assoluta indipendenza, come alla Banca del Fucino cerchiamo ogni giorno di fare”.

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