Ogni anno a fine agosto, tra le maestose montagne del Wyoming, si svolge uno degli eventi più osservati dai mercati finanziari mondiali: il simposio di Jackson Hole. L’evento si svolgerà dal 21 al 23 agosto e promette di essere un banco di prova fondamentale per le politiche monetarie delle principali banche centrali. Al centro dei riflettori, quest’anno più che mai, il presidente della Federal Reserve Jerome Powell, che dopo aver mantenuto i tassi tra il 4,25% e il 4,50% a luglio, dovrà chiarire la strategia futura: tagli, rialzi o prudenza estrema?
Il discorso di Powell, in programma venerdì mattina (alle 16:00 ora italiana), rappresenterà il suo ultimo intervento al simposio prima della conclusione del mandato prevista a maggio 2026. I mercati trattengono il fiato: ogni parola potrebbe fornire indizi decisivi sulle mosse della Fed, in un contesto economico caratterizzato da segnali contrastanti, ma soprattutto rappresenta un’ulteriore prova per confermare l’indipendenza della banca centrale dalle pressioni politiche.
Ma perché Jackson Hole è diventato così importante? E soprattutto, cosa ci riserverà il simposio del 2025?
Jackson Hole: il simposio che detta il ritmo dei mercati globali
Il simposio di Jackson Hole, nato nel 1982 per iniziativa della Federal Reserve Bank di Kansas City, rappresenta oggi un appuntamento imprescindibile per 120 economisti, banchieri centrali e policy maker di tutto il mondo. L’evento è concepito come uno spazio riservato dove discutere di economia globale lontano dal clamore delle grandi città, immersi in un contesto naturale unico: le imponenti montagne del parco nazionale del Grand Teton e i panorami incontaminati attorno al Jackson Lake Lodge, fondato negli anni Cinquanta da John Rockefeller Junior.
Nel tempo, Jackson Hole è diventato molto più di un simposio tra montagne: è un vero laboratorio di comunicazione per le banche centrali. Le parole dei banchieri possono orientare i mercati globali senza bisogno di interventi immediati, come hanno dimostrato i programmi straordinari di Ben Bernanke, le analisi e le transizioni di Janet Yellen e le metafore celestiali di Powell.
L’effetto non è istantaneo: i mercati assorbono i segnali e reagiscono nei giorni e mesi successivi, accelerando rialzi in fasi accomodanti o accentuando cali in periodi restrittivi. Ieri, però, Wall Street era nervosa: S&P 500 e Nasdaq sono scesi per il secondo giorno consecutivo, zavorrati dai titoli tecnologici, segno di quanto l’incertezza legata alla 48esima edizione del simposio possa scuotere i mercati.
Il tema di quest’anno: demografia, produttività e lavoro
Il tema 2025 è “Mercati del lavoro in transizione: demografia, produttività e politica macroeconomica”, con un focus sul cambiamento strutturale del lavoro. La Fed osserva fattori già in atto, come il calo dei tassi di natalità, l’invecchiamento della forza lavoro e la ridotta mobilità, ma anche nuovi sviluppi, come la diffusione dell’intelligenza artificiale, che potrebbero modificare il ruolo economico e il valore del lavoro. La discussione includerà anche l’interazione tra questi fattori e le politiche fiscali e monetarie.
Sebbene il ruolo evolutivo del lavoro sia interessante, per gli investitori la vera attenzione resta rivolta alla Fed: la prossima riunione del Fomc è dietro l’angolo (16-17 settembre). E la domanda è: cosa farà, ma soprattutto, cosa dirà il presidente della Fed?
Fed divisa sui tassi: i verbali rivelano fratture interne
Fino a pochi giorni fa i mercati davano quasi per certo un taglio a settembre, con probabilità oltre il 95%, ma gli ultimi dati hanno ridimensionato le aspettative: secondo il FedWatch del Cme, la possibilità di un taglio di 25 punti base è ora dell’83%, comunque sopra il 60% di un mese fa. A spingere per una mossa più decisa è la Casa Bianca: il segretario al Tesoro Scott Bessent e lo stesso Donald Trump da mesi invocano un taglio più marcato. Nemmeno all’interno del Fomc regna unanimità. I verbali di luglio mostrano che “quasi tutti” i funzionari hanno sostenuto di lasciare i tassi fermi, mentre due membri – Christopher Waller e Michelle Bowman – hanno chiesto un taglio immediato di 25 punti base: una crepa piccola ma significativa, che mette in luce il delicato equilibrio tra falchi e colombe, tra chi considera l’aumento dei dazi un fenomeno temporaneo e teme di soffocare un’economia già in rallentamento e chi teme l’inflazione, soprattutto sui servizi. I verbali evidenziano come i dazi stiano già spingendo i prezzi dei beni importati, mentre i servizi mostrano segnali di raffreddamento. Ma resta incertezza: potrebbero volerci mesi prima che l’impatto pieno arrivi ai consumatori.
Intanto, Waller e Bowman trovano nuovi alleati tra chi spinge per un taglio già a settembre, e presto potrebbe unirsi a loro anche Stephen Miran, consigliere economico ad interim della Casa Bianca nominato ad agosto dal tycoon. Sul fronte opposto, il presidente della Fed di Kansas City, Jeff Schmid, ha spento le speranze più accomodanti, affermando che escludere i dazi dal calcolo dell’inflazione sarebbe “un concetto né significativo né misurabile”.
Powell al bivio: tagliare i tassi o restare cauto?
Powell si trova davanti a un dilemma e i segnali economici rendono la scelta ancora più complessa: il Pil del secondo trimestre è cresciuto del 3%, sostenuto soprattutto da 88 miliardi di dollari di investimenti delle big tech in AI e data center più che dai consumi delle famiglie, mentre il mercato del lavoro rallenta, con soli 73 mila nuovi posti a luglio e una media trimestrale di 35 mila, segnali compatibili con fasi pre-recessive. Allo stesso tempo, l’inflazione resta circa un punto sopra l’obiettivo del 2%, con rischi di nuovi aumenti dovuti a energia e pressioni sui prezzi, mentre le continue incertezze della politica commerciale americana complicano ulteriormente le previsioni.
Il vero bivio di Jackson Hole non riguarda solo la forza o la debolezza dell’economia, ma la credibilità della Fed: un Powell troppo falco rischierebbe di incrinare la fiducia dei mercati, mentre una linea troppo accomodante potrebbe alimentare il sospetto di una banca centrale piegata alle pressioni politiche. Il numero uno della Fed dovrà bilanciare la lotta all’inflazione con le attese di taglio dei tassi, senza cedere a interferenze esterne.
Bce: cosa dirà Lagarde a Jackson Hole?
Non meno attesa è la presenza di Christine Lagarde, che interverrà sabato mattina alle 18:25 ora italiana. La presidente della Bce arriva all’evento dopo aver lanciato a Ginevra un monito sull’economia europea: la crescita dell’eurozona, dopo un buon avvio nel primo trimestre 2025, sta rallentando, frenata da tariffe Usa più elevate, tra il 12% e il 16%, che pesano sulle esportazioni e sulle stime di crescita. Lagarde ha sottolineato l’importanza di diversificare i mercati e non affidarsi esclusivamente agli Stati Uniti, ricordando che l’Europa possiede una rete di accordi commerciali tra le più ampie al mondo.
Sul fronte dei tassi, la Bce ha messo il freno a luglio, mantenendoli invariati al 2 % dopo ben otto tagli consecutivi. Per il momento i mercati non si aspettano cambiamenti immediati: la maggioranza degli economisti prevede che resteranno stabili almeno fino a settembre e ottobre, mentre eventuali tagli potrebbero arrivare solo tra autunno e inverno e saranno molto cauti, intorno a 0,25 punti percentuali. Anche banche come Goldman Sachs e Bnp Paribas pensano che qualsiasi riduzione arriverà più avanti, probabilmente tra la fine del 2025 e l’inizio del 2026.
Jackson Hole 2025 sarà quindi il banco di prova per capire se il “dopo simposio” porterà a un nuovo rally o segnare l’inizio di una correzione nei mercati.