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I prestiti delle banche alle imprese calano ma è davvero colpa degli NPL?

Secondo l’ex Ad di Banca Ifis il calo di 271 miliardi di prestiti delle banche alle imprese in 7 anni non si può spiegare semplicemente con la montagna dei crediti deteriorati: tra banche e imprese si è rotto qualcosa

Possiamo guardare al credito deteriorato per spiegare 271 miliardi di calo in 7 anni nei prestiti delle banche alle imprese?

Sappiamo che i prestiti bancari alle imprese (società finanziarie più famiglie produttrici) sono crollati dal massimo di novembre 2011 all’ultima rilevazione Banca d’Italia, marzo 2019, da 1.016 a 745 miliardi di euro. Abbiamo perso 271 miliardi in poco più di 7 anni, che fa 35 miliardi all’anno. Un calo complessivo di quasi il 27%.

Viene da chiedersi se sia possibile che il calo sia il risultato del “passaggio” da credito vivo, “in bonis”, a credito deteriorato.

L’ipotesi è suggestiva ma vediamo le cifre. Da fine 2011 a fine 2018 il credito deteriorato complessivo (famiglie, imprese, altro, al lordo delle rettifiche) si è mosso poco, calando da 194 miliardi a 182 miliardi; di questi, 107 miliardi erano sofferenze lorde a fine 2011, diventati 99 miliardi a fine 2018. L’analisi di dettaglio mostra però come a fine 2015 il credito deteriorato lordo complessivo aveva raggiunto i 341 miliardi e le sole sofferenze lorde i 201 miliardi. Quindi tra fine 2011 e fine 2018 i valori sono saliti molto per poi ridursi altrettanto rapidamente per effetto soprattutto di cessioni verso soggetti che non sono banche e che quindi non entrano nelle statistiche: uno spostamento che ha risolto il problema dei crediti deteriorati nei bilanci delle banche, non certo anche il problema della massa di credito deteriorato ancora esistente fuori dai bilanci, che richiederà molti lustri per essere smantellato.

Un ruolo estremamente importante in questa riduzione delle sofferenze lo sta esercitando il programma GACS (Garanzia cartolarizzazione sofferenze) promosso dal Governo Italiano, che ha aiutato, da fine 2016 ma soprattutto nel 2018, a portare via dai bilanci delle Banche oltre 60 miliardi di sofferenze lorde, perlopiù mutui immobiliari. Questi crediti sono finiti nei veicoli di cartolarizzazione. Dovranno essere incassati secondo i programmi per evitare che l’onere di ritardi o mancati incassi ricada sul debito pubblico italiano.

Torniamo alle statistiche sugli impieghi delle banche verso le imprese. Esse tengono già conto, oltre che degli impieghi “vivi”, anche del credito che si è deteriorato, al lordo delle rettifiche.

E quindi già solo per questo fatto la risposta è che no, non si può dare la colpa alla montagna di NPL che comunque le banche italiane hanno accumulato e stanno gestendo e cedendo o stralciando, peraltro con risultati molto interessanti.

Se teniamo conto del fatto che gli impieghi sono al lordo dei crediti deteriorati in realtà un effetto c’è. Si ha quando la banca che ha erogato il credito a prescindere dal fatto che sia o no deteriorato, lo cede ad un operatore non bancario, fondo d’investimento specializzato o veicolo di cartolarizzazione, per esempio all’interno di un programma GACS come abbiamo visto qualche riga fa. Oppure lo azzera avendo esaurito l’azione di recupero, nel caso dei deteriorati. Il fenomeno, per quanto attiene ai crediti deteriorati, è diventato di rilievo negli anni dal 2016 in avanti: le banche hanno soprattutto ceduto ben di più di 100 miliardi di crediti lordi (grosso modo una metà grazie alla GACS) una parte dei quali è verso imprese. Quindi apparentemente si può dire che almeno per una parte la riduzione del credito verso le imprese è il risultato del deterioramento avvenuto per effetto della crisi, che ha portato le banche a cedere sul mercato questi crediti, spesso a forte sconto rispetto al loro valore nominale. Le perdite sono passate nel tempo a conto economico delle banche che hanno venduto, mente le cessioni hanno ridotto l’ammontare lordo di questi crediti.

A me pare che questo fenomeno non dia spiegazione della contrazione del credito bancario verso le imprese e ciò per due simultanee ragioni.

  1. La prima è nei numeri: l’ammontare lordo dei crediti deteriorati si è ridotto tra fine 2011 e fine 2018 di un importo irrilevante rispetto alle dimensioni del fenomeno, e la riduzione riguarda tutti i crediti quindi anche quelli verso le famiglie e altre istituzioni.
  2. La seconda è nel modo di lavorare delle banche.

Per una banca registrare perdite su crediti è un fatto connaturato al business. L’erogazione di credito alle imprese è il business; uno dei costi di questo business è rappresentato dalle perdite sul credito. Queste perdite vanno previste, considerate parte integrante dell’attività, monitorate e gestite al meglio.

Poi è vero che il sistema bancario quando l’economia del Paese va male può fungere da ammortizzatore e registrare un peggioramento nella situazione complessiva della sua qualità creditizia (ed è successo, tra il 2011 e il 2018); ma questo non può giustificare gli importi di cui stiamo discutendo.

Le banche, decorso il periodo necessario al recupero, che si può realizzare anche tramite una cessione e non importa qui a che prezzo, hanno il dovere di cancellare l’esposizione, e questo è vero sempre. Era vero nel 2011, lo è nel 2019.

L’unico effetto residuo quindi ha a che vedere con la maggiore attenzione che le banche oggi ripongono nel cancellare o cedere i crediti, rispetto a 7 anni fa, anche per effetto della pressione del regolatore. Quanto può valere questo effetto? Difficile stimare ma la sensazione è che si possa restare sull’ordine di grandezza delle decine di miliardi di euro. Non è poco ma la spiegazione del calo di 271 miliardi in 7 anni nel credito bancario verso imprese non sembra proprio essere questa.

È certo vero, invece, che nel rapporto banca-impresa si è rotto qualcosa e che la banca, temendo di perdere sul credito soggetto erogato alle imprese, ne ha semplicemente dato meno e con sempre maggiore attenzione.

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