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H&M punta sull’Etiopia: la Cina non conviene più

L’Ikea dell’abbigliamento vuole allargare la rete di fornitori nel corno d’Africa – Nella Repubblica Popolare Cinese i salari sono aumentati e produrre costa di più – Ad Addis Abeba, più vicina all’Europa, manodopera a basso costo e incentivi statali stanno attirando i grandi gruppi – L’Etiopia ha una lunga tradizione tessile e calzaturiera

H&M punta sull’Etiopia: la Cina non conviene più

La via dei vestiti low cost non parte più dall’oriente. Parola di H&M, il gigante dell’abbigliamento a costi più che abbordabili, che ha annunciato di puntare tutto sull’Africa.

In passato, l’azienda svedese aveva concentrato l’80 per cento della produzione in Asia. Ma ora ha fatto partire dei programmi pilota in Etiopia, con imprese locali che dovrebbero mettere in piedi i primi stabilimenti entro fine anno.

La ragione ufficiale di questo principio di fuga dall’oriente sarebbe la ricerca di nuovi mercati. Ma secondo quanto riportato da Le Monde e Wall Street Journal, il problema sarebbe di mera pecunia: oggi produrre indumenti in Etiopia costa molto meno che produrli in Cina, stando alle statistiche del 2011, le ultime disponibili. Inoltre, nella Repubblica Popolare i salari stanno aumentando, mentre nel corno d’Africa – geograficamente più vicino all’Europa, il principale mercato del gruppo – i costi di trasporto e consegna sono ridotti.

Tuttavia, il vantaggio etiope potrebbe durare poco. Secondo il Wall Street Journal, ad Addis Abeba i costi sono aumentati del 18 per cento tra il 2010 e il 2011, mentre in Cina crescevano solo del 7,7 per cento. Se il ritmo rimane invariato, i costi di produzione del Paese africano supereranno quelli di Pechino nel 2019.

Nel frattempo, la nuova delocalizzazione potrebbe più di un problema al colosso svedese dell’abbigliamento. “Abbiamo fatto un’analisi dei rischi in Etiopia, per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani e dell’ambiente”, assicura H&M. Ma il Paese, nonostante una crescita annuale media del 10 per cento dal 2004, resta uno dei più poveri del mondo. E a un anno dalla morte del primo ministro Meles Zenawi, Addis Abeba ha subito forti critiche in materia di rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo.

Per rassicurare gli investitori stranieri, il governo etiope ha lanciato un vasto piano di sostegno al settore tessile, motore della crescita negli anni a venire. Il Paese vuole attirare i grandi gruppi offrendo manodopera e spazi a buon mercato, aiuti statali e incentivi fiscali. Manna dal cielo per i brand del settore. In molti – tra questi il colosso commerciale britannico Tesco e Huaijan, fornitore cinese di scarper per Guess e Tommy Hilfiger – hanno già messo piede nel corno d’Africa. Un territorio che, tra l’altro, ha una lunga tradizione tessile e calzaturiera, dopo l’invasione italiana del 1935.

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