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Fmi: sofferenze italiane le più alte tra i Paesi avanzati

Il rapporto sofferenze-impieghi arriva all’11,2% nelle banche italiane, contro il 6,7% della Spagna e il 4,3% dell’intera Eurozona – Il Fondo promuove il bail-in, ma non esclude la necessità di aiuti pubblici per le banche europee.

Le sofferenze delle banche italiane sono pari all’11,2% degli impieghi totali, il livello più alto tra quelli registrati nelle economie avanzate. È quanto emerge da una tabella del Global Financial Stability Report, il rapporto redatto dal Fondo monetario internazionale nell’ambito dei lavori primaverili in corso a Washington, che però non tiene conto dei recenti provvedimenti varati nel nostro Paese per affrontare il problema degli Npl (il decreto banche e la nascita del fondo Atlante).

Nel caso di Unicredit, il primo gruppo bancario italiano per asset, il Fondo calcola un 10,8%. Per Intesa Sanpaolo, il secondo istituto di credito nel nostro Paese, il dato è al 10,7%. Per la categoria altre banche italiane – ossia quelle quotate con asset inferiori ai 500 miliardi di dollari – il Fondo calcola un 12,2% (un livello evidenziato con il colore arancione).

Ben diversa la situazione in Usa (0,7%), Regno Unito (2,8%), Eurozona (4,3%) e perfino in Spagna (6,7%), dove l’Fmi prevede per i gruppi con asset inferiori a 500 miliardi sofferenze in rapporto agli impieghi pari al 10,1%. Percentuali che si confrontano con il 6,1% di Bbva e il 4,5% di Santander. Quanto alle francesi Bnp Paribas e Société Générale, sono entrambe al 5,6%.

Secondo il Fondo, alla fine del giugno scorso, le banche dell’Area euro avevano ancora crediti in sofferenza per 900 miliardi di euro. L’istituto guidato da Christine Lagarde sottolinea inoltre la correlazione tra i cosiddetti “non-performing loans” (Npl) e i corsi azionari delle banche: più alto è lo stock di Npl, maggiore è il declino dei titoli degli istituti di credito che li hanno in pancia, “specialmente in Grecia e Italia”.

Secondo l’Fmi, i prestiti in sofferenza rappresentano una “notevole debolezza strutturale per molti sistemi bancari”. In quello dell’Eurozona, “una debole redditività aumenta la difficoltà nel gestire i Npl riducendo la capacità delle banche di creare cuscinetti attraverso utili trattenuti (quelli non ridistribuiti agli azionisti)”.

Quanto alle nuove regole, il Fondo monetario promuove le norme europee sul cosiddetto bail-in ma resta cauto non escludendo che in caso di crisi di una banca, l’aiuto pubblico potrebbe ancora essere necessario. L’istituto afferma che la direttiva Ue per il risanamento e la risoluzione delle banche – la Bank Recovery and Resolution Directive (Brrd), che trasferisce il costo delle crisi dal settore pubblico agli azionisti e ai portatori di altre passività bancarie – “è un passo avanti importante per rafforzare il regime di risoluzione e meglio allineare gli incentivi per banche e investitori ai rischi che stanno prendendo”.

Per l’Area euro, secondo l’Fmi, c’è un “urgente” bisogno di affrontare il problema dei crediti in sofferenza e dell’eccesso di capacità. Sul primo fronte, il Fondo suggerisce una strategia completa che combini supervisione, riforme dei regimi per le insolvenze e lo sviluppo di mercati per debiti sotto stress anche attraverso società di asset management. Sul secondo, l’Fmi sostiene che “in molti Paesi un consolidamento e una riduzione del sistema potrebbe essere necessario in modo tale che le banche rimanenti possano godere di un potere sui prezzi e di una domanda sufficienti ad aumentare la capacità di generazione di capitale del sistema” stesso.

Nell’Are euro, insomma, una “soluzione più completa ai problemi delle banche europee non può essere posticipata ulteriormente”.

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