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Euro-dollaro, virata in vista?

REPORT DI MPS CAPITAL SERVICES – In attesa degli interventi della Yellen e di Draghi al meeting dei banchieri centrali di Jackson Hole i mercati riflettono sui fattori che potrebbero riequilibrare i rapporti tra euro e dollari: ecco come stanno le cose.

Euro-dollaro, virata in vista?

Dopo una lunga fase di oscillazione nel trading range 1,05/1,15 iniziata nel 2015, l’euro si è apprezzato in modo costante e marcato vs dollaro immediatamente dopo la fine del temuto turno elettorale francese di fine aprile scorso. Ad impattare sul movimento è stata anche la progressiva disillusione sulla possibilità di traduzione in legge delle promesse elettorali di Trump, a partire dall’abrogazione/riforma dell’Obamacare, fino alla riduzione delle tasse a persone fisiche ed aziende, oltre che lo sgravio fiscale sugli utili rimpatriati dalle aziende. L’andamento dell’eurodollaro tra luglio ed agosto è diventato pertanto una sorta di sondaggio real time sull’operato dell’amministrazione Trump.

Un ulteriore fattore che ha inciso sul citato andamento dell’EurUsd è stata la crescente convinzione di un atteggiamento divergente di politica monetaria, con la BCE viste nelle imminenze di una riduzione del piano di acquisti e la Fed molto cauta nel processo di normalizzazione della politica monetaria. Il deprezzamento del dollaro si è accentuato nei mesi di giugno e luglio. Nel primo caso ha inciso il discorso di Draghi a Sintra, che ha lasciato la percezione di un tapering imminente. Nel mese di luglio il cambio si è invece progressivamente decorrelato da altri fattori come ad esempio differenziali di tasso e/o di crescita, iniziando piuttosto a seguire in modo pressoché lineare la percezione di difficoltà dell’amnistrazione Trump, fino allo stop al Senato sulla riforma dell’Obamcare nel mese di agosto.  

Nel frattempo è fortemente aumentata la convinzione degli operatori sulla possibilità che il deprezzamento del biglietto verde possa ulteriomente proseguire. In tale direzione due indicazioni: 1) le posizioni speculative nette lunghe di euro vs dollaro, prossime al massimo storico; 2) il differenziale molto alto tra volatilità su opzioni call e put 25 delta (cosiddetto risk reversal) a tre mesi sul cambio in esame.
Negli ultimi giorni si sta assistendo ad un arresto della fase di deprezzamento determinato da indicazioni di robustezza della dinamica occuapzionale e di buon andamento dei consumi, malgrado la perdurante assenza di pressioni inflattive, soprattutto dal lato salariale.

Con riferimento all’area Euro, le minute dell’incontro BCE di luglio, hanno fatto emergere “preoccupazioni sui rischi associati ad un eccesso sul fronte cambi in futuro”. Alcune indiscrezioni, inoltre, hanno evidenziato come Draghi potrebbe non dare indicazioni in chiave anticipata sui futuri orientamenti, in occasione del simposio che si terrà nella località di Jackson Hole (24-26 agosto), facendo spostare pertanto l’attenzione sulla riunione BCE del prossimo 7 settembre.

In Prospettiva

In prospettiva, i fattori chiave da monitorare sono soprattutto le indicazioni che arriveranno dalla citata riunione BCE del 7 settembre, oltre all’evoluzione del quadro politico interno USA. Quest’ultimo aspetto è stato uno dei fattori che maggiormente ha contribuito a far deviare l’euro rispetto alle nostre attese di apprezzamento della valuta unica entro l’estate, che erano state ipotizzate immaginando l’approvazione della riforma dell’Obamcare.

Con riferimento alla BCE, nella riunione del 7 settembre saranno aggiornate le stime su inflazione e PIL. Un’ulteriore revisione al ribasso delle stime su inflazione 2018 (già portata all’1,3% dalla precedente stima di 1,6%), renderebbe più facile per Draghi indicare un ridimensionamento molto graduale del piano di acquisti. Questo obiettivo potrebbe essere raggiunto utilizzando diversi tecnicismi, ad esempio facendo leva sulla mole crescente dei reinvestimenti di bond (stimati in circa 120Mld€ nel 2018) per aumentare i margini di flessibilità in termini di deviazione dalle regole di ripartizione degli acquisti stessi (cosiddette capital key), come in parte sta già accadendo.

La riduzione del piano potrebbe inoltre coprire l’intero 2018, senza fissare ex ante una data di fine del piano, rimanendo aperta la possibilità di revisone in tutte le direzioni nel corso dell’anno. In estrema sintesi si potrebbe trattare di indicazioni di tapering molto morbido, che potrebbero essere motivate da un livello atteso d’inflazione molto al di sotto del target, a causa anche della perdurante fase di euro forte, come indicato in maniera esplicita nelle citate minute della riunione Bce di luglio.

Dal lato USA, le indicazioni favorevoli dal fronte macro potrebbero aumentare l’attesa di annuncio della partenza del piano di riduzione del reinvestimento già nella riunion del 20 settembre. Queste indicazioni, innestate in un contesto di forte posizionamento degli operatori a favore dell’ipotesi di euro forte, potrebbero innescare ricoperture tali da riportare il cambio verso area 1,13 entro la fine del mese di settembre. In tale direzione potrebbe giocare anche il possibile maggior attivismo dei repubblicani sull’iter di presentazione/approvazione della legge di riduzione delle tasse, visto il crescente aumento dei consensi degli elettori a favore di un Congresso di colore democratico, in vista delle elezioni di medio termine di novembre 2018.

Il possibile passaggio di alcune manovre promesse dall’amministrazione Trump entro fine anno (tra cui quella relativa alla parziale defiscalizzazione degli utili rimpatriati), potrebbero contribuire ad un tendenziale apprezzamento del dollaro che potrebbe tornare in area 1,10 entro fine anno e rimanere su tale livello nel corso del primo trimestre 2018, in vista del turno elettorale in Italia.

Contestualmente, la percezione di una Fed molto morbida e cauta nel processo di normalizzazione di politica monetaria in un contesto di potenziali indicazioni più forti di rallentamento della crescita nella seconda parte del 2018 (in modo particolare si veda l’attesa continuazione dell’appiattimento della curva), potrebbero nuovamente riproporre una fase di dollaro più debole fino ad area 1,12 entro il mese di giugno 2018.

I principali rischi per tale scenario sono rappresentati da: 1) tempistica prolungata per l’appovazione dell’innalzamento del tetto sul debito USA, attualmente prevista entro il mese di ottobre; 2) percezione a fine anno di una Fed relativamente morbida, soprattutto nel caso in cui fosse indicato da parte di Trump un nuovo presidente della Fed (il mandato della Yellen scade a febbraio 2018, con possibilità di rinnovo) particolarmente incline alla linea accomodante in tema di politica monetaria. Di conseguenza i rischi al momento sono per livelli più alti rispetti a quelli indicati per il terzo ed il quarto trimestre.

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