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Etiopia, liberati 2 gerarchi di Mengistu dopo 29 anni nell’ambasciata italiana

Sono stati graziati dalla Corte federale etiope sotto il nuovo regime del presidente Abyl Ahmed – Ma l’Italia ha fatto bene o male a proteggerli per il più lungo asilo politico della storia?

Etiopia, liberati 2 gerarchi di Mengistu dopo 29 anni nell’ambasciata italiana

È finita a Natale la più lunga saga diplomatica della storia in materia di asilo: sono stati liberati, dopo 29 anni trascorsi nell’ambasciata italiana ad Addis Abeba, gli ultimi due gerarchi del regime di Mengistu, i “noti ospiti”, come venivano definiti dai nostri diplomatici.

Berhanu Bayeh, ex ministro degli Esteri, e Addis Tedla, ex capo di Stato Maggiore, sono stati graziati dalla Corte federale etiope, secondo quanto scrive l’agenzia di stampa Ethiopian News Agency, ripresa dalla turca Anadolu Post. Un’altra sorpresa da parte del giovane presidente premio Nobel per la pace, Abyi Ahmed? Può essere. Era una sorpresa in cui l’Italia sperava molto da quando Abyi è diventato presidente. Di sicuro, si è trattato di una decisione accolta molto meglio rispetto a quella del novembre scorso, quando Abyi inviò i carri armati in una regione del suo paese, il Tigray, per risolvere una “questione di polizia interna”.

Sono tornati dunque in libertà Bayeh, ministro degli esteri dal 1986 al 1989, e Tedla, capo di Stato Maggiore dall’89 fino alla caduta del colonnello Menghistu, nel 1991. Oggi il primo ha 82 anni, il secondo 74. Hanno trascorso quasi trent’anni nella nostra ambasciata ad Addis Abeba, nella quale si erano rifugiati, insieme ad altri connazionali, il giorno prima che l’avventura del Negus rosso, come veniva chiamato il dittatore etiope, si concludesse nella polvere. Menghistu riuscì a scappare e da allora vive in Zimbabwe. Giudicati colpevoli di genocidio e condannati a morte per il loro ruolo nelle uccisioni di massa degli oppositori di Mengistu, sono stati protetti dalla nostra ambasciata per tutto questo tempo, nonostante il loro ruolo di “cattivi” della storia. La loro consegna è stata ripetutamente richiesta dal governo etiope succeduto a Menghistu, ma il governo italiano si è sempre rifiutato perché l’Italia è contraria alla pena di morte.

Una storia di cui si è saputo solo due anni fa, quando è stato pubblicato il libro dell’ex ambasciatore in Etiopia, Giuseppe Mistretta, che, insieme al giovane collega Giuliano Fragnito, ha raccontato del più lungo asilo della storia. Il titolo del libro è “I noti ospiti”, appunto. Come raccontano Mistretta e Fragnito, per quasi trent’anni l’ambasciata ha provveduto non solo a mantenere in vita gli ex politici etiopi, fornendo loro un rifugio sicuro, ma anche accudendoli in ogni loro necessità. Nel libro vengono raccontati fatti drammatici avvenuti nella nostra ambasciata nel corso dei tre decenni, perfino un suicidio e un omicidio. Alla caduta di Menghistu, infatti, i gerarchi rifugiati erano quattro: oltre a Bayeh e Tedla, c’erano Hailu Yimenu, il primo ministro ad interim e comandante dell’esercito in Eritrea, che si suicidò un mese dopo impiccandosi al cancello dell’ambasciata; e Gebre Kidan, ministro della Difesa e presidente per una settimana dopo che Mengistu, che fuggì e rimase ucciso durante una rissa con Bayeh nel 2004.

Più che un racconto, la saga sembra un film. E chissà che un giorno non lo diventi. La domanda rimane la stessa da trent’anni a questa parte: ha fatto bene l’Italia a proteggere persone colpevoli di massacri? Il mistero attorno alla faccenda lascia intendere che si avesse timore a enfatizzare la scelta, visto che si trattava di “cattivi”. Ma a nostro parere, l’Italia ha fatto benissimo: quando in ballo ci sono valori e principi, bisogna stare da una sola parte. E il nostro Paese lo ha fatto. Tanto di cappello.

Per la cronaca, finora il caso di immunità diplomatica più lungo conosciuto, durato circa 15 anni, era stato quello di Jozsef Mindszenty, il capo della Chiesa cattolica in Ungheria. Il cardinale, che si opponeva all’intervento delle truppe sovietiche e temeva per la sua vita, chiese asilo all’ambasciata americana a Budapest nel 1956. Lasciò l’ambasciata nel 1971 e andò in esilio in Austria.

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