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Derivati, Grilli: “Giusto non citare Morgan Stanley, si rischiava il default”

L’ex ministro è stato ascoltato in commissione banche sulla vicenda della chiusura anticipata, da parte di Morgan Stanley, del derivato che ìcostò allo Stato 3,1 miliardi. Le porte girevoli pubblico-privato? “Servono trasparenza e regole chiare ma possono portare benefici”

Derivati, Grilli: “Giusto non citare Morgan Stanley, si rischiava il default”

L’Italia avrebbe rischiato il default se avesse avviato un contenzioso con Morgan Stanley, a fine 2011, sulla chiusura anticipata di un derivato che costò alle casse pubbliche 3,1 miliardi in contanti. Lo ha affermato  Vittorio Grilli, ex dg del Tesoro dal 2005 al 2011 e poi ministro dell’Economia con il Governo Monti dal 2012 al 2013, ascoltato in audizione dalla commissione banche il giorno dopo l’audizione dell’ex Ceo di Unicredit, Ghizzoni. “Aprire un contenzioso voleva dire automaticamente per l’Italia metterla in condizione di pre default o di default, non saremmo stati più capaci di ripagare un debito da 500 miliardi l’anno; portare una controparte in Tribunale avrebbe avuto una conseguenza devastante” per il debito pubblico. Secondo Grilli bene ha fatto la dirigente del Tesoro Maria Cannata a tentare di rinegoziare il contratto con la banca Usa.

Grilli, rispondendo alle domande di Renato Brunetta (Fi), rivela di aver saputo dal direttore del Debito Pubblico Maria Cannata del problema per il contratto con Morgan Stanley solo “a ottobre-novembre 2011” circostanza che ha provocato la reazione di sorpresa di Brunetta per il fatto che il direttore generale del Tesoro dal 2005 non avesse avuto conoscenza antecedente della clausola di early termination contenuta nel contratto con la banca Usa. “Sono venuto a conoscenza della clausola quando Cannata mi informò di un problema sul derivato con Morgan Stanley. Cannata suggeriva, giustamente, di avere una novazione del contratto con Morgan Stanley a fine 2011”. Grilli aggiunge che il contratto con Morgan Stanley risaliva al master agreement del 1994 quando lui non era al Tesoro ma di non avere dubbi “che quella clausola all’epoca fosse di mercato”. La chiusura anticipata ha senso secondo Grilli perché “se non fossero scattate le clausole il Tesoro avrebbe dovuto fare un flusso di pagamenti sempre più grande con i tassi di mercato a zero. Senza attivazione del rimborso anticipato il flusso di pagamenti sarebbe stato maggiore di quello pagato con il rimborso”.

Grilli ha spiegato che con la crisi del debito sovrano “i titoli di Stato aumentano non per l’aumento dei tassi Euribor ma perché esplode il rischio di credito dell’Italia. In questi casi come ci si protegge? Un privato con i Cds (Credit default swap). Il Tesoro però non può acquistare protezione contro il suo default”. In questo scenario inoltre per effetto della politica monetaria della Bce i tassi Euribor sono andati a zero. Quindi quello che è successo al Tesoro, spiega Grilli,  “non è di aver sottoscritto un derivato scritto male ma di essersi trovato di fronte ad un evento non proteggibile da nessun derivato”.

Grilli aggiunge anche la sua opinione sul perché la banca Usa chiese la chiusura anticipata di quel contratto. Secondo l’ex ministro la banca Usa a fine 2009 si era trasformata da banca d’investimento a banca vera e propria e da parte delle Autorità di vigilanza Usa c’era la spinta a smontare posizioni costose e quella sull’Italia lo era. “Il costo del derivato, finché non sono esplosi i Cds era un costo normale: quando il costo dell’Italia si è dissociato con il balzo dello spread a 500 punti base per loro il costo è decuplicato”.

Altro tema affrontato durante l’audizione è stato quello delle cosiddette “porte girevoli”.  “Non mi piace il termine porte girevoli per il suo connotato negativo” ha affermato Grilli che sia prima che dopo l’esperienza di governo ha lavorato in importanti banche internazionali d’affari. “A mio parere c’e’ poco scambio pubblico-privato in Italia. In altri paesi è molto più frequente. In Italia chi inizia a lavorare nel pubblico finisce anche lì e anche nel privato è lo stesso percorso. Questo crea due mondi quasi incomunicabili ed è un fatto negativo. Lo scambio di esperienze – prosegue Grilli – è assolutamente di beneficio. Va incentivato, certo non deve essere senza regole di trasparenza”. In Italia aggiunge Grilli le regole ci sono ma vanno migliorate soprattutto sul vincolo di non concorrenza per dodici mesi. “Non c’e’ un vincolo secco, bisognerebbe essere più chiari e non lasciare all’Antitrust l’intepretazione”. Andrebbe cambiato l’approccio sul tema secondo quanto avviene nell’esperienza Usa: il vincolo di non concorrenza si paga .”Non si può dire non puoi lavorare però arrangiati”.

Infine, Mps. Grilli ha detto che si parlò anche di Monte dei Paschi nel pranzo a Palazzo Chigi dell’estate del 2016 nel quale in presidente del Consiglio Matteo Renzi invitò il numero uno mondiale di JpMorgan, Jamie Dimon, a Roma in occasione del centenario dell’apertura della sede italiana della banca Usa. “Si parlo’ di tanti temi dell’economia mondiale e si è parlato anche di Mps” , ha affermato Grilli che al tempo era presidente di JP Morgan Europa. Il pranzo non fu nulla di peculiare aggiunge Grilli. Il numero uno mondiale di JpMorgan chiede di incontrare i capi di Governo quando si reca nei vari paesi.

 

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